39. Perdita

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Nel piccolo appartamento la tensione era tanto densa da poter essere tagliata con un coltello.

Da quando Rhys e Ivy erano tornati, portando con sé notizie decisamente sconfortanti, ognuno si era chiuso in un ferreo silenzio, preso dai preparativi. Da allora fra le pareti dell'abitazione non si era udito altro che il rumore di passi concitati, lo sferragliare delle armi e il ticchettio delle unghie di Haley sul tavolo da pranzo.

Il fae non si era mosso dalla sua posizione nemmeno per un istante da quel pomeriggio. Seduto composto, teneva la schiena perfettamente aderente alla sedia e le braccia incrociate davanti a sè. Sarebbe parso il ritratto della calma se non fosse stato per quella mano, mossa da incessanti scatti nervosi, che non smetteva di far scontrare le dita pallide contro il legno consunto.

Era stanco. Continuava a sentire nelle orecchie il vago ricordo della voce di Cedar mentre annunciava vittoriosa di aver individuato la convergenza fra le linee di Energia e la Stella. Un urlo soddisfatto che aveva congelato l'Unseelie sul posto. Haley aveva percepito distintamente il ghiaccio ricoprire le pareti delle proprie vene e il respiro mozzarsi nei polmoni. Impassibile, non aveva fiatato. Non una parola mentre i Cacciatori si congratulavano con il padre per averli aiutati, né quando Cedar era corso ad abbracciarlo, dimentico, forse per la troppa eccitazione, di ciò che la scoperta significasse per il fae. Gli aveva sussurrato all'orecchio delle parole che l'Unseelie aveva faticato a sentire. Qualcosa di simile a un "ce la faremo". Qualcosa in cui Haley stentava a credere.

«Dovresti prepararti» sussurrò in quel momento una voce alle sue spalle, pervasa da una patina ruvida per le ore passate in silenzio.

Haley voltò appena il capo, quanto bastava per incrociare lo sguardo di Calum. Era caldo come sempre, ma altrettanto teso. Il Seelie era stato l'unico a non esultare per la scoperta di Cedar. Era anche l'unico a capire la portata di tale notizia per le condizioni mentali dell'amico. Una bomba a orologeria, non si trattava di altro. Non aveva commentato come suo solito, non aveva ironizzato sulla lentezza delle ricerche, né si era lamentato una sola volta. La paura aveva stretto anche lui nelle sue spire e non vi era via di uscita prima della fine. L'Unseelie si schiarì la voce e sospirò. «Non potrei essere più pronto di così. Non c'è molto altro che possa fare.»

Calum storse il naso mentre si appoggiava con un fianco al bordo del tavolo, scrutando l'amico dall'alto. Incuteva un certo timore in controluce, con le ombre della sera che fendevano la luce giallastra del lampadario per arrivare a scurirgli gli incavi sotto gli occhi. «C'è, invece» replicò. «Puoi combattere. Restare forte. Te l'ho detto un'infinità di volte, Haley. Devi pensare a te stesso. Non importa l'esito che avrà la nostra missione, conta come starai tu quando sarà finita. Pensaci bene prima di uscire da questa casa. Non voglio trovarmi costretto ancora una volta a raccogliere con una paletta i frammenti della tua anima per poi tentare di rimetterli insieme, pezzo dopo pezzo, con la colla. Pensaci, okay?»

«Io –» cominciò a protestare il moro, ma il Seelie lo bloccò con un gesto della mano. I suoi lineamenti mostravano una fermezza insolita per lui, una decisione che non aveva mai avuto. O che non aveva mai rivelato.

«Fra pochi minuti partiremo. La luna entrerà in posizione solo fra un paio di ore, tuttavia sarà meglio arrivare in anticipo» annunciò. Subito dopo si morse la lingua. Era stato troppo freddo? Gli occhi di Haley, spalancati e confusi, sembravano confermarlo. Rilasciò un sospiro e gli accarezzò le guance incavate con entrambe le mani, tentando di infondere maggior calore nelle proprie parole. «Non voglio essere cattivo con te, Ley, ma so che questo è l'unico modo per spingerti ad agire. Solo quando ti ritrovi sull'orlo del baratro prendi in mano la tua vita. Voglio solo che tu non ti spinga troppo oltre prima di capire. Provaci, va bene?»

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