Sogno

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Fu il freddo pungente a svegliare Newt Scamander in quella pigra mattinata verso la fine di febbraio. Era abituato a climi ben più rigidi, ma il gelo degli inverni Newyorkesi gli faceva un effetto strano: sentiva ogni centimetro del suo corpo che si intorpidiva, era come una morsa che gli serrava il cuore e che, unita alla spiacevole situazione in cui si era ritrovato di punto in bianco, gli toglieva il respiro e lo rattristava. Ormai quella malinconia andava avanti da circa un mese, ma sapeva come rattoppare le ferite del suo animo con sottili veli di speranza. Non era mai abbastanza, non poteva esserlo, ma almeno rendeva il dolore un po' più sopportabile. Ma New York aveva quello strano potere, riusciva a demoralizzarlo e ridurre a brandelli anche quella poca fiducia con cui si ostinava a farsi scudo. Si ritrovò a chiedersi come avesse fatto a rimanere lì per tutto quel tempo. Non aveva mai avuto problemi ad adattarsi a luoghi completamente diversi tra loro, ma New York per lui sarebbe sempre rimasta un mistero. Lì, tra quelle strade, aveva vissuto alcuni tra i momenti più belli e più devastanti della sua vita, ma nonostante questo, probabilmente, la coltre di nebbia che avvolgeva la città non si sarebbe mai diradata del tutto ai suoi occhi, e non riusciva a decidere se la cosa gli piacesse o meno. Aveva scoperto col tempo che l'America aveva un fascino particolare, era quel tipo di luogo che i "Bevitori di Tè", come Queenie apostrofava scherzosamente i britannici, non sarebbero mai stati in grado di comprendere fino in fondo. Quella mattina Newt lo notava con particolare chiarezza, e quando lanciò un'occhiata alla finestra della Chiesa capì anche perché: il vetro era rotto in un angolo e lasciava passare uno spiffero di vento gelido. Il cielo quasi non si vedeva, coperto com'era da quella pesante coltre di nuvole. A Londra sarebbe già arrivata la neve, a quel punto, cadendo in morbidi fiocchi, e non scaraventata sulla città con la violenza di una bufera, come lì succedeva ormai quasi tutti i giorni. La neve inglese sembrava danzare nell'aria, e aveva un sapore completamente diverso. A Londra tutto era diverso. Ah, Londra... quanto gli mancava! Non era mai stato il tipo da avere nostalgia di casa, forse perché non aveva molto di cui sentire la mancanza, ma quella mattina sentì il bisogno di fare un passo indietro. Tornare all'inizio. Quella sensazione gli era del tutto nuova, di solito guardava sempre avanti, al futuro, senza voltarsi. Cosa gli stava succedendo? Forse era tutto legato al sogno da cui si era appena svegliato, che era ancora così bello e terribile, vivido nella sua mente...

