CAPITOLO DICIANNOVE

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29 maggio 1940

Caro diario,

oggi rileggendo queste pagine mi sono accorto di non essermi mai presentato, non che sia necessario considerando che qui sono lo scrittore ma anche l'unico lettore, però in molti libri che ho letto i personaggio danno come minimo un'idea di sé in un modo o nell'altro, e vorrei farlo anche io.

Mi chiamo Nico e ho otto anni. Ho i capelli e gli occhi neri.

Sono piuttosto alto per la mia età però sono smilzo e come dicono gli altri bambini cado facilmente perchè basta uno spintone a destabilizzarmi.

Mi chiamo Nico e voglio raccontarti una storia.

C'era una volta in un luogo e in un tempo indefiniti un bambino.

Non si hanno notizie del suo aspetto fisico e tanto meno del suo modo di essere eccetto una particolare informazione che sembrò tuttavia averlo macchiato di un inchiostro nero.

Era una bella giornata: il sole splendeva alto nel cielo accompagnato da una leggere brezza mentre in un'aula scolastica un bambino, il nostro bambino, riceveva i complimenti per un compito svolto.

Il bambino era molto sveglio e avrebbe potuto vantare prontezza di spirito e intelligenza se solo avesse voluto, perché in questo modo veniva definito dagli insegnanti ma il bambino negava sempre di fronte a meriti e a qualità che non riconosceva come suoi.

Sua madre lo aveva educato sulla base della modestia e della gentilezza e mai la avrebbe delusa non portando rispetto a questi principi.

Ma, caro diario, saltiamo la restante parte della lezione che dubito ti interessi e arriviamo al suono della campanella e a come i bambini, stanchi di stare seduti su delle sedie fredde e scomode, si precipitarono come un fiume in piena nel cortile.

Il bambino li seguì con molta più calma sapendo che non c'era nessuno aldilà del portone ad aspettarlo.

Il bambino purtroppo peccava nelle relazioni sociale: a quanto pare non era riuscito ad essere abbastanza simpatico e sveglio da star al passo con tutti gli altri venendo escluso da qualsiasi attività lo permettesse.

Il bambino così si sedette all'ombra di una quercia aprendo il suo quadernetto, che potremo definire il suo diario.

Voleva scrivere della sua giornata, delle parole della maestra e di come esse lo avessero colmato di gioia e lo avessero portato a provare di nuovo quella splendida sensazione di soddisfazione personale: di nuovo qualcuno si era complimentato per il suo essere quel bambino.

Tuttavia il bambino, rabbuiandosi, si ricordò dell'ultima volta che aveva provato ad annotare qualcosa a scuola e della reazione degli altri bambini.

Si guardò intorno: c'era chi mangiava, chi rideva e chiacchierava, chi giocava.

Tanti piccoli gruppetti a cui il bambino non sarebbe mai potuto accedere.

Chiuse il quadernetto, sospirando, e diede un morso al suo panino.

Ripensò al discorso con la sorella, a come lei avesse cercato di convincerlo a parlare con gli altri, a presentarsi poiché era sicura che bastasse che loro conoscessero anche solo un poco del bambino e si sarebbero pentiti di come lo avevano trattato e del tempo perso senza la sua compagnia.

Però il bambino aveva risposto urlando, con il volto rigato dalle lacrime: "Loro mi odiano! Io non ho fatto niente, Bianca. Te lo giuro. Non ho mai risposto, non ho mai alzato le mani, sono sempre stato gentile.

CONTROLUCE-SolangeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora