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Sfrego velocemente le mie braccia con le mani, cercando di donarmi un po' di calore.
Sto girovagando nel bosco da più di mezz'ora, provando a smettere di piangere e a tentare di non perdermi, ma ho fallito in entrambi i casi.
Solo da pochi minuti le lacrime sono cessate, quando mi sono effettivamente resa conto di non avere la minima idea di dove mi trovi e una mastodontica ondata di panico ha preso possesso di me.
Un vento glaciale mi travolge, facendomi tremare e pentire di essere uscita con addosso una semplice t-shirt di cotone.
Alzo lo sguardo al pezzo di cielo che la fitta boscaglia lascia intravedere, confermando le mie paure.
Grandi nuvole grigie non permettono la solita visuale dell'azzurro cielo sereno, lasciando filtrare solo poca luce.
Un brivido freddo scorre lungo la mia intera spina dorsale quando un lampo, accompagnato da un tuono squarcia il turbolento soffitto della terra.
Una goccia gelida dalle spese dimensioni mi colpisce al centro della fronte, annunciando l'inizio del temporale.
In realtà io amo i temporali, ma quando sono a casa, sotto le coperte e con una tazza di cioccolata calda nella mano, non quando sono di malumore, con solo pochi indumenti a coprirmi e dispersa in mezzo ad un bosco.

Mi guardo intorno, cercando di captare qualche suono o qualche riferimento visivo che mi permetta di orientarmi, ma l'unica cosa che sento sono gli imponenti tuoni continui e ciò che vedo sono solo tronchi e foglie secche distese sul suolo.
La preoccupazione aumenta quando analizzo le mie abilità.
Non sono mai stata nei piccoli scout, ne guardo spesso alla televisione programmi sulla sopravvivenza e il mio senso di orientamento in sé è a dir poco pessimo, quindi le possibilità che io arrivi a casa in un tempo decente, o anche solo che ci arrivi, sono minime.
Non è la prima volta che mi capita di perdermi, ma il luogo è una novità e non so davvero che cosa fare.
Decido che stare ferma in attesa che la pioggia già presente aumenti non sia la migliore delle opzioni, così inizio a camminare verso una direzione non precisata, in attesa di un miracolo.

La pioggia diventa scrosciante e la vegetazione a tratti decisamente fitta e difficile da superare, ma continuo imperterrita a camminare, aumentando il passo, senza però correre per il timore di scivolare.
Dopo quello che mi sembra un'infinità di tempo, il miracolo da me tanto agognato avviene, facendomi notare in lontananza una piccola struttura di legno.
Sembra un capanno della pesca, ma in mezzo alla foresta?
Senza farmi troppe altre domande, mi affretto a raggiungerlo, sperando di trovare riparo da questo violento temporale.

Fortunatamente trovo la porta aperta, così senza farmi troppi scrupoli entro in questa che sembra una piccola casetta di legno.
L'interno è buio, a parte la poca luce che filtra da una minuscola finestra, ma i miei occhi non hanno il minimo tempo di abituarsi alla bassa luminosità, poiché qualcuno mi spinge violentemente, bloccandomi alla parete.
Mi dimeno, tentando di liberarmi, ma un odore familiare mi invade le narici, facendo sfumare ogni mio tentativo di ribellione.
<<Giacomo?>> domando, più che sicura della sua presenza.
Subito vengo lasciata andare e dopo il rumore di qualche passo, una nuova luce soffusa, proveniente da una strana lampada a forma di candela, mi permette di assicurarmi a pieno della mia ipotesi.

Il moro mi fissa leggermente incredulo, fermo al centro dell'unica stanza esistente.
Io intanto mi guardo intorno, non trovando altro che un singolo letto da una piazza, un piccolo comodino e uno strano vecchio scrigno chiuso con un grosso lucchetto arrugginito.
<<Elisa, che ci fai qui!?>> domanda, ma prima che possa rispondergli sfila la coperta marrone da sopra al materasso e me la avvolge intorno come un mantello.
<<Sei fradicia.>> aggiunge corrucciando la fronte indispettito.
Un altro brivido mi percuote facendomi tremare, quando con una mano mi sfiora il collo, per spostare i miei capelli altrettanto bagnati...
È il freddo.
È tutta colpa del freddo.
<<Come sei arrivata qui?>>
<<È un'ottima domanda, ma non ne ho la più pallida idea. È da più di mezz'ora che girovago per il bosco.>> ammetto ridacchiando nervosamente.
<<Ti sei persa?>> chiede alzando divertito un sopracciglio.
<<No... Forse...>>
Scuote la testa sorridendo, facendomi poi spostare sul letto.
<<Quindi hai ben pensato di addentrarti in un bosco che non conosci senza sapere come tornare indietro?>> mi prende in giro, sedendosi di fianco a me.
<<Ha ha, davvero molto simpatico.>> ribatto facendogli la linguaccia e lui fa altrettanto.
L'infantilità inizia a farsi sentire.