Bianco. Lattiginoso, abbagliante. È tutto quello che Newt riesce a vedere. Per quanto ci provi, non riesce a distinguere i contorni del luogo in cui si trova, ammesso che sia un luogo. Non ricorda nemmeno come ha fatto ad arrivarci. A intervalli regolari dei bagliori argentati saettano davanti ai suoi occhi, materializzandosi dal nulla e disorientandolo ancora di più. Cerca di scappare, ma ogni punto di questo candido nulla è identico a se stesso. Non ci sono vie d'uscita. A dirla tutta, non ci sono affatto vie, gli sembra di fluttuare nella luce. Gli bruciano gli occhi. Non riesce a capire. Poi, nel bianco abbacinante, si disegnano i contorni di una sagoma nera. È girata di spalle, ma quel caschetto severo, quei piedi incredibilmente sottili, quel portamento apparentemente rigido la rendono inconfondibile.
"Tina..." le parole di Newt sono appena sussurrate. Non riesce a sentire la sua stessa voce, le sue labbra sono aride. Trattiene il fiato.
"Tina non c'è più." risponde lei, senza voltarsi. La sua voce è priva di espressività, sembra quasi annoiata. "C'è solo Thunder".
"Ti sbagli." Newt fa un passo avanti, incerto.
Lei si gira lentamente, fissando un punto lontano. È... bellissima. Newt non riesce a trovare altri aggettivi per descriverla. Si staglia come una macchia d'inchiostro su una pagina immacolata. Ma qualcosa in lei è cambiato. Il suo volto è pallido e i suoi occhi sono... bui. Spenti. Non c'è più traccia della fiamma che prima ardeva nel suo sguardo. Indossa un elegante abito nero che le arriva fino ai piedi, uno di quelli che Tina, quella vera, non avrebbe indossato nemmeno sotto tortura.
"No." dice, senza scomporsi. "Non mi sbaglio".
"Perché ci hai fatto questo?" chiede Newt. Il suo tono è implorante, in ogni suo gesto c'è una supplica silenziosa.
"Il destino è stato crudele con noi".
"No! No, non può finire così!" Newt corre verso di lei e allunga una mano per toccarla, ma è come cercare di afferrare il fumo: inutile. La sua mano attraversa la sua figura incorporea senza ottenere alcun risultato. Lascia cadere le braccia lungo i fianchi, con rassegnazione. "Non lo permetterò".
"Newt..." la sua voce adesso è dolce, comprensiva. Le sue labbra sono increspate in qualcosa di simile a un sorriso. "Tu sei una brava persona, e non sai quanto ti ammiro. Però adesso ho bisogno che tu mi dimentichi. Ormai sono dall'altra parte. È finita".
"No, io... ti troverò." insiste Newt, senza riuscire a staccare gli occhi da lei. "Ti cercherò ovunque, farò tutto il necessario, non mi arrenderò finché non ti avrò trovata".
"È inutile. Lascia stare, sarà meno doloroso per entrambi".
"Non lasciarmi. Ti prego." Newt stringe i pugni e abbassa lo sguardo. Per settimane ha desiderato di rivederla, di riaverla al suo fianco. Vorrebbe dirlo, ma non ci riesce. Le parole inciampano l'una sull'altra e si bloccano nella sua gola, producendo solo un rantolo soffocato, privo di senso.
"Dare troppo spazio alle emozioni è pericoloso, Newt" lo ammonisce lei.
Newt non sa cosa dire. Non sa cosa fare, è come paralizzato. Tra loro cala un pesante silenzio, che li separa come se fosse un muro invisibile.
"Buon compleanno, Newt." dice lei a un tratto, sorridendo, e la sua voce è più simile che mai a quella di Tina, della vecchia Tina. Non è dolce, né dura, né compassionevole. È semplicemente la sua voce. Newt rimane disorientato per un secondo. È il 24 febbraio. Il suo compleanno. L'aveva dimenticato. Tina indugia per un momento, lasciando che i suoi occhi incontrino quelli di Newt, poi si gira e, senza dire una parola, se ne va, lasciando Newt di nuovo solo in quel bianco infinito.

Capì che Queenie stava ascoltando i suoi pensieri quando la sentì alzarsi e appoggiargli una mano sulla spalla. Puntò gli occhi in basso e arrossì. L'aveva sognata, nonostante fosse andata via ormai da tempo e le possibilità di salvarla fossero pressoché inesistenti. Se ne vergognava. Non avrebbe dovuto pensare in quel modo a una persona che aveva provocato tanta sofferenza. Perché non riusciva a rassegnarsi, come aveva fatto Queenie? A cosa gli servivano tutte quelle false speranze, se non a farlo stare ancora peggio? Tina aveva ragione. Le emozioni sono pericolose.
-Ti prego, Queenie...- disse, implorandola con lo sguardo di non fare parola con nessuno di quello che aveva letto.
-Volevo solo farti gli auguri di buon compleanno- disse lei, sedendosi accanto a Newt e appoggiando una mano sulla sua, nel tentativo di metterlo a suo agio. -e dirti che è tutto pronto per la partenza. Jacob ha preso i biglietti-.

Tu cerca di non farti investigare (completa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora