Capitolo trentanove

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«Oddio!! Adesso? E me lo dici così?» Impazzì Dinah, mettendosi letteralmente le mani nei capelli.

Normani alzò gli occhi al cielo, sbuffando. «Mi sento sempre una nullità quando fa così.»

«Non sei una nullità. Pure quando ho conosciuto te ho quasi dato di matto.» Evidenziò la polinesiana, pacata, per poi erompere su di giri «Ma una cena con Lauren Jauregui, permetti che mi agiti un attimo!»

«È una persona normale.» Cantilenò stufa Normani. Tutta quell'entusiasmo per la corvina non le dispiaceva affatto quando la presentava a serate illustri o la precedeva ad eventi faraonici, però, stranamente, la infastidiva che provenisse da Dinah.

«Sarà una cosa informale, Dj.» La ragguagliò Camila, placando l'euforia estatica dell'amica «Non mettiamola in imbarazzo, per favore. Ha bisogno di staccare dal lavoro, ma soprattutto di rilassarsi. Quindi, ti prego, incatena la tua eccitazione.» Premise la cubana, scrutando Dinah con fare materno che sapeva di raccomandazione.

La polinesiana si ricompose regalmente e annuì, ammutolendo subito «Qualsiasi cosa.»

Normani stava piluccando l'uva, stizzita, sulla tavola già imbandita. Alzò gli occhi al cielo per l'ennesima volta nella serata. Camila tornò ai fornelli dove la carne stava rosolando. Dj si posizionò davanti allo specchio ad esercitare la sua mimica. Dopo circa venti minuti, il campanello suonò.

«Dev'essere Ally!» Urlò Camila dalla cucina. «Qualcuno apra per favore!»

Dinah mise in stallo la sua ginnastica per accontentare la cubana, dato che Normani, per ripicca, si rifiutava categoricamente di alzarsi dal tavolo e ancor di più di guardare la polinesiana. Quest'ultima, mentre transitava per andare ad accogliere l'amica, le assestò uno scappellotto sulla nuca, assicurandosi un'imprecazione e un chicco d'uva sparato come una pallottola sulla schiena.

Dinah aprì l'uscio spensierata, ma sulla soglia non si stagliò la biondina, ma una corvina inconfondibile che la colse alla sprovvista.

«Sua Santità!» Esclamò la polinesiana, strabuzzando gli occhi.

Lauren aggrottò la fronte. «Ehm, ho portato il vino.» Esibì la corvina.

Camila udì la voce di Lauren provenire dal disimpegno. Si asciugò le mani allo strofinaccio e corse in sala prima che Dinah combinasse qualche guaio. Normani, ovviamente, pretendeva di non aver udito niente.

«Dinah, grazie. Ci penso io.» La cubana apparve alle spalle dell'amica, ancora narcotizzata dall'arrivo impreparato, e la congedò, restando da sola con la corvina.

«Ciao.» Sorrise, avvampando leggermente perché odorosa di sugo, ancora con indosso la maglietta cenciosa, che lasciava scoperta una spalla; i pantaloni della tuta e gli antiscivolo.

«Ciao.» Le restituì lo stesso sorriso Lauren, per niente interessata alla mise della cubana che, anzi, a sua detta, sottolineava la sua spontanea bellezza senza fronzoli artificiali.

Camila era rimasta imbambolata a guardarla. Ancora non realizzava che Lauren fosse davvero lì, a cena nel suo modico appartamento, con una bottiglia di vino in mano e un bagliore negli occhi.

«Ah, entra pure.» La invitò dopo qualche secondo di stasi, «metto il vino in cucina,» disse.

Lauren individuò Normani stravaccata innaturalmente sul tavolo, ancora intenta a mietere il grappolo d'uva del quale ormai era rimasto solo lo scheletro.

Camila depositò la bottiglia di Bourgogne sul ripiano, già sovraffollato da bucce di cipolle e carote tagliate a metà. Trasse un respiro profondo e tentò di rasserenare i nervi a fior di pelle. Era solo una cena fra amiche che la cubana aveva indetto per rallegrare Lauren, chiaramente abbattuta per le condizioni poco rassicuranti del padre.

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