<<Tu come ci sei arrivato qui?>> domando per cambiare discorso.
<<Uno degli uomini della Monroe, un certo Jacob, è un appassionato di pesca e mi ha confessato di possedere un capanno vicino al lago, così ho pensato di raggiungerlo per evitare il temporale.>> mi risponde lui con un'alzata di spalle.
Quindi non ero poi così distante dal lago.
Ora è ufficiale, il mio senso dell'orientamento è veramente pessimo.

Non voglio fare calare il silenzio, perché esso mi permetterebbe di pensare e la mia mente tornerebbe inevitabilmente a...
<<Malia come sta?>>
Come non detto.
<<Non lo so, non sono riuscita a rimanere a guardare.>> ammetto abbassando il capo afflitta.
Noto con la coda dell'occhio che mi scruta intensamente dall'alto al basso.
Anche questa volta tenta di leggermi nei pensieri, riuscendoci pienamente, ovviamente.
<<Non è stata colpa tua.>> mi ripete con serietà per la seconda volta nello stesso giorno.
Vorrei riuscire a credergli, vorrei riuscire a mettermi il cuore in pace e vorrei avere unicamente un bel ricordo di quella ragazza, eppure non ci riesco.
La convinzione di questa brutale responsabilità si è ormai impressa fuoco dentro di me, non riesco a cambiare la prospettiva della mia posizione in questa situazione e questo mi fa solo accendere un innato moto di rabbia.
<<E come lo sai? Tu non eri lì.>> dico con un tono decisamente più burbero di quanto sperassi.
La sua faccia si fa ancora più seria quando mi risponde.
<<Non è stata colpa tua.>> ripete con fermezza.
La sicurezza che lo caratterizza mi fa solo arrabbiare maggiormente, così scatto in piedi, abbandonando la calda coperta sul pavimento ed uscendo a passo svelto dal capanno.

La pioggia non ha mai cessato di scendere dal cielo, così quando la mia pelle ancora bagnata incontra nuovamente quella scrosciante acqua gelida, un inevitabile nuovo brivido freddo mi percorrere interamente.
Continuo a camminare, anche quando inizio ad udire i passi svelti di Giacomo dietro di me che tenta di raggiungermi.
<<Elisa, aspetta! Ti prenderai un malanno continuando così!>>
<<Siamo lupi mannari, rimembri? Le malattie ormai sono solo un lontano ricordo.>> ribatto acidamente senza voltarmi, ma sono costretta a farlo quando il moro mi fa ruotare completamente verso di lui, tirandomi per un braccio.
Ora è a soli pochi centimetri da me, già completamente fradicio e visibilmente arrabbiato.
La maglietta bianca che indossava ora gli si è appiccicata totalmente al corpo, prendendo un colore più simile al trasparente, lasciando intravedere il petto dolcemente scolpito.
Preferirei pensare a questo, piuttosto che continuare a sentire nella testa la cantilenante voce della coyote che mi ripete di essere un'assassina.

<<Devi smetterla, non è stata colpa tua.>> continua ad affermare ad alta voce, per sovrastare il rumore di questo violento temporale.
<<E invece sì, è colpa mia! Sono io quella che non c'entra niente con questo mondo, io ho rotto gli equilibri, io ho scombussolato la vita di quei poveri ragazzi, portando solo guai e infiniti problemi! Quindi è solo colpa mia se Malia è morta e non una ma ben due e dico due volte!>>

Vorrei correre via, il più lontano possibile da qui e piangere, piangere fino ad addormentarmi sfinita, fino a crollare completamente come in realtà mi merito, ma Giacomo continua a stringermi saldamente il braccio, impedendomi una qualsiasi possibile via di fuga e le lacrime credo di averle totalmente esaurite in precedenza.
<<Seguendo il tuo ragionamento, sarebbe anche colpa mia. Anche io non centro niente con questo mondo, eppure come te sono qui e so che non sembra, ma sto cercando di fare del mio meglio e sono sicuro che ci stia provando anche tu. Quindi smettila di autocommiserarti e piangerti addosso per colpe che non ti appartengono!>>

Ogni parola che ha pronunciato urlandomi contro mi ha colpita e non sono sicura di riuscire a mantenere lo sguardo nel suo per ancora molto tempo.
Quei due occhi scuri mi spaventano, riescono a leggermi dentro con tale facilità da intimorirmi.
Io invece non ci riesco, non riesco a scovare i segreti che si celano dietro a quelle iridi torbide, non riesco a captare i suoi pensieri così facilmente, come invece lui sa fare con me.
Ma riesco a sentire il suo battito, calmo, lento, nonostante il precedente animato rimprovero e l'espressione corrucciata e in qualche oscuro modo, riesce a tranquillizzarmi.
Prima che possa ribattere in qualsiasi modo, il moro mi tira per il braccio che ancora stringeva saldamente, accogliendomi in un abbraccio.
<<Che cosa mi stai facendo...>>
Sussurra questa domanda retorica stringendomi un po' di più e finalmente, fra le sue braccia forti, per la prima volta da quando sono stata catapultata qui, mi sento al sicuro.

In Another WorldDove le storie prendono vita. Scoprilo ora