"Amanda!" gridò mia madre dall'altra parte della casa. Era la terza volta che mi chiamava ed era la terza volta che non avevo voglia di risponderle.
"Insomma, vuoi aprire questa porta dannazione!" Mi ordinò ormai spazientita, abbassando e alzando continuamente la maniglia della
porta; chiudermi a chiave era stata l'idea più furba che avessi avuto durante quella maledetta giornata.
A pranzo, mamma non aveva avuto il coraggio di spiccicare una parola.
"Che vuoi?"
Era strano sentire la propria voce dopo ore di completo silenzio, non avevo aperto bocca nemmeno per sbadigliare.
Ed era andata così per tutta la giornata.
"Apri questa ca... cavolo di porta."
Mamma non avrebbe mai detto una singola parolaccia davanti a me, anche se in quel momento ero certa che prima o poi le sarebbe scappata qualche parola di troppo, proprio come le definiva lei.
Inutile dire che a casa mia non erano ammesse parolacce.
"Amy..." Il suo sussurro passò sotto la porta e scoppiò nel mio orecchio.
Perché non volevo aprire quella dannata porta?
Pensavo che nascondere alla propria figlia che quello che credeva fosse suo padre fin da bambina non lo era veramente, si poteva definire un grande atto di egoismo; soprattutto se i principi che ti venivano insegnati, parlavano di essere costantemente onesti e leali.
Ero di famiglia cattolica, era quello il mio vangelo, il vangelo della verità, che però non ho mai saputo.
Non faceva tanto male sapere che Saverio, il marito di mia madre, non fosse veramente mio padre. Faceva tanto male sapere che per quindici lunghi anni, ero stata presa in giro, sottovalutata.
Per di più mia madre non aveva intenzione di dirmi niente riguardo al mio vero padre e ciò mi faceva pensare al peggio.
Magari era un assassino?
Era un carcerato?
Ci aveva abbandonate?
"Amy... so che abbiamo sbagliato, voglio starti vicina... solo... quest'ultima sera."
Per un momento mi avvicinai alla porta, misi la mano sulla chiave per girarla, ma l'orgoglio mi bloccò. Lei non meritava di starmi vicina quella sera, anche se era l'ultima.
"Adesso non mi va – avrei voluto aggiungere che non mi sarebbe mai più andato – se più tardi mi andrà, ti verrò a cercare in cucina." Sospirai e tornai a letto, immaginandomi la faccia di mamma annuire con una smorfia di rabbia.
Facevo bene no? Avevo il diritto di fare la stronza che si sarebbe adattata a qualsiasi altra cosa.
All'improvviso sentii entrare qualcuno dalla porta di ingresso: lo riconobbi dai passi.
"Amanda o apri 'sta cazzo di porta o giuro che la sfondo!" Era la voce intimidatoria e inconfondibile di Juan.
"Fa pure." Lo sfidai e mi sedetti sul letto, facendo cigolare le molle del materasso; se l'obiettivo di Juan era quello di farmi uscire da camera mia, ce l'avrebbe fatta a costo di sfondare la porta.
"Non puoi aprire e risparmiarmi la fatica?!" Alzò la voce e per un momento mi spaventai, così con uno scatto mi alzai e obbedii, mio cugino era veramente di parola.
Mi ricordo che all'asilo non volevo uscire dal bagno perché avevo litigato con un'altra bambina e lui aveva sfondato letteralmente la porta; c'è da dire che era in parte già rotta e che lui è sempre stato abbastanza spesso, non ci voleva granché per distruggerla definitivamente (forse se ce l'avessi messa tutta ne sarei stata in grado anche io.)
Appena aprii la porta, mio cugino mi squadrò dalla testa ai piedi.
"Che vuoi?" Gli domandai stizzita.
Non avevo fatto nient'altro che pensare sotto le coperte quel martedì sera, avevo pensato solo che alle quattro del mattino avrei avuto il volo.
E le valigie? Non le avevo mica fatte.
"Vestiti, forza." Mi intimò, indicando il mio guardaroba.
"Perché mai?" Quasi scoppiai in una risata amara e gli permisi di entrare in camera mia.
Mamma non c'era più, ma non capii se fosse un bene o un male.
Juan ignorò la mia domanda e tirò fuori dal mio armadio una felpa e un jeans a caso, borbottando qualcosa sul fatto che ero testarda.
"Juan, veramente, ho da fare..." Non mi lasciò nemmeno finire e mi infilò la felpa, forzatamente.
"Devo infilarti pure i pantaloni oppure la smetti di fare la testarda?" domandò retoricamente e mi porse i pantaloni.
"Juan, non ho ancora iniziato una singola valigia e ho un volo tra cinque ore!" Sbottai, sentendomi una persona irresponsabile; detto ad alta voce sembrava quasi uno scherzo.
"Che vuoi che sia, piuttosto ti aiuto io dopo, ma adesso vestiti." Minimizzò con un gesto della mano e con l'altra mi diede una spinta verso il bagno.
"I jeans" dissi, voltandomi restia e lui me li lanciò.
Una volta in bagno raccolsi i miei capelli in una crocchia disordinata, mi lavai i denti e mi infilai quei maledetti jeans blu sdruciti.
"Ma vuoi muoverti?!" Sentii la sua impazienza scaturire in ogni sua parola, ma non dissi niente.
Non avevo nessuna voglia di uscire, ero troppo triste o forse troppo arrabbiata con i miei, con tutte le persone che non mi avevano salutata decentemente e con Juan che si era precipitato a casa mia per chissà quale motivo.
"Non vedo l'ora che arrivino le quattro del mattino!" Pensai ad alta voce, abbottonando i jeans. Lo pensavo davvero, ricominciare da zero sembrava l'unica soluzione sensata.
Uscii dal bagno e mi infilai le scarpe poste ai piedi del mio letto.
"Beh, ce l'hai fatta!" Mi fece un applauso sarcastico che io accolsi con un'alzata di occhi al cielo.
"Dai, vieni con me." Assunse un tono più dolce, quando si accorse che non abbozzai nemmeno un sorriso.
Si alzò dal letto e uscimmo di casa, lui salutò i miei e io non proferii parola fin quando non entrammo in auto.
"Perché non hai preso il giubbotto?" domandò, quasi come se mi volesse rimproverare.
"Non ho freddo." Mentii: meno parlavo, meno ci sarebbero state possibilità di scoppiare a piangere.
"Ci sono 2 gradi, tieni la mia giacca su." Se la tolse e me la porse.
Forse in un'altra circostanza avrei rifiutato o perlomeno non avrei accettato così in fretta, ma quella dannata sera il mio umore era pari a zero, così indossai la giacca di pelle marrone che mi andava tre volte più grande.
Non avevo voglia di fare niente, solo di mettere a tacere i miei pensieri e godermi il panorama di Adroguè.
"Sai, non ti capisco" disse e mise in moto.
"Nemmeno io capisco tante cose, ma probabilmente non tutto ha una spiegazione" risposi, come se avessi letto una battuta di qualche copione, solo con l'intento di raggirarlo.
"Parlo sul serio Amanda. Non capisco la tua decisione, insomma, lo sai cosa significa ripartire da zero? In un paese dove non sai la lingua, dove..."
"Certo che so l'italiano!" Lo interruppi e mi allacciai la cintura di sicurezza.
"Certo, cosa sai dire? Ciao? Pizza, pasta? Non hai nessuno là, non conosci..."
"No, so anche dire vaffanculo a arrivederci – dissi sarcastica – ci sono zia Jessica e zio Marco, non sono da sola."
"Ma la vuoi smettere di fare la bambina? Cazzo, cerca di maturare – smise di guardare la strada e guardò me – te ne stai andando dall'altra parte del mondo!" Frenò all'improvviso, accostando. "Hai quindici fottutissimi anni e pensi di essere una donna vissuta solo perché hai il mestruo una volta al mese, ti rendi conto?!" Continuò a guardarmi, magari si aspettava una mia reazione, ma non gli diedi nemmeno quella soddisfazione. "Tu non hai minimamente idea di cosa stai facendo, te lo garantisco." Sospirò e dalla sua bocca uscì una nuvoletta di vapore, mentre io continuai a guardare il parabrezza della sua auto, incapace di controbattere, anche se quelle che stava dicendo erano stronzate assurde.
"Hai solo scoperto che tuo padre non lo é biologicamente, ma è comunque tuo padre – si calmò – padre non è colui che ti crea, ma colui che ti cresce, ficcatelo bene in testa... È vero, hanno sbagliato a non dirtelo, ma non per questo devi scappare dai problemi."
