Ogni cosa nella vita gira attorno all'apparenza, siamo così ossessionati dal piacere agli altri che dimentichiamo di piacere a noi stessi. Io non faccio eccezioni, ho trascorso la vita alla disperata ricerca di rendere fieri i miei genitori, volendo essere ciò che volevano loro dimenticando cosa volevo io. I miei sogni li avevo rinchiusi in uno scatolone in fondo alla mia mente, nulla doveva distrarmi dal mio obbiettivo essere come gli altri si aspettavano. Non che mi sia riuscito benissimo ma la mia famiglia sa bene che sono stati loro a scatenare la mia rabbia, quindi non potevano biasimarmi. Sono diventata ciò che loro volevano, studiando economia, riducendo la mia passione per l'arte ad una stanza, e sempre ignara del vero mondo che mi circondavano. Questo volevano e questo ho fatto e mi fa imbestialire essere stata una delle loro marionette consenziente. La mia apparenza era stata più importante di ciò che avevo dentro ma ora il gioco cambia. Non voglio piacere agli altri ho bisogno di piacere a me stessa, altrimenti non sopravvivrò. Per questo ora mi trovo nell'ufficio del rettore del college
"Che significa che va via dall'università? Suo zio conosce le sue intenzioni?"
"Sono maggiorenne e credo di poter prendere le decisioni per conto mio" lui esamina il mio viso per un secondo poi sospira arreso facendomi poi firmare dei fogli e mentre lo faccio non mi sono mai sentita più sicura di me. Esco dall'ufficio senza rimpianti e con un peso in meno sul cuore. Facendo delle ricerche so che oggi ci saranno dei colloqui per diventare assistente per la mostra di una delle mie artiste preferite ed intendo presentarmi. Salgo in auto correndo verso Downtown sperando di non arrivare in ritardo, con la cartella del mio curriculum entro nell'edificio dove una segretaria mi indica dove devo presentarmi, salgo al quinto piano ed un'altra segretaria mi guarda male.
"È un ritardo per il colloquio"
"Lo so lo so ma sono qui" Scuote la testa indicandomi con la penna dove andare. Sull'ufficio è scritto il nome di Serena Moore sorrido per l'eccitazione di incontrare l'artista in persona. Busso ed una voce distratta mi dice di entrare. L'ufficio è molto grande e luminoso, con un intera parete di finestre che affacciano sulla strada, la scrivania in vetro è ordinata con solo dei fogli impilati ed un computer portatile, lei è seduta di una poltrona in pelle nera girevole mentre di fronte ha due sedie rosse con lo schienale basso. Alla mia sinistra c'è un piccolo salottino con un divano e due poltrone celesti ed in mezzo un tavolino in vetro con degli alcolici poggiati sopra. Mi siedo di fronte alla donna dall'aspetto severo.
"É in ritardo" mi fa notare con tono rimproveratore, mi mordo il labbro abbassando la testa
"Io pure feci ritardo al mio primo colloqui" alzo la testa di scatto e sorrido capendo che sta tentando di mettermi a mio agio in modo che io possa dare il meglio. Ci mettiamo a discutere dei miei artisti preferiti e dei suoi, cosa mi piace dei suoi quadri e le mostro uno dei miei e poi alcune foto. Mi fa delle domande sui principali esponenti d'arte del momento ed io non sono mai stata più contenta di poter parlare con qualcuno di questo, qualcuno che capisce il mio entusiasmo e la mia passione: è gratificante. Mi chiede che esperienze ho avuto un passato ed io sono costretta a dirle che non ne ho avute.
"Perché dovrei assumerti? Potrei trovarne di più capaci no?" Domanda mentre apre e chiude insistentemente la penna
"Perché ci deve essere stata una prima volta, una prima volta per loro come per lei. Ora lei può concedermi la mia prima volta quella che qualcuno in passato ha concesso a lei e che l'ha portata ad essere qui ora. So per certo che non troverà nessuno con la mia passione e la mia voglia di imparare. Nessuno! Darei la vita per questo lavoro" sorride annuendo e poi si alza ed io mi alzo al suo seguito, ci stringiamo la mano e lei mi sorride, capisco che la mia prima impressione era sbagliata, è gentile e acuta e già l'adoro. Esco dall'ufficio più felice che mai, non credevo di poter provare tanta felicità in una volta sola. Mentre esco rispondo alla chiamata di Lewis
"Dove diavolo sei?"
