Capitolo quindici

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«Che cosa facciamo?» Le tre stavano girando in cerchio, tutte concentrate nelle loro abissali e contorte riflessioni.

«Non lo so.» Mormorò la cubana, scoraggiata ma speranzosa.

«Eppure dev'esserci una soluzione...» Proferì ad alta voce Dinah, che in realtà stava parlando a se stessa.

Camila, Normani e la polinesiana si erano riunite nell'appartamento della cubana appena questa era atterrata all'aeroporto. Non aveva ancora disfatto la valigia, né tolto il trench imperlato d'acquerugiola. Ciò che era accaduto alla serata, era stato trasmesso in diretta mondiale. Milioni di persone avevano assistito a quell'abiezione pubblica, e milioni di contanti si andavano perdendo girono dopo giorno.

Normani era a conoscenza del segreto di Lauren, Camila pure. Avevano intuito entrambe di condividere la custodia dello stesso scheletro nell'armadio, quando Dinah aveva ovviamente proposto di diramare i conti dell'azienda, così da purificare il nome della corvina. Sia Camila che Normani si erano irrigidite in un «No!» secco. Uno sguardo complice e tutto fu chiaro. Normani sembrò quasi tirare un sospiro di sollievo, come se adesso potesse finalmente discutere di quell'impronunciabile segreto con qualcuno.

Dinah alzò le mani in segno di resa, carpendo che ciò che accade nell'azienda, rimane nell'azienda.

Per quanto si arrovellassero, tornavano sempre sui soliti passi, letteralmente. E per quanto potessero tentare di scervellarsi, regredivano ai soliti giri concentrici, letteralmente.

Dinah lasciò la zona di guerra verso sera. Era stata contattata per un turno di lavoro improvviso, non poteva rifiutare. Ogni entrata era ben accetta.

Una volta rimaste sole, le due si squadrarono come sull'arena un gladiatore e un leone. Non erano sicure di trovarsi sulla stessa lunghezza d'onda.

«Quindi... tu sai?» Azzardò Normani, sondando il terreno.

«Si. Tu cosa sai?» Indagò la cubana, senza esporsi troppo.

«So quel che c'è da sapere. E tu?» Restò sul vago, aspettando che fosse Camila a muovere un passo falso.

«Idem.» Fu lapidaria la cubana.

I loro sguardi si esaminavano minuziosamente, socchiusi in un'espressione da combattimento. Normani fu la prima ad inspirare e cedere, chiedendole direttamente «Sai che il padre di Lauren è...»

«Malato. Si, lo so.» Confermò la cubana, accantonando ogni dubbio.

Normani annuì e sospirò, lasciandosi cadere a peso morto sul divano. La cubana ciondolò fino ai piedi del sofà, e anche lei si stravaccò sui cuscini.

«Non c'è modo di risolvere questo guaio, almeno che la notizia non venga fuori.» Concretizzò Normani, restringendo il cerchio ad un numero esiguo di possibilità.

«Ci deve essere una scappatoia.» Commentò ancora fiduciosa la cubana, che non poteva pensare di lasciare Lauren davanti a quella scelta: la serenità del padre, o la longevità dell'azienda.

«Se manomettessimo i conti?» Ipotizzò la cubana, illuminandosi.

«Sarebbe reato, Camila!» Le pizzicò il braccio, ammonendola anche solo per aver pensato ad una probabilità tanto dinamitarda.

«Sarebbe l'unico modo, però.» La cubana Si rizzò a sedere, osservando Normani dall'alto. Sembrava davvero convita della sua genialata, ma l'altra non gliene attestò il merito.

«Camila, io non ci penso nemmeno a fare una cosa tanto rischiosa.» Normani consultò l'orologio da polso, sincerandosi che era l'ora di andare a riposare le sinapsi «E non dovresti pensarci nemmeno tu.» Le disse in tono materno, mentre si rivestiva.

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