"Io non sto scappando, dai problemi." Sibilai ogni parola guardando verso l'alto, perché le lacrime minacciavano di scendere.
"Invece sì." Mi contraddì.
"No Juan, tu non sai proprio niente – scossi la testa – non significa che se tu hai vent'anni e hai una cazzo di macchina, allora hai capito tutto della vita." Mi voltai verso di lui. "Non me ne sto andando a fare famiglia altrove, voglio solo stare per un periodo da sola, potrà essere un mese, un mese e mezzo e... e non devo dare di certo spiegazioni a te!"
"Ma tu... hai idea di come stanno i tuoi?"
"E tu hai idea di come sto io?" Gli rigirai la domanda spalancando le braccia e il nodo che avevo in gola mi strozzò.
Fin da bambina ho sempre pensato che dentro la nostra testolina, ci fosse una riserva d'acqua che arrivata agli occhi, si tramutasse in
lacrime; prima o poi questa riserva si sarebbe esaurita e di certo non l'avrei sprecata per quell'occasione.
"Tu non ti rendi conto della..."
"Non mi importa se pensi che io sia infantile e scappi dai problemi, alle quattro ho un volo e nessuno al mondo mi farà cambiare idea." Mi slacciai la cintura e feci per aprire la portiera, ma mise la sicura in tempo.
"Voglio scendere!" urlai, battendo le mani contro il finestrino.
"No" disse con voce imperturbabile e mi voltai di scatto.
"Era questo il tuo piano Juan? Accostare in mezzo al niente e cercare di farmi cambiare idea? – non rispose – oppure rapirmi ore prima per impedirmi di partire?"
"Non sono così stupido!"
"Allora fammi scendere!" Serrai la mascella e sbattei un piede sul tappeto sotto i miei piedi. "Ti ha mandato mamma vero?"
"Certo che no!" Spalancò gli occhi, quasi offeso che lo avessi pensato.
"E allora perché..."
"Sono troppo arrabbiato, okay? Non lo riesco ad accettare." Appoggiò le mani sul volante e lo strinse così forte che le nocche sbiancarono.
"Durante questi quindici anni ci siamo visti a Natale e ai compleanni, niente di più, adesso smettila di fare il fratello maggiore che mi vuole proteggere perché è davvero ridicolo."
Juan mi ignorò e accese di nuovo la macchina, ovattando la mia ultima frase con il rombo del motore. Cosa pensava? Di farmi un discorsetto nel suo stupido bolide e di convincermi a non partire poco prima del volo? Me ne avrebbe potuto benissimo parlare settimane prima, ma a quanto pare non gli andava a genio la cosa: in ogni caso, non avrei cambiato idea.
Ci avevo pensato e ripensato milioni di volte, da metà novembre fino a fine agosto ne avevo avuto di tempo per prendere una decisione simile!
"Dove mi stai portando?" Esordii minuti dopo, con il volto rivolto verso la finestra. Ignorò la mia domanda e continuò a guardare dritto a sé.
Va al diavolo Juan, ho un sacco di cose da fare e tu nemmeno mi dai corda!
Dopo un'altra manciata di minuti parcheggiò e scese dall'auto.
"Dovresti scendere." Sbuffò, aprendo la portiera.
Ci trovavamo in un parcheggio; non fui in grado di identificare altro, oltre al fatto che mi era famigliare.
Che diavolo ci facevamo lì, alle 20:36?
"Chiudi gli occhi" disse in un sospiro e obbedii.
Mi mise una mano davanti agli occhi, in modo che non potessi vedere niente per sicurezza e iniziò a camminare.
"Fidati di me, cammina e non fermarti..." sussurrò, ma fui solo in grado di fare passi lenti con titubanza.
"Ci siamo, al tre apri gli occhi, uno, due..." Lasciò il conto alla rovescia in sospeso.
"Beh, sono consapevole che la matematica non sia il mio forte, ma dopo il due... cioè prima del due non ci dovrebbe essere..."
"Tre!" gridarono tantissime voci all'unisono. Ma dove cavolo ero?
"Non apri gli occhi?" Mi chiese mio cugino.
Me li stropicciai, con un'adeguata attenzione, per non sbavare il mascara del giorno prima e li aprii: c'erano tutti i miei amici, conoscenti compresi, che sorreggevano un cartellone con scritto arrivederci Amandina, quel nomignolo con cui venivo chiamata da tutti e che odiavo profondamente.
Alzai gli angoli della bocca per formare un piccolo sorriso e tutti applaudirono, venendomi in contro: una festa a sorpresa, l'ultima cosa che mi sarei aspettata.
"Sediamoci tutti e brindiamo" propose Paloma, da sempre una mia amica e tutti quanti noi la assecondammo.
Decisi che quella sera avrei lasciato il mio orgoglio da parte e abbracciai tutti i presenti, tranne Juan.
"Signorina, lei cosa desidera?" domandò il cameriere sulla sessantina.
Signorina era anche peggio di Amandina.
"The alla pesca, grazie."
"Starai mica scherzando?" Commentò Moris divertito, un altro mio amico datato.
"Penso proprio di no" rispose Lucas al posto mio, in un bisbiglio che probabilmente udì tutta la tavolata.
"Voi sapete qualcosa che tutti noi abbiamo il diritto di sapere" disse Paloma in tono cantilenante, quando notò le occhiatine tra me e lui. Il fatto era che due settimane prima ero andata ad una festa a casa di Lucas e avevo bevuto così tanta vodka, che avevo vomitato tutta la notte. Da quella sera mi ero promessa che non avrei toccato per un bel po' l'alcol, tutto qua, niente di trascendentale.
"Dai, cosa ci nascondete?" Insistette Moris.
A volte sapeva essere davvero pettegolo!
"Quindi vuole questo the alla pesca sì o no?" Si stufò il cameriere, che per fortuna distrasse tutti.
"Sì che lo vuole" rispose Juan al posto mio, sapeva benissimo che quando avevo l'umore giù, ero in grado di fare scenate assurde.
"Torno subito." Mi alzai e andai in bagno.
Trasformai la crocchia disordinata in una coda alta e sistemai il mascara sbavato; ero veramente un disastro, ma per quel giorno per me, non fu una tragedia.
Mi specchiai un'ultima volta e uscii dal bagno.
"Brindiamo al viaggio di Amanda!" Annunciò Paloma e tutti la seguirono.
Brindammo tutti in allegria, facemmo tantissime foto, finché qualcuno si ubriacò anche, ma il mio umore non aveva intenzione di salire nemmeno dell'1%.
"Allora, quando tornerai?" domandò Andrés, tra uno shottino e l'altro. Bella domanda di merda.
"A dire il vero non lo so nemmeno io." Ammisi, poggiando le labbra sul mio bicchiere ormai vuoto, solo per fare qualcosa e non stare col le mani in mano: avevo solo il biglietto di andata.
"Hai già finito le valigie?" chiese Paloma.
"Nemmeno le ha iniziate." Intervenne Juan e tutti scoppiarono a ridere, guadagnandosi il mio sguardo omicida: quel ragazzo doveva smetterla di rispondere sempre al posto mio!
"Sul serio?" Andrés non smise di ridere.
"Sul serio." Tagliai corto.
"Non è in grado di organizzarsi per fare due valigie e vuole andare all'estero." Bofonchiò Juan.
"Mi spieghi qual'è il tuo problema? È da tutta la serata che mi infastidisci!" Mi alzai dalla sedia, attirando l'attenzione di tutti.
"Piuttosto la aiuto io, non vedo il problema" propose Loma, in mia difesa.
"Non mi sembra il caso di rovinare la serata – poggiò la birra sul tavolo di legno – andiamo a pagare e ci catapultiamo a casa di Amanda a fare le valigie" disse Lucas, forse un po' ubriaco; era la quarta birra che beveva (sì, ero messa così male che pur di non pensare ai miei, mi ero messa a contare quante lattine si era bevuto il mio ex.)
"Fate voi." Concluse Juan, alzando le mani in segno di resa. Mi risparmiai di continuare la discussione, salutai tutti e mi augurarono buon viaggio; uscii dal pub e mi diressi verso la macchina.
"Aspetta, non hai le chiavi!" Mi sorpassò mio cugino.
"E gli altri? Non avevevano detto che..."
"Gli altri ci raggiungono direttamente a casa tua, Lucas e Moris vengono con noi." Mi lesse nel pensiero.
"Puoi pure tenere la tua giacca e tornartene a casa tua, non c'è bisogno del tuo aiuto." Sputai così acida, che pure un limone ne avrebbe avuto invidia.
"Come vuoi tu, Amandina." Fece spallucce e gli lanciai la giacca.
