Inizio flashback
Il paesaggio era deserto eppure confortava gli occhi: la luce della luna si diffondeva tra le nubi scure che coprivano la distesa del cielo stellato, il vento spirava da sud-est e spazzava i capelli neri della ragazza che in quel momento stava camminando per il parco con le mani dentro le tasche dei jeans e gli scarponcini sguazzanti nel fango dovuto alla pioggia pomeridiana.
I suoi occhi azzurri brillavano come diamanti nell'oscurità circostante.
Non sapeva perchè ma da quando ne avesse memoria aveva sempre amato la notte, con i suoi colori, i suoi suoni e i suoi odori: quella calma successore di una giornata stancante, i grilli che intonavano il loro canto nel silenzio del vento, il blu che proiettava in un ombra i colori del mondo.
Si passò una mano dietro al collo, per poi posarla sul ciondolo da cui questo pendeva. Si supponeva appartenesse alla madre, lei non ne era certa, non la aveva mai conosciuta, e mai ne aveva avuto notizie.
Ma le piaceva pensarla così: almeno in quel modo aveva una scusa per sentirsi vicina a lei.
Accarezzò la pietra con le dita e la sistemò dentro la maglietta, lontano da occhi indiscreti.
Devo essere forte si disse per me stessa, per me e per nessun'altra
Si inoltrò nel parco, sulla macchia boscosa che dava sul laghetto. Chiuse gli occhi beandosi dell'aria notturna.
Le suore non sapevano di queste sue passeggiata e mai avrebbero dovuto saperlo: insicure com'erano di prendersi cure di tanti e di tanti di quei adolescenti avrebbero preferito che una ragazza dell'età e della bellezza di Chiara rimanesse nell'edificio a terminare i compiti o a dedicarsi a qualsivoglia attività piuttosto che fuori a quell'ora della notte.
Sentì dei rumori provenire dalla sua destra. Aprì gli occhi di scatto e si immobilizzò. Il cuore le batteva forte e il respiro le si era smorzato.
Tirò fuori le mani dalle tasche stringendo i pugni cercando di darsi un contegno.
Era una ragazza forte, molto forte e chiunque sapesse la sua storia sarebbe della stessa opinione, ma le intemperie a cui la vita la aveva costretta a confrontarsi la avevano resa insicura e sempre in guardia.
Si mosse a passo felpato verso i rumori, che diventavano sempre più forti e strani. Poggiò una mano su un albero e si sporse oltre. Una lunga chioma rossa veniva scompigliata da delle mani robuste e delle dita lunghe e affusolate tiravano con trasporto dei corti capelli marroni.
Sulle prime Chiara non capì la situazione, perciò agguzzò la vista e piegandosi in avanti spostò una gamba e con il piede spezzò un ramoscello in due.
Lo scricchiolio risuonò nella quiete del silenzio e i due ragazzi si staccarono spaventati e si girarono verso la direzione del rumore. Entrambi la squadrarono confusi: lui le sorrise, lei la osservava con uno strano cipiglio sul volto
Chiara sentì il calore riscaldarle le guance quando la rossa, decisamente irritata dalla sua apparizione, artigliò le spalle del ragazzo e lo spinse verso di lei riprendendo quel focoso bacio.
Chiara sbuffò e si allontanò alla volta dell'argine del laghetto. Si sedette per terra incurante della sporco che adesso aveva macchiato i suoi jeans scuri: d'altronde erano vecchi e logori e Chiara non aveva mai dato importanza al suo aspetto esteriore.
Certo gli sguardi di superiorità che le rivolgevano le altre ragazze non la lasciavano indifferente ma il suo piccolo mondo era formato solo ed esclusivamente da se stessa, e non per una questione di egocentrismo, per quanto possa sembrare, più per una sorta di legge di sopravvivenza.
Era stata abbandonata in una notte fredda e piovosa sulle scale di un orfanotrofio vicino alla periferia della città, all'ombra di una chiesa, e dopo tante lacrime e urla era stata finalmente accolta nel calore del focolare domestico.
Da quel momento, fatta eccezione per le amorevoli cure delle suore, che a causa del numero di orfani e delle altre faccende del convento si limitavano ai bisogni primari, l'unica persona che era stata in grado di prendersi cura di lei era stata proprio lei stessa.
Per cui delle semplice chiacchiere e delle risatine non le scalfivano le spalle più dei suoi precedenti.
