Cat's Pov
Dopo molte ore di viaggio finalmente arrivai a Holmes Chapel. Vidi casa mia: era rimasta la stessa. Gli stessi muri verdi, sbiaditi dagli anni; lo stesso giardino con ancora le altalene e la casa sull'albero; la stessa porta viola che metteva così tanta allegria. I ricordi mi colpirono come un fulmine: papà che mi spingeva sull'altalena, i picnic vicino all'albero. Mi ricordai quando mi misi in testa di voler fare un campeggio: volevo vedere le stelle.
Cercai di non piangere, ma le lacrime avevano deciso di fare a testa loro, annebbiandomi la vista. Entrai in casa.
Altri ricordi, quelli che avevo sepolto così in basso, ritornarono. Le litigate con mamma, noi tre che vedevamo la tv, io che cucinavo una torta per il compleanno di papà, io e Gemma, mamma che puliva. Lacrime, lacrime salate. Malinconia, tristezza. Mi accasciai a terra e svenni.
**
Mi svegliai la mattina seguente con un gran mal di schiena e mal di testa. Dopo essermi cambiata, decisi di andare a fare colazione, visto che non c'era niente da mangiare, perciò mi diressi verso il mio bar preferito. Ci andavo spesso assieme a Gemma e un paio delle sue amiche. A volte ci venivamo per spiare Harry...
Ritornai al presente. Il ristorante era rimasto lo stesso: tavolini rotondi, sedie comode e alte, pareti color crema e quadri che raffiguravano ogni parte del mondo e i due proprietari che si abbracciavano teneramente. Erano due simpatici signori con cui parlavo ogni volta che andavo in quel bar e mi raccontavano dei loro viaggi pazzeschi. Si chiamavano Mary Elizabeth e Alexander ed erano delle persone fantastiche. Al bancone però non c'erano loro, bensì un ragazzo alto, con i capelli neri e occhi azzurri alquanto familiare, ma non me preoccupai. Quando mi vide gli si spalancarono un po' gli occhi.
Che cretino, pensai alzando gli occhi al cielo. Manco non avesse mai visto una ragazza.
Andai a passo deciso verso di lui, con il sorriso malizioso che usavo per far colpo sui ragazzi.
"Salve" disse lui deglutendo rumorosamente. Sembrava un ragazzino alle prime armi, anche se si vedeva che aveva la mia stessa età, se non qualche anno più grande. "Cosa desidera?" Mi chiese lui. Per un attimo scacciai tutte le mie preoccupazioni, facendo partire quel giochetto. Volevo farlo impazzire.
"Mmm" dissi portandomi l'indice al mento con fare pensieroso. "Vorrei della cioccolata calda" Il ragazzo stava praticamente sbavando. Cercai di trattenere la risata e mi uscì un tossicchiare pesante (?). Non proprio femminile...
"Sta bene?" chiese lui. Annuii in risposta e mi ricomposi. "Sei nuova di qui? Non ti ho mai visto in giro" continuò lui.
"No. Vivevo qui molto tempo fa..." dissi con una nota triste. I ricordi mi vorticarono per la mente. Cercai di chiuderli dentro la porta, spingendoli con forza. "Come ti chiami?" chiesi al ragazzo, cambiando argomento.
"Jeremy. E tu dolcezza?" chiese con finta sfrontatezza. Feci una smorfia.
Il mondo è proprio piccolo.
"Niente dolcezza o piccola con me. Il mio nome è Cat" risposi io.
"Ecco a te, Cat. La tua cioccolata con il mio numero scritto sopra nel caso volessi chiamarmi"
"Com'è premuroso da parte tua..." dissi, civettuola. "Grazie" iniziai indicandogli la cioccolata. "Tieni il resto" Poi me ne andai, senza aggiungere altro. Se sperava in una mia telefonata, allora avrebbe aspettato per l'eternità.
Jeremy e la sua maledetta festa del cazzo. Chi l'avrebbe mai detto che l'avrei rivisto? Non io, di certo.
Non appena tornai a casa, mi misi subito a cercare. Cosa non lo sapevo neanche io: documenti, forse? Fogli? Foto? Secondo le carte che zia Emily mi aveva dato il giorno prima, Andrew Williams non era mio padre.
Perché? Perché? Per un solo momento ho iniziato a pensare che finalmente la mia vita sarebbe migliorata e invece BAAAM una bomba è esplosa, distruggendo quello che ero riuscita a creare con tanta fatica.
La prima stanza fu quella dei miei, dove era più probabile che ci fosse qualcosa. Erano passati sette lunghissimi anni. Sette anni dalla loro morte, sette anni dalla mia distruzione. Le cose erano cambiate da allora, ma in quella casa era come se nulla fosse successo. Come se i miei genitori non fossero morti ed io non fossi rimasta irrimediabilmente rotta.
Presi tutto il coraggio che avevo e aprii quella dannata porta. Era rimasto tutto come allora. Nessuno aveva toccato niente. Incominciai a frugare nel comò, ma lì non c'era nulla. Poi mi diressi verso l'armadio e cominciai a togliere tutto. Decisi di prendermi delle magliette di papà, per tenerlo vicino a me. Sul fondo dell'armadio trovai uno scatolone, con su scritto il mio nome.
Harry's Pov
Erano passati due giorni da quando Cat era scomparsa. Marika mi aveva dato una lista dei posti dove potesse trovarsi, ma non c'era. Avevo praticamente setacciato tutta Londra, ma di lei nessuna traccia. Dire che ero preoccupato sarebbe stato un eufemismo, non riuscivo a concentrarmi. I ragazzi lo sapevano, non potevo nascondergli niente. Mi supportarono e mi aiutarono come meglio poterono, ma non attutiva tutta l'ansia che avevo. Era come scomparsa nel nulla, dannazione. Provavo a chiamarla, ma aveva sempre il cellulare spento. Non capivo dove potesse essere e l'unica cosa che potevo fare era aspettare.
Cat's Pov
In quei due giorni le mie poche certezze furono messe a repentaglio. Mia zia aveva ragione, purtroppo. L'identità del mio padre naturale era sconosciuta, mia madre nel documento di nascita aveva lasciato vuoto quel nome, perciò non scoprii poi molto di più. Era tutto così confuso e inaspettato...
Girovagai un po' per la città, per schiarirmi le idee. Andai al vecchio parco che quando ero piccola consideravo come un rifugio. Con le cuffie all'orecchie andai verso la prima altalena che incontrai e cominciai a dondolarmi. Vedevo i bambini che giocavano allegri. Li invidiavo. Erano così spensierati, così innocenti, così ignari del mondo a cui stavano lentamente andando in contro.
Verso il tardo pomeriggio decisi di andare a casa mia, per prendere le ultime cose, per poi tornare a Londra. Lungo il tragitto mi scontrai contro una signora. Era impossibile non riconoscerla. Era rimasta identica a sette anni prima.
"Scusi non l'avevo vista" feci io, sperando che non mi riconoscesse.
"Oh non preoccuparti" disse prendendo le cose cadute a terra. L'aiutai. Quando mi guardò, vidi i suoi occhi spalancarsi. "Eleonor?"
Scossi la testa. Eleonor, il nome di mia madre. "Non sono lei" dissi triste.
"Non ci posso credere! Cathy!" esclamò sorpresa.
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Quando credi di odiare finisci per amare || H.S. ||
FanfictionLe parole posso distruggere. Le parole possono guarire. Sembrerebbe assurdo, vero? Ma non è così. Lei è cambiata da quando quelle parole le sconvolsero la vita. Lei ora è diversa. Potranno le parole e i gesti di lui guarire le sue ferite? Potrà l'o...