Un angelo

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Dovevo ammetterlo: quella sera mi divertii. Il giorno seguente, dopo essermi svegliata e preparata, uscii. Mi ero messa d'accordo con Gemma: ci saremo viste alle 10,00 allo starbucks dietro l'angolo. Mi aveva fatto piacere rivederla, dopotutto quello che avevo passato.

Ci siamo perse di vista, pensai, ma la colpa è mia. Potevo farmi sentire, ma non l'ho fatto. Volevo lasciarmi il passato alle spalle. Dimenticare. Ma il dolore che provavo era troppo forte: non avevo nessuna ragione per cui vivere...

***

Se sapessi con chi parlare, non scriverei su questo quaderno. Ma non ho nessuno. Le persone che amavo se ne sono andate, quindi perché dovrei continuare a vivere? Tanto anche se morissi non importerebbe ad anima viva. Sono sola. Per i miei zii sono solo d'impaccio. Non ho amici. Forse posso reputare una mia amica quella Marika. Mi sembra simpatica, ma non mi fido. Non mi fido più di nessuno. Non voglio più soffrire. Sento questo vuoto nel petto, che a volte non mi fa neanche respirare. È come se mi avessero rubato il cuore e al suo posto ci avessero messo un buco nero che risucchia via tutto. Non riesco più a provare rabbia, delusione o dolore. Non provo niente. Non so se posso reputarlo un bene o un male...  Solo di una cosa sono certa: voglio lasciare questo posto.

***

Dopo aver scritto nel mio diario improvvisato, ovvero un quaderno piccolo a quadretti, lo nascosi e uscii di nascosto. Tanto non si sarebbero accorti che mancavo. Non se ne sarebbe accorto nessuno. Andai in Blackfriars Bridge, una specie di ponte che si affacciava sul River Thames. Poi mi sedetti sul muretto. Pensai. Pensai a mia madre. A mio padre. Alla mia vita. E, purtroppo, anche ad Harry. Dopotutto quello che mi aveva detto, oltre lo strato di dolore e rabbia, lo amavo ancora. Mi odiavo per questo. E forse non avrei amato nessun altro come avevo amato lui. Guardai il cielo. Quella notte era incorniciato da molte stelle. Le contai: erano una ventina. Ero decisa su quello che dovevo fare. Non avevo ripensamenti né rimpianti. Stavo quasi per 'cadere', forse è meglio dire buttarmi, quando una voce mi fermò.

-Ehi tu! Ragazzina!- urlò. Mi girai verso la voce: era un uomo, alto, robusto e magro. Solo quando si avvicinò molto di più capii che era un ragazzo, qualche anno più grande di me. Quando arrivò vicino a me, aveva il fiatone. -Che stavi facendo?- mi chiese ancora senza fiato.

-Non è evidente?- ribattei io. Lo guardai negli occhi. Erano verdi. Erano così simili a quelli di Harry, che per un attimo pensai fosse lui. -Harry?- chiesi con gli occhi lucidi –sei davvero tu?-

-Non mi chiamo Harry e tu non dovresti fare quello che stavi per fare- mi rispose lui. 'No, non è il mio Harry.'

-Perché? La vita fa veramente schifo... c'è troppo dolore ed io sono stanca di soffrire- dissi guardando in alto. La notte quella sera era spettacolare. Non c'erano nuvole, la luna illuminava tutto e le stelle brillavano.

-Perché loro non lo vorrebbero, Wendy- rispose lui. Quando mi girai, sorpresa per quello che aveva detto e soprattutto per come mi aveva chiamato, notai che anche lui guardava il cielo. -Sai, ci sono persone che vorrebbero vivere anche solo un'ora in più. Tu hai la possibilità di farlo. Non buttarla- continuò lui.

-Come ti chiami?- chiesi io. Ero curiosa.

-Mi chiamo Michael, ma puoi chiamarmi Miki. E tu Wendy?- rispose lui, guardandomi e porgendomi la mano.

***

Quando entrai nel bar, mi guardai intorno. Vidi Gemma seduta in un tavolino all'angolo, vicino alla seconda uscita. Mi avvicinai e mi sedetti sulla sedia vuota.

"Ciao" la salutai io.

"Ciao, Cathy" fece lei sorridendomi.

"Allora, abbiamo molte cose di cui parlare..."

"Moltissime" disse lei. "Comincia tu"

"Ah! Facciamo una volta per uno" risposi io testarda.

"Va bene. È inutile con te, vero?" ridacchiò.

"Mi conosci bene" ribattei io. "Dai, dimmi: cosa è successo quando me ne sono andata?"

Quando credi di odiare finisci per amare || H.S. ||Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora