3- L'incontro

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Quel pomeriggio ero irrequieta. Non riuscivo a decidere cosa mettere, non riuscivo a decidere come fare i capelli. Non riuscivo a decidere niente, mi sentivo come una bambina al primo giorno di scuola. Decisi di rimanere con la divisa che avevo per il liceo, in pratica decisi di non decidere. Mi legai i capelli in una coda morbida e misi un cappotto lungo beige.
"Tesoro sei pronta?" Mio padre - il Primario in Chirurgia estetica del Policlinico Nuovo di Napoli, il dottor Eduardo Crescenzini - mi avrebbe accompagnata a casa di questo famoso Zieliński.
"Sì eccomi" scesi dalle scale e mi fermai di fronte a lui "come sto?" Chiesi. Mi guardò e poi sorrise, baciandomi la fronte.
"Sei perfetta, andiamo" mi fece cenno di seguirlo fuori e lo feci. Guidò per una decina di minuti, dodici forse. Mi lasciò fuori il cancello di una villa su due piani tutta grigia, con le finestre blu e un grande giardino.
"Vai piccola e ricordati che sei una Crescenzini" si interruppe e continuai con lui la frase "e i Crescenzini sono i migliori" dicemmo come una filastrocca. Lo salutai e bussai a quel citofono.
"Chi è?"
"Ehm.. sono Crescenzini.. del Sannazzaro" mi presentai guardando fisso nella telecamera del citofono. Non rispose ma aprì il cancello e la porta. Entrai e mi guardai intorno, era tutto molto curato e carino.
"Ommioddio cos'è?!" Urlai quando qualcosa di nero che non seppi ben definire mi saltò letteralmente addosso "aiuto, toglimelo di dosso, ti prego!"
"Mia, vieni qui dai, vieni!" Lo richiamò e lo legò con la catena alla sua cuccia.
"Deve stare attento, quella bestia poteva uccidermi" mi ripresi e ancora col cuore a mille mi lasciai aiutare da lui.
"Mi dispiace, ma non è pericolosa vuole solo giocare, non ti preoccupare" mi disse.
"Signor Zielinski, mi preoccupo eccome. La prossima volta la leghi quando sa che devo venire, non sono qui per giocare"
"Sarà fatto" annuì ed entrò in casa senza invitare anche me ma lasciò la porta aperta così entrai. Mi guardai di nuovo in giro e mi colpì subito il calore di quell'abitazione.
Dopo qualche minuto mi misi seduta alla tavola del soggiorno, presi il mio iPad e mi misi gli occhiali.
"Quando è pronto, iniziamo" gli dissi visto che lui se ne stava sul divano seduto a messaggiare.
"Arrivo" disse e si mise di fronte a me seduto "io comunque sono Piotr, non ci siamo ancora presentati" mi allungò la mano che gli strinsi forte, forse troppo.
"Carolina Crescenzini" dissi "spero in una collaborazione proficua".
"Lo spero per te, a me onestamente non cambia nulla questa sceneggiata"
"A me invece sì, dovrò portarla come caso di studio alla mia maturità e io devo avere cento, deve essere tutto perfetto. Tutto" spiegai. Annuì scocciato come se non gliene importasse nulla.
"Iniziamo?" Mi chiese con quei suoi occhi potenti piantati nei miei. Ci misi un po' a distogliere lo sguardo e a riprendere la concentrazione ma quando lo feci, tornai la Carolina determinata e efficiente di sempre.
"Come ha iniziato a giocare al calcio?"
"È sempre stata una mia passione, fin da piccolo. Mio padre era un allenatore di squadre di bambini così mi portò con lui e mi fece allenare molto. È iniziata così"
"Banale è dir poco.. non possiamo dire qualcosa di più eccitante?"

