23. Cuore di vetro

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C'era poca luce nella camera. Suo padre non voleva che possedesse una candela. Haley non ne conosceva il motivo, sapeva solo che il buio, le sbarre alla finestra, di per sè sottile come una feritoia, e le ferite fresche sulle braccia gli davano l'impressione di trovarsi in prigione. Erano ridotti nelle stesse condizioni gli uomini nelle segrete della Corte, li aveva visti. Era un bambino, sì, ma non era mai stato ingenuo. Aveva imparato il suono della frusta prima di quello delle risate e aveva imparato a pulirsi le ferite prima ancora che a scrivere. Ma pensava fosse giusto. Non aveva mai conosciuto altro che quello. Suo padre gli diceva che era giusto, quindi non poteva essere il contrario. Lui disubbidiva e di conseguenza veniva picchiato. Ogni azione sbagliata ha una punizione giusta, queste erano state le parole di Regan.

Eppure, ora aveva paura. Aveva paura di quel buio invalicabile, della consistenza ruvida del tappeto sotto le sue mani. Era nella sua camera da letto, ma ne aveva paura. Poteva percepire le macchie di sangue secco sul tessuto delle coperte e la minaccia insita nei libri di magia nera che era costretto a studiare. Aveva paura perché presto sarebbe entrato a far parte dell'esercito della Regina.

Era stato allenato per quello, gli aveva detto il padre. Regan Nightshade in fondo era un grande generale, Haley non poteva essere da meno. Ovviamente, essendo appena un adolescente, sarebbe stato messo sotto la custodia dell'attuale generale, prima di diventarlo lui stesso. Ma Haley non voleva. Aveva già ucciso, ma non voleva rifarlo. Era stato brutto, davvero molto brutto. Aveva ucciso il suo unico amico, il servitore che l'aveva visto nascere, colui che gli aveva instillato quel poco di affetto che Haley stesso era capace di dare. E l'aveva ucciso perché suo padre l'aveva convinto fosse giusto farlo. L'uomo gli aveva sorriso però, immerso nel sangue, e con il suo ultimo respiro se ne era andata parte della sanità mentale di Haley. Perché Haley sapeva di non esserne uscito indenne. Non è normale sentire qualcuno parlarti quando intorno a te non c'è nessuno, vero? Eppure la voce del servo, del suo amico, continuava a rimbombargli nella testa e accusarlo di essere un assassino. D'altronde Haley non poteva contraddirlo, perché era vero. Avevano tutti ragione. Le fate non mentono.

Una lama di luce gli ferì le iridi chiare, spaccando a metà l'oscurità della camera. Sulla porta si stagliava ora una figura nera, in controluce. Spalle larghe, capelli lunghi fino alle spalle acconciati in una coda bassa. Solo gli occhi blu scintillavano, di vittoria e di follia. Haley si chiedeva spesso se anche nei suoi ci fosse la stessa luce. Forse era per questo che tutti lo evitavano.

«È il grande giorno, Haley. Il primo di tanti.» Poche parole, suo padre non era tipo da lunghi discorsi. Non lo abbracciò per fargli gli auguri, ma gli fece spazio sulla soglia. Haley la attraversò a passo lento, strascicato, e Regan lo colpì con la mano alla base della schiena, imponendogli tacitamente di stare dritto. Haley eseguì, perché non voleva arrivare al campo con dei lividi nuovi per cui essere preso in giro. Era già più esile della maggior parte dei suoi futuri commilitoni. E più giovane, molto più giovane.

Da allora fu tutto piuttosto veloce e caotico. Haley ricordava il brusio degli uomini, gli sguardi che si posavano su di lui, divertiti per la sua stazza o disgustati per il suo sangue contaminato, ricordava la lenta selezione, i saluti fra gli amici scelti e quelli scartati. Lui non era stato allenato insieme a loro, non li conosceva, non si dispiaceva per chi restava indietro. E poi ricordava il suo nome, urlato per ultimo e con forza. Ricordava di aver alzato lo sguardo, rendendosi conto di averlo tenuto chinato a terra fino a quel momento. E ricordava lo sguardo del generale. Moss, era questo il suo nome. L'aveva già incontrato prima, per sbaglio, mentre era a colloquio con suo padre. Non gli era piaciuto il modo in cui l'aveva fissato, esaminandolo come un esperimento particolarmente interessante. Lo stava facendo tutt'ora, mentre Haley camminava verso di lui a passo di marcia, con il mento alto e la schiena dritta, come voleva suo padre. Continuò a farlo anche mentre gli appuntava lo stemma della Corte Unseelie sulla camicia della divisa, e quando poi gli sorrise.

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