Capitolo cinque

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«E di che cosa hanno parlato?» Domandò ingorda Dinah, ancora non sazia di dettagli.

«Ma non ho capito niente!» Urlò Camila dalla cabina armadio, rispondendo la giacca «Spread, indice di gradimento, bilancio...» Emerse dalla porta, serrando l'uscio «Parlano una lingua che non conosco.» Si mise le mani nei capelli, afflosciandosi sul divano accanto a Dinah.

«Ma come sono loro? Sono persone.. non so, dimmi qualcosa!» Gesticolò, ma non riuscì a soggiungere un aggettivo adatto che descrivesse l'idea articolata che aveva di quella sfera.

«Alcuni di loro sono chiaramente impostati. Altri sono persone normali, né più né meno di noi. Non ho osservato tutto, ma... Oh mio dio.» Sbarrò gli occhi, ricordando l'ultimo momento della giornata.

«Cosa?» Domandò curiosa Dinah.

La cubana raggiunse il calice di vino che le aveva versato la polinesiana.

«Alla fine della riunione, mi sono imbattuta in una donna antipaticissima. Quella si che era accecata da se stessa.» Sbuffò irritata la cubana, sorseggiando il sapore amarognolo del vino.

«Davvero? Beh, abituati. Può essere che ci siano tante brave persone, ma in ogni dove troverai sempre qualcuno con la puzzo sotto il naso.» La mise in guardia la polinesiana, annuendo impercettibilmente, come se uno dei suoi velati pregiudizi fosse stato confermato.

«Non puoi capire, mi ha innervosito così tanto che ho dovuto ricorrere all'applicazione di meditazione per tre volte.» L'espressione che fece la disse lunga su quanto antagonismo veleggiasse fra le due.

«Ma senti, donne odiose a parte... Hai visto Lauren?» A Dinah brillarono gli occhi come un bambino la mattina di Natale.

«Uhm.. no.» Ingoiò il sorso, lasciando che le bruciasse un po' lo stomaco «Aleggia un alone di mistero su quella donna, ne parlano tutti con sguardo adorante, imbambolati. Però non l'ho conosciuta.» Incassò le spalle Camila.

Dinah storse il naso «Sicura? Mi sembra difficile che sia andata nell'ufficio di Lauren e non abbia incappato in lei.» Arricciò le labbra.

«Sarà una 50enne che delega tutto ai suoi capi ufficio e che passa la giornata trincerata nel suo studio.» Ipotizzò la cubana, proiettando l'immagine nel vuoto davanti a se.

«50enne? Lauren? Camila, ha 25 anni.» Specificò la polinesiana.

Alla cubana andò di traverso il vino. Tossì, sputacchiando qua e là.

«Cosa?!» Squittì.

«Ma almeno hai la minima idea di come sia fatta?» Indagò la polinesiana. Dall'espressione di Camila intuì che no, non ne era per niente cosciente.

Dinah digitò il nome sul suo smartphone e poi scelse la foto migliore che scovò e la mostrò a Camila.

Ora si che il vino venne sbruffato altrove.

«Questa è, è Lauren?» Balbettò la cubana, non avendo il coraggio nemmeno di toccare lo schermo.

«Si, perché?»

«Oh mio Dio! L'ho chiamata Guapa, oh Dios Mio!» Scattò in piedi, allarmata «Oddio, cosa ho fatto. Oddio!» Più le immagini si riproponevano davanti ai suoi occhi, più l'imbarazzo le accaldava le guance, espandendosi fino alla punta delle orecchie.

«Che hai fatto?» Chiese la polinesiana, frastornata.

«È lei, quella odiosa. È lei! Quella che ho sfidato, punzecchiato, sbeffeggiato. Ho sbeffeggiato il CEO il primo giorno. Mi sto sentendo male. Manca l'aria.» Camila sventolò la mano ad un palmo dalla faccia, ventilandosi.

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