*

Da quando aveva messo piede in casa mia non aveva fatto altro che innervosirmi. Da quel suo modo spocchioso di chiamarmi Signor Zielinski, al modo in cui ha trattato Mia a come mi sta facendo queste stupide domande.
"È andata così, non puoi scrivere una bugia, mi dispiace se per te è banale ma non ci posso fare niente" sbottai ma lei fece finta di niente.
Il fatto che fosse così conturbante nonostante fosse così poco voluto, mi faceva essere ancora più nervoso. Avevo proprio di fronte ai miei occhi il suo seno prosperoso che era ben nascosto dietro la polo ma che non poteva in alcun modo essere occultato. I capelli raccolti e il modo ingenuo in cui si mangiucchiava la penna mi faceva uscire ancora di più di testa. Era l'esatto contrario di ciò che di solito mi piaceva e poi era di un'antipatia unica ma mi attirava. Continuava a darmi del lei come se avessi cento anni, continuava a trattarmi con sufficienza.
"Bene" disse quando secondo lei avevamo finito "che si mangia?" Chiese e andò in cucina aprendo il frigo.
"Cosa scusa?"
"Che si mangia? È sordo per caso?"
"Non mi sembra il caso che frughi nei miei mobili, le domande me le hai fatte ed è finita. Puoi andare"
"No invece" scosse la testa e sbuffò come se mi stesse per dire una cosa che avrei già dovuto sapere e che si scocciava di ripetermi "devo mangiare con te, capire quali sono le tue abitudini, i tuoi gusti, i tuoi vizi" disse l'ultima parola in un modo che mi fece impressione perché ebbe una reazione immediata sul mio corpo. Dovevo mandarla via ad ogni costo.
"Ho l'abitudine di cenare come tutte le persone normali del mondo, non mi piacciono la zucca e i ceci per il resto mangio tutto, e non ho vizi. Contenta?"
Sorrise ma non si smosse.
"Irascibile, devo segnarmelo" prese un taccuino e iniziò a scrivere frasi su frasi su quelle mie poche parole, come se mi descrivessero "cosa prepariamo per cena allora?" Mi chiese quando ebbe finito come se ciò che le avevo detto fino a quel momento non l'avesse neanche ascoltato per sbaglio.
"Broccoli e pollo al forno" risposi, cedendo alla sua volontà di cenare qui.
"Perfetto, avviso a casa che mi ha invitata a restare per cena, così la colf non prepara per me" scese dallo sgabello del tavolo snack che avevo in cucina e col cellulare in mano si allontanò.
Presi anche io il cellulare e mandai un messaggio su whatsapp ad Arek .
La odio, è antipatica e spocchiosa. Una bambina viziata'
'E sexy' rispose immediatamente.
'Odio anche te, non sai quanto' scrissi e posai il cellulare perché la principessa era tornata in cucina e minacciava il mio spazio vitale.
"Sa anche cucinare, signor Zielinski?" Mi domandò sporgendosi verso i fornelli con le mani annodate dietro la schiena.
"Ci provo. Puoi chiamarmi Piotr comunque" glielo ripetei ma se ne fregò continuando a fare di testa sua.
Apparecchiai mentre lei guardava da lontano e rispondeva ai messaggi, si sedette a tavola solo quando la cena fu servita.
"Mh, buono" disse quando finì tutto, velocissima.
"Grazie"
"Le piace cucinare?"
"Sì, mi piace e poi devo farlo per forza. Vivo da solo"
"Non ha qualcuno che l'aiuti in casa?" Incrociò le braccia e alzò un sopracciglio, come faceva mister Ancelotti quando era perplesso.
"Per le faccende domestiche sì ma a cucinare ci penso io o mangio fuori"
"Capisco" si appoggiò con i gomiti sul tavolo e riprese il taccuino scrivendo chissà cosa lì dentro.
"Stiamo parlando tra di noi o è il continuo dell'intervista?" Chiesi stizzito, indicando con un movimento del capo il suo taccuino.
"Io non mi fermo mai" rispose sorridendo. Poi si alzò, guardò l'orologio e disse che il padre era fuori che la aspettava e che doveva andare via.
La accompagnai alla porta e la salutai. Feci rientrare Mia e andammo a dormire.
Finalmente potevo rilassarmi un po'.

Atelophobia ❆ Piotr ZielińskiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora