CAPITOLO TRENTACINQUE

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Percy socchiuse un occhio quando alzò lo sguardo rivolgendolo al cielo di New York.

Era appostato nella hall dell'Empire State Building da un paio di ore in attesa che Chiara arrivasse.

Lui, Annabeth e Piper erano arrivati alla conclusione che cercarla sarebbe stato pressoché inutile e che perciò era più conveniente raggiungere l'Empire State Building e attendere che fosse lei ad andare da loro.

Ad essere sincero Percy non era mai stato una persona molto paziente ed essere fermo lì, sotto i raggi cocenti del sole che filtravano tramite la finestra, senza avere la più pallida idea di quello che sarebbe potuto accadere, lo stressava parecchio.

Avrebbe preferito fosse stata almeno l'attesa dello scoppio di una battaglia più che sicura perché almeno in quel caso avrebbe dovuto preoccuparsi di affilare le spade, studiare le tecniche di combattimento, accertarsi che le persone che amava sarebbero state al sicuro.

Invece Percy si trovava a dover stare in un angolo buio dell'edificio sperando che la prossima giovane donna dai capelli scuri a passare fosse Chiara Esposito.

Percy non aveva neanche la più pallida idea di quello che avrebbe fatto una volta individuato Chiara.

La avrebbe placcata? Le avrebbe urlato contro? La avrebbe minacciata con la spada?

Non lo sapeva.

Si passò una mano fra i capelli e si sistemò più comodo sulla poltrona.

Il cielo si apriva tramite la finestra proprio di fronte a lui ed iniziava a temere che il contatto diretto con i raggi del Sole gli avrebbe rovinato la vista.

Certo era un'esagerazione, però preferiva concentrarsi su quello piuttosto che sulla strana sensazione che dava la consapevolezza di avere lo sguardo disprezzante e arrabbiato  del portiere su di sé.

Dal primo momento in cui Percy aveva messo piede lì dentro, il portiere non aveva smesso di lanciargli occhiatacce e non aveva detto un parola, molto probabilmente ricordandosi di quando da ragazzino Percy era salito per la prima volta sul monte Olimpo.

Questo pensiero spinse Percy a ripercorrere il tunnel dei ricordi e in un certo senso provò nostalgia: quei momenti, quelle battaglie e quelle scelte avevano fatto la sua storia e lo avevano reso ciò che lui era diventato e tutto sommato non era cresciuto tanto male, tralasciando quelle che pensava Annabeth.

Percy ridacchiò perché in fondo tanto male non doveva essere se si considerava che Annabeth era incinta di suo figlio.

Il portiere sbatté dei fogli sul balcone fulminando Percy con lo sguardo e richiamandolo al silenzio.

Percy alzò le mani in segno di resa iniziando a sentirsi un po' invidioso della cordialità che il portiere invece rivolgeva a tutti gli altri clienti.

Il portiere si schiarì la gola e Percy alzò gli occhi al cielo.

Si stava preparando a dire qualcosa per la prima volta da quando era entrato ma chiuse la bocca non appena una chioma nera fece capolinea nella hall.

Si girò completamente dando la schiena al bancone quando una donna con un impermeabile giallo fece il suo ingresso.

Percy la osservò con la coda dell'occhio e scorse degli stivali di pelle e dei capelli dritti come spaghetti raccolti in una coda.

Non riusciva a distinguere niente del volto e aveva tutti i nervi tesi, pronti a inviare lo stimolo dal cervello ai muscoli di fermare quella donna nel caso si fosse rivelata essere Chiara.

"Buongiorno signora, in cosa posso esserle utile?" le domandò cordiale il portiere.

Di solito il portiere si limitava a un saluto distratto con gli abitanti del palazzo: dunque quella doveva essere un'estranea.

CONTROLUCE-SolangeloDove le storie prendono vita. Scoprilo ora