Entrai in macchina rabbrividendo, avevo davvero bisogno della sua giacca, ma l'idea che fosse sua mi infastidiva da morire; mi rendevo conto fosse infantile come cosa, ma il mio orgoglio ormai era giunto al limite e non gli avrei chiesto scusa.
Arrivarono Lucas e Moris e a quel punto mio cugino partí.
Accesi i riscaldamenti, mi allacciai la cintura e appoggiai la testa sul finestrino, quella era per davvero l'ultima sera: incredibile, ma vero.
Quel 29 agosto faceva davvero un freddo terribile, anche solo facendo un piccolo sospiro, ero in grado di formare una nuvoletta di vapore; gli alberi erano completamente spogli e la strada era illuminata solamente dai lampioni e dai fari dell'auto.
E se in qualche modo aveva ragione Juan? Stavo sbagliando davvero tutto? Anche se fosse stato così, era troppo tardi per pensarci, non c'era tempo per essere codarda: una volta che sei in bilico su un trampolino o rimani lì o ti tuffi.
E io di certo non ero una di quelle persone che se ne stava impalata in bilico.
"Arrivati." Annunciò Juan, dopo un viaggio che durò molto meno rispetto all'andata.
Mi slacciai la cintura e aprii la portiera.
"Ci vediamo all'una, sii puntuale, mi raccomando." Mi afferrò il polso prima che potessi uscire: ci era rimasto male per come lo avevo trattato.
"Se tra due ore devi essere di nuovo qui, tanto vale che resti." Sbuffai, avevo fatto davvero la figura della bambina infantile e capricciosa.
Mi sa che un po' lo sei
"Sei tu che hai detto che devo andarmene a casa mia."
"Okay ma..."
"Non riesci proprio a chiedere scusa eh?" Abbandonò il mio polso.
"Mi avrà chiesto scusa una volta in tutta la mia miserabile vita." Intervenne Lucas dai sedili posteriori.
"A me nemmeno una, pensa." Aggiunse Moris.
"E dai!" Esclamai divertita dalla loro esagerazione.
"Beh, se non l'ho fatto vuol dire che non ero in torto!" dissi boriosa, consapevole del contrario e scoppiammo tutti a ridere.
"Voglio solo che tu sia consapevole di quello che stai facendo – Juan tornò serio – tu lo sei?"
"Certo che lo sono."
"Allora devo accettarlo."
"Andiamo?" domandò Moris.
"Sì, andate, io parcheggio e vi raggiungo subito."
Erano già arrivati tutti, mancava solo Juan, il quale arrivò pochi istanti dopo.
Salutai mia madre con un semplice cenno, mentre mio padre non lo guardai nemmeno e guidai tutti in camera mia, nonostante la conoscessero ormai benissimo.
"Bene, abbiamo due ore: Loma, occupati di prendere tutta la biancheria del cassetto numero 1, Andrés, apri l'armadio giallo e prendi tutte le valigie che trovi, Lucas, metti sul letto tutto ciò che trovi nell'armadio marrone, Moris vai nel secondo bagno e prendi tutti i miei trucchi e tutto quello che riguarda..."
"Ma io non so come sono fatti i..."
"Non mi interrompere! – lo ammonii sarcasticamente – e tu Juan, vai nel terrazzo e prendi tutti i tipi di scarpe che trovi" dissi tutto d'un fiato, sentendomi un'ottima leader.
"E tu intanto cosa farai?" Si accigliò Moris.
"Numero 2." Tutti si misero a ridere e io me ne andai in bagno teatralmente.
"Ma quindi come sono fatti i trucchi?" Sentii la voce ovattata di Moris.
"Oh, vieni con me!" Si spazientì quella santa di Loma.
E miracolosamente, con l'aiuto dei miei amici, terminai le valigie in meno di un'ora.
"Basta, sono stanchissimo" disse Andrés con tono affannato, poggiandosi di peso morto sul mio letto, come se avesse corso per due ore.
"Volete fermarvi a dormire qua?" proposi.
"Volentieri" rispose Paloma in uno sbadiglio e tutti la seguirono. Se il volo fosse stato ad un orario più decente probabilmente mi avrebbero accompagnata all'aeroporto, ma avevano già fatto tanto per me e andava bene così.
"Il letto è mio!" Decise Moris.
"No, sul letto possono tutti tranne te!" Esclamai con una punta di divertimento.
