34. Scomode verità

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Un rettangolo di vetro e legno scuro, rovinato ai bordi e vicino al pomello per l'usura. La porta di casa sua non gli era mai parsa tanto spaventosa.

Thomas si grattò la nuca con una smorfia cucita in volto. I punti dovevano essere stati fatti da una mano esperta, perché i suoi lineamenti sembravano ben decisi a non tornare al proprio posto. Sbuffò. Doveva solo entrare. Erano le cinque del mattino, nessuno sarebbe stato già sveglio. Avrebbe recuperato una scatola di cereali dalla dispensa producendo il minimo rumore possibile, magari rubato una lattina di birra dal frigo, e poi sarebbe sgattaiolato di nuovo dall'altra parte della città, nell'appartamento che Cedar aveva temporanemente affittato per nascondere i suoi piani ai due fae in viaggio. Non era nulla di complicato, niente che non avesse già fatto decine di volte. Eppure quella mattina era dubbioso. Nervoso, a dire il vero. Era scappato nel bel mezzo di una discussione e Mikhail non era noto per la sua comprensione. Era testardo, permaloso e rancoroso, ma comprensivo no, proprio no. Se l'avesse colto con le mani nel sacco lo avrebbe fatto pentire per il resto della sua vita.

Va bene, non c'è nulla di cui aver paura. Entri, prendi, esci. Semplice. Non incontrerai nessuno in questi due minuti. Sembrava semplice a pensarlo. Posò la mano sulla maniglia. La sentiva fredda sotto la pelle. Mille aghi di ghiaccio gli bucarono il palmo come spine di una rosa. La porta si aprì per la sua spinta e cigolò sui cardini a causa del freddo. Thomas strinse le palpebre. Nel silenzio dell'ingresso quel suono gli parve simile al richiamo di un grosso rapace. Doveva fare in fretta.

Sgusciò in cucina senza emettere un suono. Le suole delle scarpe scricchiolavano sul parquet, ma le ignorò mentre sollevava la testa per scrutare nella dispensa, posta sopra il lavabo. C'erano due piatti sporchi, due bicchieri e due forchette. Suo padre non aveva cenato la sera prima, segno più che palese dell'aggressività che avrebbe mantenuto anche quella mattina. Si alzò sulle punte e scavò con una mano sul fondo del ripiano. Agguantò la prima scatola che riuscì a raggiungere e la tirò giù. La faccia sorridente di un orso blu lo fissava da dietro una ciotola di latte e cereali al cioccolato. Scrollò le spalle, per poi infilare le dita nella busta aperta. Non aveva tempo per il latte, sempre che ce ne fosse.

Sgranocchiando i cereali dal palmo della mano e con la confezione sottobraccio aprì anche l'anta del frigorifero. Era ricoperta di calamite di poco gusto, ma non aveva il coraggio per dirlo di fronte a sua nonna. La luce bianca illuminò la desolazione all'interno dell'elettrodomestico come il sole invernale su una landa ghiacciata. Un cavolo mezzo marcio, un pacco da sei di birra scura e alcuni contenitori ermetici di plastica con gli avanzi della cena d'asporto lo osservavano tristi dai ripiani. Thomas roteò gli occhi. Fra i litigi per la sparizione di Willow e i turni di ronda nessuno in quella casa si degnava di fare la spesa. Anise era troppo anziana per muoversi, la madre era occupata con le faccende politiche e il padre con le ricerche. Rimaneva lui, l'unico idiota a doversi arrangiare.

Afferrò una lattina, districandola dall'involucro di plastica bianca, e la incastrò insieme alla scatola per avere una mano libera. Una colazione al volo non era una novità per lui. Si sarebbe rifatto in seguito con il pranzo, se fosse riuscito a convincere Fionn a offrirglielo.

Fece per girarsi e raggiungere di soppiatto la porta, quando la birra gli sfuggì dalla presa per poi schiantarsi al suolo. Il rimbombo lo raggelò. Strinse i denti e chiuse gli occhi. Uno sciame di maledizioni si era depositato sulla punta della sua lingua in attesa di essere pronunciato, ma Thomas non era intenzionato a farsi sfuggire anche quello. Si chinò in fretta e furia, afferrò il contenitore cilindrico - che era rotolato contro una gamba del tavolo da pranzo - e si rialzò in meno di un secondo. Missione compiuta. È l'ora della fuga.

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