"Downtown Perché?" Chiedo mentre getto la borsa sul sedile accanto a me
"Ti voglio a casa tra dieci minuti"
"Cosa? Ma se anche corressi ce ne metterei venti"
"Be allora ti conviene muoverti" attacca subito dopo, mi trattengo dall'imprecare e lancio il telefono prima di correre via. Arrivo a casa dopo esattamente 15 minuti e mi sorprendo di non essermi schiantata da qualche parte.
"Sei in ritardo" dice Lewis quando mi vede da seduto sul divano.
"Cosa vuoi?"
"Hai un compito stasera è arrivata una nuova missione" non so se essere terrorizzata o entusiasta da questa notizia sicuramente mi sentirò finalmente accettata.
"Dimmi"
"Andremo in un casinò e mentre tu distrai il capo noi rubiamo ciò che ci serve?"
"Non avete Becky?" Il suo compito è distrate gli uomini con il suo corpo no
"Il capo è gay e fidanzato va distratto in un altro modo"
"Ovvero?" Se non devo usare me stessa come arma cosa dovrei fare
"Giocando a poker e tu ci sai giocare"
"E tu lo sai perché?" Mi squadra da testa a piedi mentre di alza avvicinandosi, mi sistema una ciocca di capelli dietro l'orecchio per poi sussurrarmi
"Io so sempre tutto" si allontana in una frazione di secondo
"C'è il vestito che devi indossare sul letto ti aspetto qui tra un ora dobbiamo arrivare lì per le dieci e abbiamo due ore di auto"
"Gli altri?"
"Sono più fortunati di me" borbotta senza degnarmi più di uno sguardo. Salgo al piano di sopra osservando il vestito senza parole, vogliono seriamente che lo indossi? È rosso, attillato sul corpetto talmente scollato da sembrare un reggiseno, la schiena coperta solo dall'incrocio dei fili delle spalline, cade quasi stretto su tutto il corpo, rendendo la mobilità limitata se non fosse per il grande spacco sulla sinistra. Tacchi a spillo neri, sistemo i capelli in una coda alta elegante, mi trucco con ombretto scuro, matita, mascara, illuminate e lucida labbra. Una porchette a mano brillantinata come il bracciale e la collana. Orecchini pendenti abbinati al resto dei gioielli. Infilo un coltellino nel lato senza spacco fissandolo alla coscia, un'altro lo metto nella borsetta e sono pronta. Scendo le scale notando Lewis di spalle in abito elegante, con la giacca ed i pantaloni neri, le scarpe ben lucidate ma nonostante tutto i capelli ribelli.
"Andiamo?" Si volta a guardarmi ed è stupendo come mi aspettavo camicia nera e cravatta uguale, sembra il signore dell'inferno. Mi squadra da testa a piedi passandosi la lingua tra le labbra. Senza dire nulla si avvia verso la sua auto, per scendere le scale sono costretta ad alzare il vestito con una mano e stare attenta a non cadere su questi trampoli. Mi siedo accanto a lui che parte velocissimo. Osservo il paesaggio fuori mentre l'unico suono nell'auto è la musica.
"Perché non fate fare il babysitter a Caleb?" dato che gli da tanto fastidio la mia compagnia. Mi guarda con la coda dell'occhio.
"Mi dispiace che non avrai il tempo di perdonare il tuo amico davvero" dice in finto tono dispiaciuto. Perché deve sempre fare così? Evita agilmente la risposta trovando anche il modo di ferirti è odioso. Quando finalmente l'auto si ferma tiro un sospiro di sollievo.
STAI LEGGENDO
White Rose
RomanceCOMPLETO: in correzione Vi siete mai chiesti cosa accadrebbe ad un angelo all'inferno? Nata nella terra arida cresciuta nella disperazione, perché Kyra appare fredda e distaccata ma dentro di lei ha il cuore più grande di tutti, sensibile e con un...