SEQUEL - Quarantaquattro

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Avevo quindici anni quando capii che non mi piacevano gli uomini, ma le donne.
Per me non era stato uno shock o roba del genere, avevo accettato la cosa con la naturalità  che meritava e avevo continuato la mia vita normalmente.

Dirlo alla mia famiglia e alle persone che mi circondavano al tempo non fu facile e, soprattutto i miei genitori, non la presero bene. Iniziai a pensare che ero io quella sbagliata, che davvero qualche malattia mi aveva colpita.

Mia madre portava a casa sempre i figli delle sue amiche, presentandomeli e cercando in qualche modo di indirizzarmi verso di loro, fallendo miseramente. Anche mio papà non fu da meno; mi chiedeva sempre se alcuni ragazzi con cui passavo le giornate fossero i miei fidanzatini e soprattutto, quando dovevo uscire con le mie amiche, faceva di tutto per non farmi andare.

Le mie amiche si allontanarono, accompagnate dall'ideologia che se mi piacessero le ragazze, allora mi piacevano tutte, comprese loro.

Un giorno entrò Emma nella mia vita, colei che fu la mia prima fidanzatina. Per i primi mesi andò tutto estremamente bene; lei era già stata fidanzata con una ragazza, per me era la prima volta ma, a parte l'imbarazzo iniziale, tutto filó liscio come l'olio. I miei genitori non ne sapevano ovviamente niente e, quando lo scoprirono, fu per me l'inizio della fine.

Dicevano di accettarlo, ma facevano di tutto per non farmela vedere. Mi venivano a prendere a scuola per evitare che io tornassi a piedi con lei, la sera non mi facevano uscire usando la scusa del 'il giorno dopo hai scuola' e così via.

Emma per questo mi lasciò e io mi senti pesantemente sbagliata e in colpa.

Qualche mese dopo decisi di chiamare mia zia e partire per l'America dove vissi con tranquillità e libertà, sia per quanto riguardava le uscite sia per quanto riguardava le persone che frequentavo.

A mia zia della mia omosessualità non era mai importato niente, le bastava che fossi felice.

In quegli anni in America frequentai diverse ragazze ma nulla di troppo serio, solo qualche cotta qua e là. Pensavo che non ne valesse la pena di impegnarsi con una persona e avevo del tutto messo fuori l'amore dalla mia vita.
Mi divertivo ma senza impegno.

Quando Esmeralda entró in soggiorno quel martedì pomeriggio, qualcosa dentro di me scattò e vidi una possibilità.
La possibilità di essere finalmente felice e innamorata.

Mi aveva letteralmente stregata con quegli occhi azzurri come il mare e quel suo fare così insicuro.

Strinsi le gambe al petto, rannicchiata sulla sedia blu terribilmente scomoda, con il viso rigato dalle lacrime e la voglia di chiudere gli occhi e non riaprirli più. Ero pervasa dal dolore fisico e psicologico, un dolore che ti lacera  dentro.

Il mio sguardo era fisso sul suo corpo inerme sul lettino bianco, l'odore di disinfettante dava alla testa e a peggiorare la situazione le luci a neon che davano noia agli occhi.

Era in pericolo di vita, avevano detto i medici. Il sangue perso dalle ferite che quel bastardo di mio fratello gli aveva inferto era decisamente troppo e erano dovuti ricorrere alla trasfusione.
Era pallida e fredda.

Il respiratore la aiutava a respirare perché da sola non riusciva bene.

Cercai di non piangere, avevo smesso pochi minuti fa e non volevo ricominciare, ma non riuscii a trattenermi e altre lacrime scesero calde e dolorose sul mio viso.

La stanza era vuota e silenziosa, si sentiva solo il rumore delle macchine che, in un certo senso, la tenevano in vita.

Mi asciugai le lacrime e mi alzai, poggiai la testa sopra il seno, all'altezza del cuore e chiusi gli occhi, sentendolo battere lentamente.

Sorrisi e le strinsi la mano "Grazie per essere entrata nella mia vita" le baciai quest'ultima. "Ti amo"

La Sorella Del Mio Fidanzato|| LesbianDove le storie prendono vita. Scoprilo ora