Stese le gambe e si sostenne sui gomiti lasciando che i capelli le cascassero all'indietro. Si stiracchiò e poi si rimise composta. Incrociò le gambe, sbadigliò e osservò l'acqua del laghetto incresparsi a causa del vento, riflettendo.
Quello era il suo posto, il suo angolo di paradiso dove tutto era tranquillo e le sue uniche compagne erano la lune e le stelle adesso più visibili di quanto non lo fossero prima.
Ridacchiò ricordando la faccia della ragazza incontrata prima: temette di averli interrotti sul più bello tuttavia non ci diede tanto peso. Il ragazzo le aveva sorriso, ma sembrava più un riflesso dell'imbarazzo che altro.
Chiara si chiese come doveva essere avere qualcuno si prendesse cura di te, che ti circondasse con il suo affetto tanto da soffocartici mentre tu accetti quella condizione e ti lasci sopraffare da quelle belle sensazioni.
Chiara reprimette questi pensieri e alzò lo sguardo, cercando di focalizzare la sua attenzione su qualcosa di diverso.
Davanti a lei, sulla sponda opposta del lago si stendeva un manto di vegetazione: alberi dagli intrigati rami macchiati di foglie di un verde rigoroso; cespugli, luogo di ristoro di tanti animali, e un erbetta che splendeva di rugiada alla luce lunare. Sull'acqua dava una panchina.
Chiara notò qualcosa di strano vicino questa cosicchè strinse gli occhi cercando di dare un nome all'oggetto che le si presentava davanti.
Era di colore scuro e si confondeva facilmente con l'ombra disegnata dalla panchina e dalla chioma degli alberi ma Chiara riuscì a distinguerne i contorni, e la forma e le tasche e la cerniera: era uno zaino.
Di sicuro era stato dimenticato da qualche bambino sbadato durante il pomeriggio; la scelta migliore sarebbe stata lasciarlo lì, certa che il giorno dopo in un modo o nell'altro sarebbe stato recuperato, anche perchè quel parco non era dotato di una zona addetta agli oggetti smarriti.
Ma Chiara, dotata di una curiosità definibile irrefrenabile, si alzò e, dopo aver strofinato il retro dei jeans con le mani, si diresse verso l'oggetto dimenticato.
Lo raccolse da terra e lo osservò sotto una migliore illuminazione: era piuttosto piccolo, in pelle nere, ma appariva anche piuttosto vecchio e rovinato a causa delle smagliature che presentava sulla superficie e della cerniera di una tasca esterna rotta.
Si disse che non doveva aprirlo, che doveva farsi per una buona volta i fatti suoi, che doveva ricordarsi a cosa l'ultima volta la sua curiosità l'aveva portata.
Rabbrividì a quell'ultimo ammonimento eppure una parte di lei continuava a ripeterle che era solo uno zaino, che non poteva succederle niente di male.
Si passò una mano fra i capelli, lasciando che le dite le scivolassero fra le ciocche morbide frustata.
Un altro brivido le attraversò il corpo al ricordo di come solo quel pomeriggio esse erano state tirate senza alcuna pietà.
Sbuffò e spinta da chissà quale impeto aprì la cerniera della tasca più grande e frugò al suo interno.
Vi trovò una bottiglietta d'acqua, una busta con dentro due tramezzini e un quadernetto rilegato in cuoio, su cui focalizzò la sua attenzione.
Tre lettere erano state intagliate sulla copertina: N.D.A.
Ancora più confusa e ormai in balia del più innocente interesse aprì il quadernetto e sulla prima pagina lesse
Nico Di Angelo
nato a Venezia, il 28 gennaio 1932
da Maria Di Angelo
Campo MezzosangueSPAZIO D'AUTORE
Eilà gente!
Come state?
Io sto un po' così e l'idea di dover studiare greco non è esattamente il miglior aiuto ma capita hahah.
Ultima cosa prima che vi lasci: sto correggendo i primi capitoli quindi se vi arrivano notifiche strane è per questa ragione :)
Spero stiate bene e siate felice
All the love❤️
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CONTROLUCE-Solangelo
Teen FictionNico e Will, insieme a sette, si ritrovano a dover affrontare una nuova forza, antica e potente, capace di manipolare la mente e la materia quattro anni dopo la guerra contro Gea. Una nuova profezia è stata annunciata e loro credendo di essere final...