L'eleganza con cui Orage lasciò il braccio di Queenie per volare verso la libertà aveva qualcosa di magico, ma non del tipo di magia che faceva lei con la bacchetta. Era uno spettacolo unico nel suo genere, uno di quelli che ti fanno trattenere il fiato per la meraviglia. A meno che non siate stati molto, molto sfortunati, vi sarà capitato almeno una volta di vedere qualcosa di tanto bello, quindi potrete ben capire il senso di stupore che cresceva in Queenie mentre guardava la giovane poiana allontanarsi nella fresca aria mattutina e librarsi tra gli alberi della pineta. Non aveva passato molto tempo con lei, ma le sarebbe mancata. Aveva sentito una specie di connessione con quell'animale, tanto strana quanto profonda. Per un attimo le era quasi sembrato che Tina fosse tornata, Orage le ricordava che sua sorella stava bene e presto avrebbe potuto riabbracciarla. Che non era persa del tutto, non per sempre. Ma adesso la poiana stava volando via, e con lei la presenza, seppur debole, di Tina. Adesso non c'era più niente a cui aggrapparsi, Queenie avrebbe dovuto farcela da sola.
Central Park non era molto affollato, il sole era sorto da poco e parte della città era ancora addormentata, e questo permise a Queenie di godere appieno della bellezza del parco, della luce del sole che filtrava tra le foglie, si rifletteva nel laghetto e accarezzava i contorni delle cose come una madre con i suoi figli. Le sarebbe piaciuto sedersi lì e lasciarsi ammaliare da quello spettacolo, crogiolarsi nella pace e nell'armonia del parco silenzioso, magari perdersi tra pensieri gradevoli e liberarsi da tutta la negatività che l'aveva sepolta in quegli ultimi giorni. E così fece: si sedette all'ombra di un pino e si limitò a respirare profondamente. Forse quella giornata non sarebbe stata così terribile... sembrava così facile essere ottimisti, in quel piccolo angolo di paradiso... forse quei profumi, quei colori l'avrebbero aiutata a fuggire dalla dura realtà... doveva solo chiudere gli occhi e...
E poi qualcuno le sfiorò la spalla. Trasalì e aprì di colpo gli occhi. Scattò in piedi e si voltò bruscamente, preparandosi a scappare da quello che immaginava fosse uno dei soliti ficcanaso, ma sorrise vedendo Jacob. Si rilassò e tornò a sedersi, con la schiena appoggiata all'albero e il respiro di nuovo regolare.
-Oh caro, mi hai spaventata! Come hai fatto a trovarmi?- Jacob stava per rispondere, ma Queenie era già nella sua mente. -Che dolce! Volevi assicurarti che stessi bene e allora sei venuto all'appartamento...
-Sì,- confermò Jacob, -e Newt...
-Lui ti ha consigliato di cercarmi qui, vero?
Jacob annuì in risposta. Quel giorno Queenie sembrava proprio determinata a non lasciarlo parlare... di solito non era così invadente. Aveva una strana sensazione, ma si strinse nelle spalle e la ignorò. Rivolse un'occhiata alla ragazza: era proprio carina, con quel sorriso sincero che formava dei piccoli solchi ai lati della bocca e quegli occhi tra il verde e il grigio che riflettevano la luce del sole. Il vento le agitava i capelli dorati e di tanto in tanto qualche ciocca le scivolava sul volto, ma lei non sembrava affatto infastidita. Sembrava proprio nel suo elemento, seduta sul prato e circondata dalla natura, così calma e imperturbabile nonostante tutto quello che stava accadendo. Lei sentì i suoi pensieri e arrossì leggermente. Si girò per ricambiare il suo sguardo, ma appena i loro occhi si incontrarono il sorriso abbandonò il suo volto.
-Oh, Jacob... sembri così stanco! Hai dormito stanotte? Hai fatto colazione, vero?- chiese seriamente preoccupata, e gli lesse la mente senza aspettare una risposta. -Non hai mangiato niente per venire a cercarmi! Non dovevi... no, io non posso far apparire cibo dal nulla, ma... ehi, guarda lì! Ciambelle!- disse tutto d'un fiato, poi indicò un uomo con un grembiule marrone e un cappello improponibile che spingeva un carretto carico di ciambelle di tutti i tipi. Avevano un aspetto piuttosto invitante. Queenie trascinò Jacob in quella direzione prima che lui potesse protestare. Non che gli dispiacesse, in effetti avvertiva un certo languorino, e per di più adorava le ciambelle...
-Una ciambella, per favore- disse Queenie.
-Gusto?- domandò l'uomo dal cappello assurdo.
-Cioccolato- rispose lei al posto di Jacob.
L'uomo prese una ciambella e la avvolse in un tovagliolo prima di porgerla a Queenie. Lei sorrise in segno di ringraziamento, ma lanciò un'occhiata a Jacob per ricordargli che lei non aveva denaro No-Mag. Lui si tastò le tasche della giacca e prese una banconota un po' sgualcita che porse al venditore di ciambelle.
Appena si furono allontanati dal carretto, Queenie mise la ciambella tra le mani di Jacob e lo invitò a mangiarla. Lui non se lo fece ripetere due volte, e poco dopo della ciambella al cioccolato non rimase che qualche briciola.
Finalmente sazio, Jacob aprì la bocca per parlare, ma fu la voce di Queenie, non la sua, ad esprimere i suoi pensieri: -ottima idea, credo che una passeggiata ci farebbe bene!
-Queenie, potresti smettere di leggermi la mente per un po'? Mi sento leggermente a disagio- disse Jacob velocemente, prima che lei potesse interromperlo ancora.
-Oh...- mormorò lei abbassando la testa. Non si era nemmeno resa conto di essere entrata nella mente di Jacob; si sentiva più sola che mai dopo quello che era successo e aveva un disperato bisogno di qualcuno a cui aggrapparsi, qualcuno che potesse colmare la voragine che si era aperta dentro di lei. È vero, è più facile leggere chi soffre, ma è ancora più facile leggere quando si soffre.Queenie e Jacob attraversarono il parco fino a raggiungere il laghetto. C'era qualcosa di fiabesco in quello specchio d'acqua, Queenie lo aveva sempre pensato. Da piccola le piaceva passeggiare sulle sponde del lago e immaginarsi come una bella principessa alla ricerca del Vero Amore. Le faceva uno strano effetto tornare lì dopo tanti anni, con Jacob accanto. Le sue fantasie da ragazzina si erano avverate, aveva trovato l'amore. O almeno era quello che sperava.
Il vento creava delle leggere increspature sulla superficie del lago, che deformavano i riflessi dei lunghi rami degli alberi, ormai quasi completamente spogli ma ancora meravigliosi. Il sole adesso brillava timidamente da dietro una nuvola, mitigando l'aria invernale e rendendo l'atmosfera decisamente gradevole. Qualche turista solitario passeggiava guardandosi intorno affascinato e scattando foto. Queenie prese la mano di Jacob e lo trascinò sul ponte di pietra che attraversava il lago. Lui non oppose resistenza, si lasciò condurre al centro del ponte e poi si appoggiò al parapetto, ammirando in silenzio il paesaggio.
-Queenie?- Jacob parlò dopo quelle che sembrarono ore di silenzio.
Queenie si voltò a guardarlo con un'espressione interrogativa dipinta sul volto.
-Per caso sei ancora nella mia mente?- chiese lui con la fronte aggrottata. -Continuo ad avvertire quel formicolio...
-Scusa- rispose semplicemente Queenie, e per molto tempo non aggiunse altro.
Poi però entrò di nuovo nella mente di Jacob, e lesse una cosa che non le fece affatto piacere:
-Oh, no!- esclamò portandosi le mani al volto. -Jacob, prché non me l'hai detto?
-Cosa?
-La pasticceria! I fondi stanno finendo e quindi hai usato i tuoi soldi per pagare gli ingredienti... per settimane! Se non riusciremo a vendere di più saremo costretti a... oh, che cosa orribile!
-Sei entrata di nuovo nella mia mente? Ti avevo chiesto di rimanerne fuori!
Queenie non rispose, si limitò ad annuire e distogliere lo sguardo. Prese a fissare un cigno che stava attraversando il laghetto sotto di loro. Jacob, però, sentiva ancora quel formicolio che indicava la presenza di Queenie nella sua mente. Trovava piuttosto opprimente la sua insistenza, ma preferì ignorare quella sensazione. Forse si stava solo impressionando. Lo sperava davvero. Si appoggiò al parapetto e osservò gli altissimi grattacieli della cinquantanovesima strada che si intravedevano dietro le fronde degli alberi.
-Quella è la cinquantasettesima- lo corresse Queenie. -La cinquantanovesima è dall'altra parte-.
Al che Jacob le rivolse un'occhiata torva che la spaventò. Indietreggiò e cercò di evitare il suo sguardo. Sembrava proprio piccola, stretta nelle spalle come un cucciolo spaventato e con quello sguardo terrorizzato sul volto. Per un attimo Jacob si pentì di essere stato tanto duro con lei, ma poi la strega disse una cosa che lo fece andare su tutte le furie:
-Cosa ti succede oggi? Sei così taciturno, come mai?
"Perché tu non mi lasci parlare, ecco perché!" stava per rispondere Jacob, ma ancora una volta lei lo precedette.
-Mi trovi soffocante, vero?- disse delusa, leggendogli di nuovo la mente.
-In realtà sì- scoppiò Jacob. Il suo tono di voce iniziò a crescere e a farsi più duro a ogni parola. -sai cosa? Sono stanco. Sono stanco di non poter pensare liberamente perché ci sei sempre tu nella mia mente!
Queenie era sull'orlo delle lacrime. Non aveva mai visto Jacob così, e poter sentire i suoi pensieri rendeva tutto ancora più doloroso.
-Ma... tu dici sempre che non ti dispiace se leggo i tuoi pensieri, ti ha sempre fatto sentire meno solo...
-Tu esageri!- adesso Jacob stava urlando. -Solo perché hai i poteri non significa che tu debba essere superiore nel nostro rapporto!
A quel punto anche Queenie sentì la rabbia montare, e non fu in grado di fermarla, anzi, strinse i pugni e la alimentò.
-Pensi che sia facile per me?- gridò, profondamente offesa. -Sentire tutti i pensieri di chi mi sta accanto? Sentire le opinioni sul mio conto di gente che nemmeno conosco e fingere di non sapere nulla? La Legilimanzia non è una benedizione, Jacob!
-Be', hai mai pensato a me? Dovrebbe essere facile vivere con la consapevolezza di non avere più segreti? Di non poter nascondere più niente? Di non essere mai solo? Anch'io ho bisogno dei miei spazi!
-Allora tra noi non può più funzionare- Queenie abbassò la voce finché non divenne un mormorio soffocato. Tra i due calò un silenzio gelido, e in quel momento qualcosa si spezzò.
-Stai dicendo che...?- anche Jacob aveva abbassato la voce, ma il suo tono era amaro, quasi fremeva di quel misto di rabbia e tristezza che lo attanagliava.
-Sì, Jacob. Forse dovremmo prenderci una pausa.
Con queste parole, Queenie si sfilò l'anello e si sporse dal parapetto. Tese la mano chiusa a pugno, ma qualcosa le impedì di lasciarlo cadere nel lago. Lo guardò per un istante, come per decidere cosa farne, poi se lo fece scivolare nella tasca del cappotto. Voltò le spalle a Jacob e se ne andò, con le lacrime agli occhi e il cuore spezzato.
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Tu cerca di non farti investigare (completa)
FanfictionSequel di "Ce n'è solo uno come te" Le avventure degli ultimi mesi hanno segnato profondamente i nostri protagonisti, e la tranquillità della vita di tutti i giorni ormai sembra irreale, aliena. Ma può davvero una vita essere considerata "tranquilla...