37. Duemila volte

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Vorrei provare ad abitare nei tuoi occhi,
per poi sognare finché siamo stanchi.
Vorrei trovare l'alba dentro questo letto.

Duemila volte (Mengoni)
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Erano le quattro e mezza del pomeriggio, dalla finestra socchiusa entrava un leggero venticello e la lampadina appesa al soffitto della camera era spenta, siccome ad illuminarla vi erano i raggi del sole provenienti dall'esterno.
La televisione era accesa su un canale che stava trasmettendo un vecchio film western girato in un canyon, ma nessuno saltava guardando con la benché minima attenzione lo scorrere di quei fotogrammi.
Dopo aver pitturato, chiacchierato e guardato la tv insieme, Lyra e Toby erano tornati a stendersi sul letto e, dopo diverse manciate di minuti, entrambi erani finiti per addormentarsi.
La ragazza era adagiata sopra alle lenzuola in posiziome fetale, con la testa affondata nel cuscino e rivolta in direzione della porta; lui, invece, aderiva con il petto alla sua schiena e la avvolgeva con il braccio sinistro. Aveva la mano poggiata sul suo seno, lo sfiorava lievemente ma senza alcun secondo fine: semplicemente, non sapeva di non doverlo fare e lei questa volta non lo aveva ripreso in nessun modo. Dormiva tranquillo, con la testa tra i capelli profumati della sorella; si sentiva così al sicuro, vicino a lei. Esattamente come un neonato gode della serenità aggrappato al petto di sua madre.
Nella stanza regnava un piacevole silenzio, interrotto solo dal cinquettio degli uccellini che zampettavano sulla gronda del tetto e dal rumore di qualche auto che in lontananza percorreva la strada. Quell'atmosfera così tranquilla fu tuttavia interrotta, in modo improvviso, dal rumore del pomello della porta che veniva premuto.
Lyra aprì le palpebre ed impiegò qualche secondo a realizzare che, quella figura adesso immobile davanti all'uscio palancato, era suo padre. Aveva dimenticato forse di chiudere a chiave la porta?
Stava per dire qualcosa seppur fosse ancora confusa ed assonnata, ma l'espressione di profonda rabbia che apparse sul volto dell'uomo la pietrificò. Dapprima non riuscì a capire da cosa fosse scaturita quella rabbia che leggeva nei suoi occhi, ma un attimo dopo lo realizzò suo malgrado.
-Questo... Questo è davvero troppo!- gridò l'uomo a squarciagola, causando l'immediato risveglio di Toby. Il ragazzo ritrasse la mano e balzò in piedi, con gli occhi carichi di paura, seppur non avesse idea di quello che stava accadendo.
-Papà, calmati!- gridò Lyra, rizzando la schiena. Doveva averli visti insieme, e aver pensato che stessero facendo chissà cosa.
-Questo lurido... bastardo- borbottò ancora l'uomo, stringendo i pugni ed espirando violentemente una gran quantità d'aria. Il suo volto era paonazzo, la fronte aggrottata ed i nervi tesi come corde di violino. -Che fai, gli permetti di metterti le mani addosso?- sbraitò.
La ragazza scosse energicamente la testa, tentando invano di spiegare. -No, papà... Toby non ha fatto niente- rispose, con la voce che tremava.
Non riuscì a prevedere ciò che sarebbe accaduto dopo, per questo non ebbe il tempo di reagire quando suo padre si scaraventò sul ragazzo con una furia che mai aveva avuto in tutta la sua vita. Lo afferrò per i capelli e lo sbattè violentemente contro al muro. -Bastardo!- gridò con tutto il fiato che aveva in gola. -Che cazzo credi di fare? Eh?-.
-Papà lascialo stare!-. Il grido di sua figlia giunse ovattato alle sue orecchie, intento com'era a sfogare tutta la sua rabbia contro quel figlio che non avrebbe mai voluto. Iniziò a colpirlo con una serie di pugni, e più si sfogava più sentiva di voler farlo ancora. Dopotutto, non aveva aspettato altro che avere occasione di riempirlo di botte. Ed ora che quell'occasione gli si era inaspettatamente presentata, finalmente poteva mettere in atto ciò che per molto tempo aveva dovuto trattenere.
-Bastardo!- gridò ancora, assestandogli uno spintone che lo fece sbattere con violenza contro alla scrivania. -Non ti permetterò di rovinare tutto un altra volta!-.
Tra un colpo e l'altro, Toby non accennava in nessun modo a volersi difendere. Non poteva sentire il dolore scaturito da quell'aggressione, e probabilmente pensava di aver fatto davvero qualcosa di sbagliato, e di meritare quella punizione. Perciò, sia per l'uno che per l'altro motivo, se ne stava immobile e lasciava che lui gli sfogasse addosso tutta la sua rabbia.
-Lascialo, basta!-. Lyra aveva adesso entrambe le mani aggrappate alle spalle dell'uomo, e cercava di allontanarlo da suo fratello tirandolo a se con tutte le forze che aveva in corpo. Ma la furia del padre pareva implacabile, tanto che pareva essere diventato completamente un'altra persona; era cattivo, violento, e dannatamente impulsivo.
Afferrò Toby per i capelli ancora una volta e gli sbattè la testa contro al muro; il ragazzo a quel punto iniziò a sentirsi confuso, e la sua vista si annebbiò. Sentì la voce di sua sorella, che gridava e tremava nel disperato tentativo di proteggerlo, la mano di suo padre afferrarlo per il collo poi dargli un forte spintone.
Sentì l'impatto con l'angolo della scrivania, che spezzò la sua clavicola, e lo sbattere della sua mascella sulla superficie piana. Nonostante questo, nessuna sensazione di dolore.
-Ti ammazzo! Ti ammazzo!-.
Lyra si rese immediatamente conto della gravità della situazione: suo fratello si era accasciato a terra, e papà lo stava prendendo a calci nello stomaco. In preda alla totale disperazione la ragazza afferrò una statuetta di marmo che custodiva da anni sullo scaffale della libreria, e colpì l'aggressore alla nuca aiutandosi con tutte e due le braccia.
L'impatto generò un colpo sordo, seguito da un rantololo di dolore. Suo padre si accasciò a terra accanto a Toby, portandosi le mani alla testa.

Ticci Toby - RipudiatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora