Per colpa di quei deficienti, il giorno dopo mi ritrovai ad avere la febbre alta perciò dovetti restare a casa, sotto le mie amate coperte e dentro il mio adorabile letto.
"Cat? Caaatt?" mi chiamò Marika, scuotendomi.
Non le risposi perché non ne avevo la forza. La testa mi faceva male, stavo sudando freddo, rimettevo spesso e, per finire, non potevo chiudere gli occhi perché l'incubo mi stava perseguitando. L'incubo. Era sempre lo stesso e mi tormentava da anni:
Io, mamma e papà stiamo facendo un picnic. È tutto perfetto: il cielo è sereno, il sole scalda la pelle, le nuvole sono bianche e soffici. Il tutto incorniciato da tante risate. Ma quella pace ha breve durata, perché una macchina sta correndo veloce verso di noi. Mia madre mi spinge, salvandomi, mentre loro vengono investiti. Poi, prima dell'impatto, tutto cambia: mi ritrovo in ospedale e piango al capezzale dei miei genitori. Non c'è nulla che io possa fare. Mi sento impotente e spaventata. Il bip della macchina si fa sempre più lento, fino a diventare un rumore fisso. Piango, come non ho mai fatto prima, nascondendo il mio viso tra le ginocchia. Il dolore che ho dentro mi schiaccia e non riesco a respirare. E poi...E poi mi sveglio con le lacrime che scendono sul mio viso e il cuore che batte a mille.
Una parte dell'incubo mi ricordava la morte dei miei genitori. Mi mancate. Mi ricordo quel giorno come se fosse ieri.
Stavo a casa, aspettando l'arrivo dei miei. Ero distrutta per quello che Harry mi aveva detto una settimana prima. Ero depressa: non mangiavo più, bevevo poco e restavo sempre chiusa in camera con la musica a tutto volume. Mia mamma provò a parlarmi, ma io non volevo. Non mi sentivo più neanche con Gemma. Avevo chiuso tutti i ponti. Come dicevo, stavo aspettando i miei genitori. Avevamo deciso di andare a mangiare tutti fuori per festeggiare la promozione di papà. Dovevano arrivare a casa per le 7.00 pm, ma dopo mezz'ora, il panico mi assalì. Provai a chiamare mia mamma, ma non rispondeva nessuno. Provai con mio padre, ma neanche lui rispondeva. Il panico mi serrava lo stomaco. Avevo avuto quella brutta sensazione tutta la giornata ed in quel momento era molto più intensa. Lasciai loro un sacco di messaggi in segreteria, ma nessuno si degnava di rispondere. Ero preoccupata e mi stavo sentendo male. Verso le 8.30 pm il telefono di casa iniziò a squillare.
-Mamma, dove sei?-
-... lei è la signorina Williams?- mi chiese una voce sconosciuta
-Si, sono io. Ma chi è lei? Dov'è mia madre?-
-I suoi genitori hanno avuto un incidente stradale. Non c'è l'hanno fatta, mi dispiace.-
-Sta scherzando? In che ospedale siete?- chiesi allarmata
-Saint hospital- disse lo sconosciuto. Riattaccai e poi chiamai un taxi. Una volta arrivata all'ospedale chiesi informazioni. Mi portarono in una stanza molto fredda. Appena entrai li vidi: erano allungati su dei lettini, con gli occhi chiusi. Fu in quel momento che crollai. La consapevolezza, il senso di colpa, la rabbia ed altre emozioni che non riuscii ad identificare, esplosero dentro di me. Le lacrime scorrevano sul mio viso come l'acqua dal rubinetto. Dopo fu tutto confuso. Fu come se la mia vita si fosse fermata.
Mi riscossi dai miei pensieri. Quando Marika si affacciò nella mia stanza, strabuzzò gli occhi.
"Sono messa così male?" sussurrai con voce rauca, facendo una smorfia di dolore.
"Un pochino... volevo dirti che esco con Liam, però non me la sento a lasciarti da sola in questo stato" mi rispose lei. Scossi la testa.
"Non ti preoccupare per me... è solo un po' di febbre" sussurrai cercando di convincerla.
"Sei sicura? Perché non mi pesa disdire l'appuntamento" Scossi la testa.
"Giuro che se lo fai, ti sbatto fuori di casa" dissi puntandole un dito contro con fare minaccioso. Beh, che tanto minaccioso non era visto le mie condizioni.
"E se faccio venire qualcuno? Tipo Jimmy?"
"Non può. È andato al compleanno di una parente" risposi io. "E non farti venire in mente di portare qui Harry"
"Va bene, va bene" disse sbuffando. "Ma non posso lasciarti a casa da sola" continuò cocciuta come un mulo.
"Marii sul serio, non ti preoccupare. Faccio venire... mmm...Liz" dissi inventandomi una scusa.
"E chi è Liz?" Non mi credeva e faceva bene a non farlo.
"Come chi è? Mia cugina"
"E come mai, in sette anni che ti conosco non l'ho mai vista e neanche sentita nominare?" chiese lei, incenerendomi con lo sguardo. Sapeva che stavo mentendo.
"E che ne so' io" sussurrai. "Gira tutto"
Le forze mi stavano abbandonando. L'unica cosa che ricordai furono le parole allarmate di Marika.
"Cat? Cat? Per favore rispondi!"
Poi il buio mi avvolse.
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Quando credi di odiare finisci per amare || H.S. ||
FanfictionLe parole posso distruggere. Le parole possono guarire. Sembrerebbe assurdo, vero? Ma non è così. Lei è cambiata da quando quelle parole le sconvolsero la vita. Lei ora è diversa. Potranno le parole e i gesti di lui guarire le sue ferite? Potrà l'o...