"E perché?" Fece un faccino così tenero, che mi venne voglia di abbracciarlo.
"Perché... i tuoi piedi odorano di cane morto." Cercai di non ridere, ma non ci riuscii.
"Ti prego, me li vado a lavare!" Non sembrava avesse diciassette anni, bensì sette.
"E va bene, tanto me ne vado, anche se impuzzolentirai il mio letto non lo saprò."
"Abbraccio di gruppo?" propose Andrés.
"Abbraccio di gruppo." Concordarono tutti, me compresa.
"E adesso come faremo senza la più piccola del gruppo?" domandò retoricamente Loma.
In effetti avevano tutti dai diciassette ai vent'anni, ero io la più piccola; sarebbero sopravvissuti trenta giorni senza di me!
All'improvviso qualcuno bussò alla porta, spezzando quel momento da film.
"Avanti" dissi, sapendo già chi avesse bussato.
"Amanda, vieni in soggiorno" disse mia madre.
Cercai conforto nello sguardo di Juan, ma lui mi mimò solo di andare. Seguii mia madre in soggiorno e mi sedetti sul divano rosso, esattamente di fronte ai miei presunti genitori.
"A me e a papà..." Iniziò mia madre, ma non la lasciai continuare.
"Lui non è papà!"
"Sì, invece." Intervenne il diretto interessato e mi venne da riedere.
"Tu... – lo indicai assottigliando lo sguardo – ti sei permesso di alzarmi le mani diverse volte, insultarmi e farmi scenate di gelosia, mentre non sei stato mai nessuno! E mi ricordo che a cinque anni mi davi dei baci in bocca ed ero convinta fosse amore paterno!" Gesticolai con animosità. "Ma tu non sei mio padre, non lo sei mai stato... – mi interruppi solo per deglutire – voi mi avete mentito per quasi sedici anni e la cosa peggiore è che sono venuta a saperlo da sola! Mi avete sempre parlato di principi, di amore, di sincerità, ma voi due non avete mai avuto nessuna di queste qualità".
"Sei solo arrabbiata."
Era più facile dire che era colpa mia no?
"E tu sei solo un senza palle!" Sputai infuriata.
Sbam!
Saverio mi diede uno schiaffo alla velocità della luce, uno di quelli che ero fin troppo abituata a ricevere, uno di quelli così forti, che poi la faccia ti pulsava tutta la sera, uno di quelli che ogni volta lasciava il segno rosso per un po'.
"Amanda! Non è questo ciò che ti ho insegnato!" Mi rimproverò mia madre e come da copione, aveva difeso lui. Meritavo quello schiaffo e non solo quello, tutti quelli che avevo ricevuto da parte sua.
"Ah si? E cosa mi hai insegnato allora? A farmi credere che uno sconosciuto era mio padre?" Sentii gli occhi diventarmi lucidi e sbattei le palpebre più volte per non farlo vedere. Non avevo paura di essere picchiata, avevo deciso che sarebbe stata l'ultima volta, dunque glielo avrei concesso. Sapevo ne avrebbe sentito la mancanza.
Poi mia madre fece una cosa che faceva di rado: pianse.
"E tu che diavolo hai da piangere?!"
"Tesoro, non sai quanto mi dispiace, ho sbagliato, non volevo farti soffrire..."
"Almeno dimmi chi è veramente papà!" La supplicai e la mia gola prese fuoco.
"Sono io e adesso basta con queste scenate ragazzina. Vuoi andare a fare la troia in giro? Quella è la porta!"
"Mamma – ignorai completamente quel malato – lascia che me ne vada per un po' per metabolizzare la cosa e per dare a te il tempo di prendere le forze per raccontarmi la verità" dissi con voce tramante, sotto lo sguardo minaccioso di quell'uomo.
Annuì.
"Mi mancherai." Le sussurrai all'orecchio, come se fosse un segreto che non avrebbe dovuto sapere nessuno.
"Anche tu." Incrinò la voce, accarezzando i miei lunghi capelli castani, ormai sciolti.

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Io e te. Il resto non conta.
Novela Juvenil[IN FASE DI REVISIONE] Nella tranquilla cittadina di Adrogué, la vita di Amanda, una ragazza appena uscita dalla sua quinceañera, sta per prendere una svolta inaspettata. Dopo aver scoperto che l'uomo che ha sempre chiamato padre non è tale, Amanda...