Destino

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Il 26 gennaio 1928 poteva somigliare a un giorno come gli altri: il gelido vento invernale soffiava sulle strade ghiacciate, nel mese più freddo dell'anno. Il cielo era coperto da grosse nubi grigie che sembravano pronte a scaricare abbastanza acqua da inondare la città. Tutto normale, insomma, se non fosse per la strana tensione che aleggiava nell'aria. Come se qualcosa stesse per accadere, qualcosa che avrebbe cambiato tutto. Queenie sentiva questa tensione ovunque: l'aveva sentita per strada, mentre andava alla pasticceria, mentre faceva i lavori domestici, e avrebbe continuato ad avvertirla per tutto il giorno. Un oscuro presagio che si insinuava silenzioso e tagliente nella sua mente, togliendole il fiato. Era come se la perseguitasse. Come se fosse dentro di lei. La Legilimens era diventata nervosa al limite della paranoia, si sentiva come se ci fosse sempre qualcosa di terribile in agguato proprio dietro l'angolo. Si copriva le orecchie al minimo rumore, stringeva convulsamente il Talismano appeso al suo collo trattenendo le lacrime. Il contatto con il legno aveva il potere di tranquillizzarla, ma quella sensazione non accennava a lasciarla in pace. In qualche modo aveva percepito che di lì a poco la sua vita sarebbe cambiata per sempre, la sua realtà sarebbe stata capovolta, tutto quello che credeva di sapere sarebbe stato messo in discussione, aprendo in lei una ferita che, probabilmente, non si sarebbe mai più richiusa.

Il tempo scorreva veloce, troppo veloce. Presto il sole sparì, e tutto venne risucchiato dalle ombre di una nuvolosa notte invernale senza stelle. Il disco bianco della luna fendeva violentemente l'oscurità. Per le strade deserte tutto taceva, ma le luci della città sfavillavano ancora. Tutti se ne stavano rintanati nelle loro case o nei grandi locali, al riparo dall'aria gelida, ma si ostinavano a non andare a dormire. Tipico dei newyorkesi.
Neanche Tina dormiva, ma per motivi ben diversi. Due notti consecutive di veglia... di certo non le avrebbe fatto bene. Era ben consapevole del fatto che avrebbe avuto bisogno di un po' di riposo, le servivano tutte le sue energie per affrontare ciò che il destino aveva in serbo per lei, e sapeva bene che quella sarebbe stata probabilmente la sua ultima occasione per mettersi in forze, ma che poteva farci? Non riusciva in nessun modo a spegnere il suo cervello, che continuava a lavorare freneticamente senza fermarsi nemmeno per un istante. A un certo punto aveva trovato più saggio rassegnarsi, piuttosto che rimanere lì a fissare il soffitto ad aspettare un sollievo per il suo animo che non sarebbe mai arrivato. Il sonno le intorpidiva le membra, ma l'adrenalina che la animava al pensiero di quello che sarebbe accaduto di lì a poco la teneva in piedi. Sospirò, e scoprì con un certo fastidio che il suo respiro era irregolare. Tremava. Ci volle tutta la sua forza di volontà per fermare le sue mani che si agitavano nervosamente. Quello era il momento peggiore per essere deboli.
Forse la sua totale incapacità di rilassarsi era un segno del destino. Forse doveva andare in questo modo. E, a dirla tutta, era meglio così: l'avrebbe fatto subito, sarebbe stato meno doloroso per tutti. Meno doloroso... come poteva pensare una cosa simile? Queenie l'aveva avvertita, avrebbe fatto male comunque. Non le importava del proprio dolore, ma come si sarebbero sentite le uniche persone al mondo che amava? L'avrebbero mai perdonata? E come avrebbero potuto? No, non sarebbero mai riusciti a capire, ma era meglio così: almeno l'avrebbero dimenticata, e sarebbero stati meglio senza di lei. Sì, la loro vita sarebbe andata avanti, sarebbero stati felici comunque, ed era tutto quello che Tina desiderava. Queenie avrebbe sposato Jacob, avrebbero avuto una famiglia a cui badare e non avrebbero più pensato a lei. Newt sarebbe tornato a girare il mondo, si sarebbe lasciato New York e il suo ricordo alle spalle e avrebbe conosciuto una fanciulla ben più affascinante di lei, che avrebbe preso il suo posto. Di certo quella ragazza, che ormai si era materializzata nella sua mente e la fissava con i suoi occhi chiari e bellissimi, come se fosse una persona reale, avrebbe meritato Newt più di lei. Lei non meritava nessuno di loro, né Queenie, né Jacob, né Newt, pensò con amarezza.

