Capitolo 10

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Elsa's pov

"In fondo siamo adolescenti: lasciateci stare a casa, lasciateci prendere le insufficienze, lasciateci piangere per amori o per gli amici, lasciateci sbagliare. Un giorno impareremo, ma non sarà ancora il momento"

Salii nel pullman della Juventus, finalmente ero arrivata sana e salva ai campetti vicino lo stadio San Paolo, rischiavamo di rimanere a piedi, ma alla fine ce l'abbiamo fatta. Ieri ero tornata in albergo verso le 8 di sera e ho mangiato al ristorante come al solito, mentre Leonardo e i suoi compagni di squadra erano tornati alle tre di notte per una festa in piazza. La chiave elettronica dell'albergo ce l'aveva quel tonto di mio fratello, quindi mi ero appisolata su una poltrona all'ingresso dell'albergo. Non avevo neanche dormito in pace a causa di un vecchio che russava al mio fianco di continuazione, era stato orribile!
Dormito sì e no cinque ore scarse, Leonardo aveva rinviato due o tre sveglie consecutive e alla fine quella della 8, un orario che nella lingua di mio fratello e di Allegri equivaleva a un ritardo. Io me l'ero presa con comodo, invece mio fratello per poco non sfondava la porta del bagno ed io per la fretta stavo cadendo dalla scale. Ero dei fratelli molto normali, certo.

"Era ora, Leo! Ciao anche a te, sorellina di Leonardo."esclamò in sua magnificenza Miralem Pjace, un compagno di squadra di mio fratello, che nonostante fossero passati 12 anni, non aveva ancora imparato il mio nome.

"Si chiama Elsa."rispose Juan Santoro , il centrocampista e attaccante della squadra.

"Troppo difficile da ricordare, preferisco sorellina di Leonardo."ribattè a sua volta Miralem. Mi battei una mano in fronte per la sua memoria da criceto e per la sua stupidità, mi chiedevo come facesse a ricordarsi i gol o le partite per la sua memoria da criceto.

"Non ci vuole un genio per ricordarlo: sono quattro lettere, Elsa. E-L-S-A." Dissi allo bosniaco sorridente trovatosi di fronte a me. Detto da Leonardo e Paulo, Miralem lo faceva un pò apposta a dare appellativi alla gente.

"Ripeto: troppo lungo da ricordare."

Non aveva una memoria da criceto, ma si diverte a dare appellativi alle persone  ed ora mi ha presa sott'occhio. Sapevo che non dovevo prendermela per la sua stupidità, ma non potevo fare a meno di irritarmi per le sue risposte del cazzo, detestavo essere presa per il culo. Prendevo in giro solo a Rita o a Manuela per la confidenza e l'amicizia che c'era da tanti anni tra noi, ma non prendevo in giro persone a caso solo per lo sfizio di vederle deboli davanti ai miei occhi e mostrarmi un essere superiore. Lo trovai ridicolo.
Fissai Pjace in cagnesco, ero pronta per dare un'altra delle mie risposte acide che lo avrebbe subito zittito. Mio fratello mi diede un pizzicotto sul braccio per zittirmi, non voleva assistere a un altro dei nostri battibecchi, alla fine lo ignorai ed entrai nel pullman, non valeva la pena prendersela per un coglione come lui.

Presi posto vicino al finestrino, mi era sempre piaciuto guardare il panorama dal finestrino, soprattutto con gli auricolari nelle orecchie e mi perdevo nei miei pensieri. Guardai i ragazzi sedersi vicini che scherzavano fra di loro o che cantavano ritornelli dell'estate precedente. Mi sentii male a quella visione, capii che la vita di mio fratello e quella dei loro amici era mille volte meglio della mia. Spesso sentivo Bruno che m'invidiava, diceva che l'adolescenza era il periodo più bello della nostra vita ed è l'età delle pazzie con i migliori amici, dei primi amori.

Invece vorrei dirgli che sono tutt'altro che fortunata. Sembrava brutto da dire poiché vi erano cose ben peggiori nella vita, ma la mia non la ritenni fortunata. Con una madre che pensava solo a sè e con uno scopo di trasformarmi in una persona che non ero, senza contare che non accettasse la mia passione della scrittura e del calcio e ciliegina sulla torta anche  il libro bruciato e annullato il contratto con la casa editrice. Stamattina mi aveva inviato il messaggio del buongiorno e una foto della figlia di una sua collega che si era appena laureata in giurisprudenza, come se a me importasse un fico secco di loro. Avevo un padre sempre pronto al mio fianco, ma che non credeva in me e nelle mie potenzialità,  un fratello che cercava di soffocarmi con le regole di mia madre cercando di far del bene, quando mi fa solo del male. Infine, la cosa più triste di tutte era che a scuola non rigavo dritto e ne combinavo guai su guai, rendendo mia madre più odiosa di quanto non lo fosse.

Due Battiti Cardiaci In Un CuoreDove le storie prendono vita. Scoprilo ora