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Mi ricordo.
Il sogno ora è vivido nella mia mente e non intende andarsene così facilmente.
<<Beh, dicci!>>
Sono ancora seduta a terra e il mio sguardo vaga perso, ancora stranito nel tornare alla realtà.
Non so che cosa abbia fatto Deaton, ma tutto ciò necessita una spiegazione.
<<Il sogno, si giusto... allora: stavo percorrendo un lungo e tetro corridoio. Sentivo delle voci e continuando a camminare, ho visto la Monroe.>>
Al mio pronunciare quel nome, l'attenzione di Scott aumenta.
<<Era in uno stanzino sporco, poco illuminato e stava parlando con tre uomini, gli stessi che ci hanno attaccati al ristorante...>>
<<Lo sapevo!>> enuncia l'alpha ora arrabbiato.
<<Quella bastarda... glie la farò pagare per tutto il male che ha provocato!>>
<<Scott, ora calmati. Non è il momento per dare di matto.>> cerca di tranquillizzarlo il suo migliore amico.
<<Hai visto altro?>>
Il veterinario non bada alla nascente furia che sta facendo avanti e indietro per la cucina, la sua attenzione è totalmente su di me e su quello che potrei dire.
<<Cera un tombino arrugginito, una scala... parlavano di quanto era accaduto, che... quell'incidente non era nei piani...>>
Non posso parlare esplicitamente della morte della coyote, l'alpha è già infuriato, non posso aumentare maggiormente la sua ira.
Intanto cerco di sforzarmi il più possibile.
Sono sicura che c'è qualcosa che mi sfugge.
<<Ok, ci lavorerò su. Intanto è meglio per tutti tornare nei propri letti. Siete tutti stanchi ed è ancora notte fonda. Risposatevi, domani vi aggiornerò.>> spiega Deaton, mentre lancia un'occhiata di riguardo a Scott.
<<Andate.>> ordina quest'ultimo a me e a Theo.
La rabbia che provava prima non è scemata del tutto, il suo tono è rimasto duro e con un accenno di rancore, così senza fiatare, io e la chimera usciamo e saliamo in macchina.
Partiamo verso la casa sul lago.

Abbiamo fatto così tante volte questo tragitto, che ormai l'ho memorizzato e sarei capace di proseguire da sola.
Theo ha lo sguardo perso, pensieroso.
Fissa la strada, come se fosse l'unica cosa ad importargli in questo momento, ma io ho ben altri piani.
<<Che cosa mi ha fatto Deaton?>> chiedo tutto d'un fiato.
<<In che senso?>> mi risponde voltandosi nella mia direzione, come se si fosse appena ripreso.
<<Durante la meditazione, che cosa ha fatto di preciso?>>
<<Niente, leggeva solo dal bestiario.>>
No, non è possibile.
Era tutto troppo reale, una semplice meditazione, che non è altro che parole pronunciate cautamente, non può avermi fatto provare tutto quello.
<<Allora voi altri, che avete fatto?>>
<<Siamo rimasti ad osservare. Perché mi fai queste domande?>>
Non penso stia mentendo, anche perché non avrebbe motivo per farlo.
E allora come è potuto accadere?
<<Era tutto troppo reale. Stava accadendo come se fossi pienamente sveglia, non in una specie di stato di trance.>> gli confesso, mentre continuo a rimuginare sulle sensazioni che ho provato.
Ho avuto realmente paura quando ho iniziato a sentire le voci e provato reale tristezza nel sentire l'effettiva voce di Malia.
Com è potuto accadere?
<<Non so cosa dirti. Io non ero nella tua testa, so solo che da fuori sembravi parecchio turbata.>>
Infatti lo ero eccome.
Sto per dirgli che penso di non ricordare effettivamente tutto il sogno, ma la frenata brusca dell'auto mi distrae.
Menomale che ho messo la cintura.
Alzo la testa, guardando attraverso il parabrezza.
Tre uomini, o meglio dire, quei tre uomini, sono in mezzo alla strada, illuminati dai fari del pick-up di Theo.
<<Rimani in auto.>> mi ordina, slacciandosi la cintura.
<<Non se ne parla! Non ti lascerò andare fuori da solo!>>
<<Invece è propio quello che farai. Scott vorrebbe che facessi questo.>>
<<Chissene frega di cosa vorrebbe Scott!>>
Si volta verso di me, guardandomi negli occhi.
Preoccupazione, è la prima cosa che noto.

È propio vero quel che si dice, che gli occhi sono lo specchio dell'anima.
Dagli occhi puoi vedere le emozioni che prova una persona, puoi capire quando mente, quando dice la verità.
A Milano, casa mia, quando ero giù di morale tentavo di non farlo notare, sorridendo e comportandomi come se tutto andasse bene.
I miei genitori erano in crisi, sempre a litigare, sull'orlo del divorzio ed io ero distrutta dentro per questo, anche se fuori sembravo quella di sempre.
Nessuno si è mai accorto di quello che provavo per davvero.
A volte, speravo che qualcuno lo notasse, che vedesse le ferite che mi portavo dentro.
I miei genitori non hanno divorziato, sono scesi a patti e hanno pensato che sarebbe stato meglio per me continuare a vederli insieme, anche se niente è tornato come prima.
Dopo quel brutto periodo, ho iniziato a esercitarmi.
Cercavo di capire le vere emozioni che provavano le persone, cercavo di leggere negli occhi degli altri come avrei voluto che qualcuno avesse fatto con me.
Ora mi risulta facile, decifrare i sentimenti delle altre persone, ma ancora nessuno è in grado di decifrare i miei.

<<Non voglio che ti venga fatto del male.>> mi confessa la chimera, riportandomi alla realtà.
<<Neanche io ci tengo, puoi starne certo, ma non ti lascerò da solo.>>
Il suo sguardo oscilla fra me e i tre uomini per qualche secondo, poi annuisce, facendomi intuire che posso scendere dall'auto, come ora sta facendo lui.
La macchina rimane accesa per precauzione, intanto io e Theo fronteggiamo i tre energumeni, mentre cerco di mantenere un'aria da dura.
Si certo, sono sicura di assomigliare a un puffo nervoso.
Stupido metro e sessantatré centimetri.

<<Che cosa volete?>> discorre per prima la chimera, tentando di iniziare una conversazione civile.
<<Lei.>> risponde rude uno dei tre giganti, osservandomi con un ghigno che mi fa scorrere un brivido freddo lungo la spina dorsale.
La bocca di Theo si muove per pronunciare chissà che frase, ma viene interrotto dal colpo di uno sparo che lo trafigge nello stomaco.
Si accascia a terra dolorante mente io accorro in suo soccorso.
<<Theo!>> urlo preoccupata più che mai.
Non faccio in tempo neanche a sfiorarlo che vengo bloccata da due braccia troppo forti e possenti per liberarmi.
Mi mettono un sacchetto nero di stoffa sulla testa, così da negarmi una qualsiasi visuale e qualcuno mi carica in spalla.
Scalcio, grido, mi dimeno a più non posso, ma i miei rapitori non fanno una grinza.
<<Mettetemi giù!>>
È l'ultima cosa che riesco a dire, poi mi mettono giù per davvero, ma con troppa violenza, così da farmi picchiare la testa e svenire.

In Another WorldDove le storie prendono vita. Scoprilo ora