Il Sole si affacciava incombente e possente oltre il promontorio che incongruentemente abbracciava i profili dei palazzi squadrati, filtrando fra le centinaia di finestre che si spalancavano giocose al primo mattino. Camila, supina sul divano consunto -divano che si era categoricamente rifiutata di sostituire con un modello nuovo perché testimone di innumerevoli disavventure-, con una bottiglia di birra in mano e due lattine di coca-cola accartocciate e scalciate nella fossa laterale, venne destata da un impertinente raggio tenue che filtrò spudorato attraverso la finestra.La cubana mugolò contraddittoria, voltandosi dall'altra parte per eludere il buongiorno accecante che le abbacinava la vista. Stava per sprofondare fra le braccia invitanti di Morfeo quando lo stridulò allarme della sveglia irruppe nel silenzio solitario dell'appartamento, trapanandole i timpani.
Accidenti a me e a quando ho scaricato questa applicazione del cavolo. Si rimproverò mentalmente Camila, tastando la moquette alla ricerca dello smartphone martellante.
La sua mano stava ancora navigando alla cosca quando il frastuono si interruppe autonomamente e pochi secondi dopo il telefono le precipitò addosso. Almeno che le leggi della gravità non si fossero sovvertite -il che era possibile tenendo conto il quantitativo di birra che aveva trangugiato- qualcuno le aveva lanciato l'oggetto.
«Muoviti, Mila. La colazione con Ally, te la sei dimenticata? Ma dico io, che impostiamo la sveglia a fare se poi la devi evitare? Mah.» L'inconfondibile borbottare di Dinah, la sua migliore amica, fu l'ultimo toccasana per il suo non-sonno.
«Ho capito, ho capito. Mi sto alzando.» Biascicò assonnata la cubana, stropicciando con forza le palpebre per elidere le tracce consistenti della precedente notte.
Dinah ormai era diventata una pseudo-coinquilina. Trascorreva cinque notti su sette a casa sua, eccetto per rare occasioni, mentre il weekend peregrinava fra casa di un "amico" e l'altro. Aveva affittato un modesto appartamento in pieno New York o, meglio: suo padre glielo aveva affittato. E per quanto il panorama fosse mozzafiato, per quanto i quadri moderni che sua madre si ostinava a regalarle, per quanto la cucina hi-tech fosse rifornita di qualsiasi prodigio avveniristico si possa immaginare e per quanto lo standard del prezzo fosse notevolmente ridotto per un lusso simile nel centro nevralgico della grande Mela Dinah non gradiva trascorrerci il suo tempo. Camila era quasi certa che avesse pernottato massimo sei volte a casa propria e mai da sola. Un po' poche in quattro anni.
Non che a lei dispiacesse la presenza dell'amica, che oltre a prevenirle un coma etilico, l'aiutava con le faccende domestiche e le rallegrava la giornata, ma la cubana non soffriva nemmeno la solitudine, ecco perché a volte bramava il fine settimana come fosse oro.«Camila!» La redarguì altisonante la polinesiana quando sbucando dalla cucina la vide ancora inerme sul divano.
«Che palle.» Bofonchiò la cubana, trascinandosi a forza in piedi.
«Ti ho sentita!» Urlò Dinah mentre spariva nuovamente in cucina.
La cubana scosse la testa, stirando le pieghe del cuscino dalla faccia. Mentre Dinah saccheggiava le sue scorte di cereali, caffè e latte -bevendo quasi certamente dal cartone-, Camila ne approfittò per una rapida manutenzione mattutina che illeggiadrisse gli occhi pesti.
Da qualche settimana si era adagiata sugli allori, vivendo un periodo di licenziosità e apparente spensieratezza. "Apparente" proprio perché sono i momenti di dissolutezza che nascondono i più torbidi stati d'animo.
Camila aveva sempre sgobbato. Prima come cameriera ad un ristornate rinomato in pieno centro che pullulava dei più ingenti cognomi newyorkesi. Un locale che guadagnava il triplo di quello che spendeva, ma non pagava gli straordinari. Funziona così. Camila quindi aveva dovuto trovarsi un secondo lavoro. Inizialmente aveva badato ai bambini dei vicini, Mark e Sasha. Due pesti in piena regola che oltre a combinare un guaio -a testa- ogni giorno, si divertivano anche a frignare davanti ai genitori e a colpevolizzarla per i loro pasticci. Se ne era andata dopo due settimane, e chi se visto se visto. Aveva ripiegato per un po' su Labrador, Pastori Tedeschi, Barboncini e chi più ne ha più ne metta. Li portava a spasso ogni mattina, tre ore, e per ogni cane le veniva retribuita una buona paga, essendo i suoi datori di lavoro tutti alti funzionari o quant'altro che in quanto a finanze non avevano di che preoccuparsi. Ricordava ancora tutti i nomi dei cani che aveva assoldato alla sua scuderia: Percy, Sparky, Denzel, Max, Tre... Era morto suo padre. Proprio così, dal nulla.
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Towers
FanfictionLauren, 25enne pluripremiata, è a capo di una grossa azienda multinazionale che fattura miliardi di soldi annui. È molto quotata online, a tal punto che le sue azioni sono ripartite solo fra pochi fortunati. Camila, 23enne "allo sbando", riceve in...