Capitolo quarantuno

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Ciao a tutti!

Sono riuscita a finire questo capitolo, ma il prossimo deve ancora esser scritto, quindi domani non so se aggiornerò. Vi chiedo un po' di pazienza, grazie 😁

A presto!

Sara.




«Dov'è?» Fece irruzione nell'appartamento, setacciando ogni angolo della casa convulsamente.

«È inutile che continui a chiederlo, Lauren. Non so dove sia, te l'ho già detto.» Sospirò Dinah, che assisteva a braccia incrociate la scena, ripetendo la stessa tiritera petulante.

«Sei la sua migliore amica, cazzo! Deve averti detto qualcosa. Qualsiasi cosa!» Inveì la corvina, passandosi una mano nella folta chioma. Aveva uno sguardo vacuo e smarrito, sembrava che qualcuno, d'improvviso, le avesse tolto la maschera d'imperturbabilità che tanto la contraddistingueva. 

«E invece no!» Sbottò la polinesiana. «Dopo aver dormito qui, ha preso la valigia e se ne è andata. Non so dove sia, mi spiace.» Non stava mentendo.

Camila non le aveva nemmeno raccontato cosa fosse successo, si era semplicemente limitata ad arraffare qualcosa in valigia e andarsene con per chissà dove. Ora, Dinah non era stata ragguagliata e non era certa di potersi fidare del suo intuito, o almeno: non lo era stata fino a quando la corvina aveva fatto irruzione nell'appartamento e allora era stato lampante che non fosse andata errata. Era accaduto qualcosa fra le due, e probabilmente la colpa non era di Camila. Lauren poteva essere una celebrità, una santità o che altro, ma nessuno poteva ferire la sua amica.

«Cazzo.» Imprecò esacerbata, stropicciando una mano sulla fronte, tragicamente avvilita.

«Devo dirle qualcosa, in caso tornasse?» La freddezza con la quale la polinesiana trattava Lauren sbalordiva lei per prima. Anche gli Dei sbagliano.

La corvina rimase in silenzio per qualche secondo. Si guardò un'ultima volta attorno e scosse la testa. «No, niente.» Imboccò l'uscita e chiuse la porta con un tonfo sordo, seminando dietro di lei interrogativi e sospiri.

Dinah stringeva ancora il biglietto che aveva trovato affisso all'uscio la mattina che Camila era partita: "Preferivo lo studio di registrazione e il triatlon, che sentirla piangere. Il vicino."

Normani, in ufficio, pretendeva che non fosse successo niente, ma sempre più spesso le chiedevano che fine avesse fatto Camila e come mai Lauren lasciasse presenziare Lucy in un momento tanto delicato quanto quello che stavano per affrontare col lancio sul mercato. Normani era sempre evasiva e mai esaustiva, e anche se i suoi interlocutori parevano contentarsi, sapeva benissimo che la curiosità li teneva svegli. Doveva assolutamente trovar rimedio, una patch che rattoppasse quella lacuna.

Alle nove di venerdì sera, quando ormai tutti avevano abbandonato lo studio per dedicarsi a giocare a bambole con le figlie o alla play con i figli, quando avevano allentato la cravatta e baciato le loro mogli o mariti, Normani era ancora lì, forse perché non aveva nessun pargolo da sfamare e nessuna moglie da cui tornare, o forse perché era semplicemente convinta a prendere il coraggio a due mani e affrontare Lauren. E così fece.

Entrò nell'ufficio privato della corvina senza bussare -come sempre. La trovò seduta sulla poltrona, con un bicchiere di whisky in mano -chissà a che numero era arrivata, di bicchieri-, lo sguardo errante sulla città assonnata e le mani congiunte davanti a se. Alzò appena il capo verso di lei, riservandole uno sguardo che era il latore della sua incommensurabile stanchezza, delle sue notti insonni e della ricerca ossessiva che puntualmente la naufragava a niente di concluso.

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