2. Potrei farti la stessa domanda

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《Sveglia, è il momento di fare colazione》la voce di Mary mi inondò i timpani.

Odiavo il fatto che mi dovesse svegliare anche il sabato, e mi chiedevo perché non potevo alzarmi da sola.

Mi girai sul fianco infastidita, misi le mani sulle orecchie e finsi di non averla sentita. Percepii Mary sbuffare, ma questo non la fermò; riprese a parlarmi nelle orecchie, a convincermi a svegliarmi, a fare colazione e a uscire.

Alla fine, vinse lei e aprii gli occhi.

Un'altra cosa un po' fastidiosa della mia camera erano le tende bianche, che per carità erano bellissime, ma al mattino la luce entrava in camera e mi infastidiva.

《Eccomi, Mary. Arrivo》borbottai scontrosa.

Odiavo quando qualcuno mi svegliava, adesso direte “Ma non sei abituata a esser svegliata da lei?”. Sì, ma dormire in santapace era il mio sogno da sempre.

Mi misi le ciabatte e aprii la porta per andare di sotto; a tavola, erano già seduti tutti, io mi sistemai accanto a mia madre, che mi sorrise, e iniziai a mangiare. Spazzolai il cibo nell'arco di dieci minuti, per poi alzarmi e annunciare la mia mattinata di giochi.

《Mamma, io esco giocare prima delle lezioni》dissi.

Mia madre assunse un'espressione alquanto perplessa; spostò lo sguardo su mio padre, per assicurarsi che non solo lei avesse sentito ciò che avevo detto. Nessuno aveva ascoltato.

《Ma, tesoro, oggi è sabato》

Ero veramente cretina, allora.

Mi scusai e, per evitare altre figuracce, corsi fuori dal palazzo. Come sempre, mi rifugiai in giardino, ma oggi decisi di andare oltre.
Non volevo solo stare a giocare tra le piante nel cortile, ma volevo vedere cosa c'era quella notte nei boschi.

Da sempre, i miei mi avevano impedito di andare da sola nella foresta, avevano paura per me e continuavano a dirmi:“Quando sei grande potrai, ora sei troppo piccola. Volevo potergli dire la verità, volevo dirgli che non era la prima volta che mi addentravo oltre i confini di Meridione. Ma non potevo.

Era troppo rischioso dire loro la verità, cosa succedeva tutte le volte che non volevo rimanere nella mia città.

Dietro al palazzo, si trovava una porta. La usavo spesso per andare via, non mi avevano mai scoperta.
Corsi sul retro, per i giardini non si aggirava nessuno. Arrivai di fronte all'uscita, aprii la porta e ripresi a correre.

Vagai per un po' di minuti nella foresta; non sentivo nessun rumore e questo mi fece pensare che stessi facendo una sciocchezza. Fu, però, proprio un suono assordante e distogliermi dai miei pensieri. 

《C'è nessuno?》chiesi, guardandomi intorno.

Non c'era nessun movimento, ma il rumore persisteva: era come se qualcuno stesse passando nei rami dei cespugli.

Continuai a indagare per qualche minuto, prima di calmarmi.

Forse, avevo solo sentito male.

Poi successe di nuovo.

No, avevo sentito bene.

Udii di nuovo quel rumore di rami che si muovevano, al passare di una persona. Mi girai di scatto, sperando di vedere cosa provocasse quel suono.

Ma nulla.

Scrutai il luogo, setacciai con gli occhi intorno a me. Ciò che mi colpì, però, un'ombra: aveva la forma di una persona, era alta più o meno come me e non si muoveva.
Era dietro un cespuglio, immobile come se aspettasse l'arrivo di qualcuno.

Mi avvicinai con molta calma, sperando di non fare rumore, poggiato lentamente i piedi sulle foglie per produrre meno suoni possibili.
Poi feci uno scatto e guardai tra le foglie della pianta.

Ciò che vidi mi fece urlare, ma non dalla sorpresa, bensì dallo spavento.

Era un ragazzo, avrà avuto, più o meno, la mia età; aveva i capelli castano chiaro, gli occhi verdi. La carnagione era chiara e le labbra carnose; il suo naso era perfettamente dritto e assumeva un'aria spaventata.

Lo guardai sorpresa, sobbalzai appena lo vidi in faccia. Aveva un'aria terrorizzata, sembrava sul punto di svenire.
Mi fece segno di tacere, io annuii ma continuavo ad avere un'espressione di paura.

《Ti prego, non urlare》mi disse, mettendomi una mano sulla bocca.

Feci segno di sì con il capo e lui tolse la mano, si guardò intorno e tirò un sospiro di sollievo.

Fece per dire qualcosa, ma alla fine non uscì nulla dalle sue labbra. Mi faceva quasi pena: da solo in mezzo al bosco, terrorizzato, con una sconosciuta e tra le piante. Temevo quasi di sapere da dove venisse, di sicuro non un luogo di lusso.

Mi ringraziò per il mio silenzio e mi sorrise. Si presentò, mentre io lo guardavo sempre più confusa.

《Ciao, mi chiamo Jack》e allungò la mano.

Abbozzai un sorriso e ricambiai il saluto, presentandomi.

Jack si scusò per avermi fatto prendere uno spavento, non era sua intenzione spaventarmi. Lo rassicura dicendogli che non c'era nessun problema e che non doveva preoccuparsi.

《Che ci fai qui da sola?》domandò per fare conversazione.

Lo guardo visibilmente perplessa. E tu che cosa ci fai qui, invece? Avrei potuto chiedergli questo.

《Potrei farti la stessa domanda》risposi sicura.

Jack mi guardò e rispose: era andato via da casa sua, come me. Non voleva stare in città e per un attimo mi chiesi se non venisse da Meridione.

《Da dove vieni?》chiese curioso.

Risposi sicura, sperando che mi dicesse lo stesso.

《Tu?》domandai sicura.

Mi guardò un po' imbarazzato, questo mi mise timore. Ebbi paura della sua risposta, ma non potevo tornare indietro.

《Io vengo da Settentrione》disse abbassando il capo.

Avevo sentito parlare di Settentrione; sapevo che noi e loro non andavamo per niente d'accordo, che c'erano state delle guerre e che i sovrani si odiavano.

Non ebbi nessuna reazione esagerata, mi stupii solo sapere la sua provenienza, ma annuii e sorrisi.

《Sai che ore sono?》chiesi.

Lui annuii e si guardò l'orologio al polso, mi disse che era l'una e mezza.

Ma questo a otto anni gli regalano un orologio? Di me si fidano così poco, perché qualsiasi cosa tocco rompo.

Mi scusai e dissi che dovevo andare, altrimenti starebbero venuti a cercarmi. Jack mi ringraziò per la chiacchierata e ci salutammo.

Corsi fino a casa mia, ringraziai che nessuno avesse notato la mia assenza o avesse chiuso la porta sul retro. Entrai e mi fiondai in giardino, tutti lavoravano e nessuno si era accorto di me.

Attraversa il giardino, senza calpestare i fiori – Bernaby, il giardiniere, mi avrebbe ucciso sennò – e arrivai davanti il portone. Stavo per aprire quando vidi un'ombra: un'ombra che mi sovrastava.

Mi voltai con uno scatto e davanti a me c'era... del fuoco.

Mi guardai intorno, chiedendomi come fosse possibile che nessuno se ne stesse accorgendo. Indietreggiai, ma inciampai e caddi a terra; ero terrorizzata, mi spinsi indietro sperando di poter così scappare dentro casa e chiamare aiuto.

Il fuoco si avvicinava, chiusi di scatto gli occhi, come se fosse la fine. Non osai guardare per secondi, forse minuti.

Ma, quando mi decisi a riaprire gli occhi, vidi qualcosa che mi lasciò a bocca aperta e senza fiato.

Il fuoco non c'era più.

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