Entrò lentamente in camera da letto, dove Queenie dormiva beatamente. Il suo volto incorniciato dai riccioli biondi era simile a quello di un angelo, la sua espressione era serena e rilassata. Le accarezzò i capelli sfiorandoli appena con le dita e cercò di reprimere la strana sensazione che sembrava annodarle lo stomaco. Deglutì sonoramente al pensiero che forse non l'avrebbe più rivista. Le aveva promesso che sarebbe tornata, ma sarebbe riuscita a mantenere il suo giuramento?
-Ti voglio bene, Queenie- sussurrò con la voce alterata dal pianto che cercava di reprimere. -Spero che un giorno riuscirai a perdonarmi-.
Dovette raccogliere tutto il suo coraggio per prendere la sacca adagiata sul letto e uscire. Era da tempo che teneva pronte le cose che le sarebbero servite. 

Stava per uscire dall'appartamento. Aveva già la mano appoggiata sulla maniglia, ma qualcosa le impedì di aprire la porta. Strinse i denti e allontanò la mano, che rimase sospesa a mezz'aria. Esitante, si voltò a guardare la valigia di Newt. Non avrebbe più rivisto nemmeno lui. Ricordò quello che era successo quella mattina, e lasciò cadere la sacca che stringeva tra le mani. Non aveva nemmeno avuto il tempo di dirglielo. Non ci sarebbe mai riuscita. Forse semplicemente non era destino. Avrebbe dovuto capirlo subito che l'amore non avrebbe mai potuto fare parte della sua vita. Come aveva potuto illudersi così? Si era ripromessa più volte di non darsi false speranze, eppure adesso c'era qualcosa che la teneva legata a quel posto, come una catena che però non faceva male, anzi, era quasi ben accolta: del resto, non avrebbe mai voluto andarsene. Ma doveva. Prima, però, doveva vedere anche lui un'ultima volta. Entrando nella sua valigia avrebbe rischiato di svegliarlo, e a quel punto la sua missione sarebbe fallita in partenza, ma non aveva scelta: i suoi piedi avevano già cominciato a muoversi attraverso la stanza, seguendo un percorso già tracciato. Si calò all'interno del piccolo capanno, scendendo la scala gradino dopo gradino, mordendosi forte il labbro ogni volta che questi scricchiolavano sotto i suoi piedi. Avanzò più silenziosa che mai, i suoi piedi sembravano quasi non toccare il pavimento. Quando vide la branda su cui il Magizoologo dormiva, il suo passo si fece esitante. Temeva che vederlo avrebbe solo reso più difficile la sua decisione. Poteva ancora andarsene e fingere di non averlo mai conosciuto. Ma lei non voleva dimenticarlo. Si avvicinò lentamente, e quando fu abbastanza vicina da vedere il suo volto i suoi occhi erano ormai umidi. Tina guardò le lentiggini che gli coprivano il volto e sorrise amaramente: non si era mai realmente resa conto di quante fossero. La verità era che lo aveva sempre dato per scontato, e adesso che non poteva più averlo si rendeva conto di quanto le sarebbe piaciuto passare più tempo con lui. Si pentiva di essere stata tanto dura con lui. Non l'aveva mai trattato come meritava.
-Volevi solo proteggermi...- disse a bassissima voce, muovendo appena le labbra. Chiuse gli occhi e si abbassò lentamente, sfiorandogli la fronte con le labbra. –ma non puoi. Non questa volta.
Con queste parole, Tina si voltò e sparì nel buio della notte, pronta ad accettare il suo destino.

Tu cerca di non farti investigare (completa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora