SEQUEL- Quarantacinque

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Erano circa una decina i dottori che nell'ultima ora non avevano fatto altro che entrare, visitarla per qualche secondo, guardare il monitor al quale era collegata, sorridermi e lasciare la stanza, non prima di aver appuntato qualcosa sulla loro fottutissima cartellina.

Nessuno diceva niente, nessuno diceva la verità. "La stiamo visitando" o "Presto sapremo meglio" erano le uniche frasi che mi avevano detto, il resto erano tutti cambi di discorso, per cercare in qualche modo di farmi rimanere calma.

La stanza era immersa nella penombra,  ad illuminare il luogo era solo una piccola lampada sul comodino accanto a lei. Il silenzio regnava fra quelle quattro mura e l'unico rumore che si sentiva era la pioggia che picchiava incessante sul vetro della finestra.

Sfiorai le mie labbra con la punta delle dita e sorrisi, ricordandomi la prima volta che la mia bocca si era unita alla sua.

Bussai alla porta della sua stanza. Sua madre con poca convinzione mi aveva fatta entrare e io non avevo perso tempo, precipitandomi da lei. Quando aveva aperto la porta, nessuna della due aveva parlato. Mi ero seduta sul letto e lei, in piedi accanto alla scrivania, guardava il pavimento visibilmente imbarazzata.

Mi ero stancata? Si.

Mi alzai di scatto e la presi per i fianchi, poi mi avvicinai pericolosamente a lei e, senza aspettare troppo, posai le mie labbra sulle sue, assaporando il dolce sapore di cioccolato che forse precedentemente aveva mangiato.

Le mie mani erano ferme sui suoi fianchi e le sue finirono fra i miei capelli e sul mio collo, mentre le nostre lingue  piano iniziavano una lenta danza.

Una lacrima scese senza il mio permesso ma l'asciugai subito, alzandomi in piedi e iniziando a girare per la stanza a causa del nervoso.

Lei era la mia quotidianità. Tutto quello che facevo lo facevo con lei o, se lo facevo senza di lei, contavo sempre i minuti che ci dividevano. Perderla sarebbe stato a significare una perdita non solo affettiva, ma la mia quotidianità.

Non volevo piangere, ma l'idea di non poterla più baciare, coccolare, di non poterla tenere per mano o di non poter fare l'amore con lei, l'idea di non poterla più rivedere girare per casa o di non vedere più il suo dolce sorriso, mi stava letteralmente lacerando dentro.

Aprii la porta della sua stanza e a grandi falcate raggiunsi il dottore, che era leggermente sfocato a causa delle lacrime.

Lui si girò verso di me e mi sorrise ma poi, nel vedere la mia espressione, tornò serio.

"Io la amo tantissimo" iniziai ma fui subito interrotta dalle lacrime e dai singhiozzi. "Se lei muore, muoio anche io"

Mi si formò un magone in gola e altre lacrime scesero. "Siamo giovani e abbiamo tutto il diritto di vivere la nostra vita. Lei deve salvarla, non mi interessa come ma deve farlo perché io quella donna la amo come non ho mai amato nessuno. Io con lei devo sposarmi e ci devo fare una famiglia, devo invecchiarci con lei perché più  penso a una sua presunta morte e più mi rendo conto che io nella mia vita non voglio nessun altro se non lei. Non sceglierei nessuno se non Esmeralda altre mille volte."

Il dottore lasciò l'infermiera con cui stava precedentemente parlando e mi portò in disparte. Mi sorrisi e io scossi la testa "So di farle pena ma lei non ha idea del dolore che sto provando nel vedere la donna che amo in bilico fra la vita e la morte, stesa su quel lettino senza che voi facciata davvero qualcosa. Io non metto in dubbio la vostra bravura e la vostra competenza, ma non vedo alcuno sforzo"

Il medico si tolse gli occhiali lentamente "Stiamo facendo tutto il possibile. Purtroppo le ferite inferte con il coltello sono profonde e il sangue che ha perso è tanto. La trasfusione ha aiutato si, assolutamente, ma non siamo purtroppo certi che la ragazza si riprenderà. Mi dispiace tanto, stiamo facendo di tutto ma, ora come ora, se stacchiamo le macchine, potrebbe non superare la notte"

La Sorella Del Mio Fidanzato|| LesbianDove le storie prendono vita. Scoprilo ora