Estate si tagliò le vene del polso sinistro con un colpo netto e preciso del coltellino, poi allontanò l՚arto da sé per non sporcarsi la tunica. Rimase a guardare il sangue colare dalla ferita con interesse. Anche se i suoi polsi erano un reticolo di tagli freschi, fitti come i fili di una ragnatela, la vista di quel liquido rosso lo affascinava sempre. Un giorno, forse,avrebbe messo troppa forza nella lama e, assieme al sangue, anche la sua vita sarebbe scivolata via.
Estate si abbandonò contro il tronco mentre una gradevole nebbiolina gli scendeva sugli occhi. Nascosto dentro la macchia di papiri che cresceva attorno all՚albero nessuno poteva vederlo e ciò gli garantiva un po՚ di tranquillità. Cercava di rifugiarvisi una volta a settimana, al crepuscolo, oppure due se il suo spirito lo richiedeva. Lì, lontano dalla frenesia del palazzo reale, si tagliava le vene, abbandonandosi a una breve pace.
Quella sera, però, la sua tranquillità fu violata.
«Estate!» chiamò una voce stridula. Il giovane biascicò una serie di insulti in latino, con voce sommessa, e si alzò, strappandosi un lembo di stoffa dalla tunica e legandoselo stretto al polso per fermare l՚emorragia.
Era meglio che la sua padrona non sapesse del suo rifugio e del suo abitudinario salasso, altrimenti avrebbe usato quelle informazioni per creargli altra sofferenza. E lui aveva già abbastanza rogne a cui pensare.
«Dove sei, schiavo.»
Oh, gli conveniva sbrigarsi. Quando la sua padrona cominciava a chiamarlo per quel che era, cioè uno schiavo, significava che era incline alla violenza.
Estate scivolò fuori dal suo nascondiglio, aggirando la macchia di papiri e sbucando proprio alle spalle della sua aguzzina. Quando lei si voltò e lo vide, fece un grazioso balzo all՚indietro, più sorpresa che spaventata.
«Stupido! Sei troppo silenzioso», trillò.
Estate fece un inchino, inginocchiandosi e posando la fronte a terra. Assicurandosi, però, di sfiorare soltanto il terreno polveroso; il suo orgoglio non erano mai riusciti a sopirlo del tutto.
Ed eccola lì, quindi, la sua padrona, splendente e sensuale come una dea dell՚amore. La principessa Hetepheres II, figlia del faraone Cheope, si erse su di lui con alterigia e disgusto. Sembrava che stesse guardando un verme sguazzare nella polvere.
Avevano la stessa età, ventotto anni, ma le sue forme la facevano apparire più matura e lei si curava di risaltarle con gioielli e stoffe trasparenti. Hetepheres era un felino, un gatto per l՚esattezza. Alta e slanciata, ella aveva curve così sensuali e provocanti che neppure le femmine sapevano resisterle. La sua pelliccia era color oro,finissima e morbida come la seta. Gli occhi, invece, non avevano nulla da invidiare agli smeraldi. Profonde e limpide, infatti, le iridi luccicavano quanto il sole sul Nilo.
«Vi chiedo perdono, Sole in Terra», disse Estate, trattenendo l՚irritazione. Tuttavia, approfittò della sua posizione genuflessa per fare una smorfia. Sole in Terra. Guai a chi non chiamava in modo così altisonante la figlia del faraone! Cheope, infatti, considerava Hetepheres esattamente come ella appariva: un sole sceso sulla terra.
«Voglio che tu vada ad aiutare Maestro Shifu a fare i bagagli. Finalmente quel ratto se ne torna nel suo buco», disse Hetepheres, incrociando le braccia sotto il magnifico seno. Poi fece una smorfia, guardandolo dall՚alto verso il basso "Peccato che non possa liberarmi anche di te, disgustoso mezzosangue.»
Estate non fece una piega.
«Si può sapere cosa stai aspettando?»
«Mi è concesso di andare, Sole in Terra?»
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L'amante di Maestra Tigre
FanfictionIn questa fanfiction targata kung fu panda, vedrete i vostri personaggi preferiti muoversi in un nuovo territorio: l'Egitto. Costretto, per motivi politici, a sottostare agli ordini di un sadico faraone, Maestro Shifu non ha altra scelta che inviare...