5. Ti ho voluto bene veramente

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Trascorsi giorni interi senza dire una parola,
credevo che fossi davvero lontana.
Sapessimo prima di quando partiamo,
che il senso del viaggio è la meta e il richiamo.

Ti ho voluto bene veramente (Marco Mengoni)
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Le mani di Lyra afferrarono lentamente la leva di ferro, posta sul grosso sportello. Divaricò i piedi ed inarcò la schiena, scoprendolo molto più pesante da sollevare di quanto avesse creduto; si sforzò fino a far tremare le braccia, ma poco dopo riuscì ad aprire la botola lasciando cadere lo sportello dal lato opposto.
Ciò che si trovò davanti, era uno stretto tunnel scavato nel terreno, al quale si accedeva tramite una piccola scala di ferro. All'interno filtrava poca luce, a malapena sufficiente per avere un'idea delle dimensioni del tunnel.
Lyra passò nervosamente una mano dietro alla nuca, guardando con sgomento verso il basso; non soffriva di claustrofobia, ma non per questo le risultava facile infilarsi in quello spazio buio e angusto.
Emise un pesante sospiro e si costrinse a provare; non poteva mollare proprio ora, che era presumibilmente ad un passo dalla verità.
Poggiò i piedi sulla scala, prima uno poi l'altro, per assicurarsi che fosse abbastanza robusta. Poi, con una lentezza snervante, iniziò a scendere.
Quattro scalini, e si ritrovò nuovamente con i piedi sulla terra. Davanti a lei, scorse uno spazio ristretto, di forma rettangolare, i cui angoli erano dominati dal buio più totale.
Ancor prima che potesse inziare ad esplorare quell'angusto spazio, un tintinnio molto ravvicinato catturò immediatamente la sua attenzione; spaventata, la ragazza fece un passo indietro andando a sbattere contro alla scala.
C'era qualcosa, lì con lei.
Deglutì, con il fiato corto e le palebre spalancate.
I suoi occhi si posarono sull'angolo buio dal quale era provenuto quel suono, e si ritrovò immobile a guardare i movimenti di quella che pareva essere una figura umana accovacciata.
Il suo cuore accellerò i battiti; ebbe l'impulso di fuggire, ma qualcosa la costrinse a tenere i piedi saldi a terra.
Lo sconociuto si sporse lentamente verso di lei, finché il fascio di luce proveniente dalla botola aperta non illuminò parzialmente il suo volto.
Era un ragazzo.
Una folta chioma di capelli castani pendeva disordinata sulla sua fronte sporca; aveva un paio d'occhi marroni, molto simili ai suoi, ed un'espressione di infantile stupore dipinta sul viso.
Sbatteva continuamente le palebre, come fosse disturbato dal fascio di luce che lo aveva raggiunto, e di tanto in tanto il suo corpo era aggredito da una serie di tic nervosi.
Il suo corpo, spaventosamente magro, era coperto da una felpa con le maniche a righe ed un paio di pantaloni logori.
-Chi...Chi sei?- balbettò Lyra, facendogli cenno con le mani di mantenersi a distanza. Soltanto allora notò la catena di ferro attorcigliata al suo polso, e bloccata al terreno.
Il ragazzo restò in silenzio a guardarla per un tempo indefinito, senza esprimere alcun tipo di emozione se non una semplice curiosità. Pareva non aver mai visto un altro essere umano in vita sua.
-Chi sei?- ripeté ancora Lyra, incurante del modo in cui la sua voce stava tremando.
Lo sconosciuto allungò una mano e recuperò un oggetto da terra, che poco dopo la ragazza identificò come un paio di strani occhiali muniti di una lente gialla. Li indossò senza dire una parola, poi tornò a fissarla non più disturbato dalla luce del sole.
Lyra chiuse gli occhi per qualche attimo e riprese il controllo, facendosi coraggio come poteva; dopotutto, seppur strano quel ragazzo non pareva essere aggressivo. E in ogni caso, era legato.
-Ti tengono prigioniero quì sotto?- mormorò, avvicinandosi a lui di pochi passi. Aveva un estremo bisogno di capire che cosa stava accadendo; si rifiutava di pensare che suo padre avesse potuto fare una cosa tanto orribile. Rapire uno sconosciuto ed incatenarlo in un buco.
Il castano restò immobile a guardarla  ancora qualche secondo, poi abbassò lentamente lo sguardo.
-Non hai... Portato niente?- disse, con un filo di voce.
Lyra aggrottò la fronte. -Come?- esclamò. Si avvicinò ancora, questa volta posizionandosi anbastanza vicino da poterlo toccare, ma non lo fece. Non ne aveva il coraggio.
-Cosa avrei dovuto portare?- domandò,  avendo da subito capito di doverlo assecondare se voleva ottenere delle risposte.
Il ragazzo adesso teneva la testa bassa, ed entrambe le sue mani, sporche ed avvolte in un paio di logore fasce, erano puntate a terra. -Qualcosa per me...-.
La sua voce era flebile, triste, stanca; si muoveva in modo estremamente lento, eccetto per i momenti in cui era vittima dei suoi tic nervosi.
-Chi sei? Sai dirmi come ti chiami?- insistette ancora Lyra, osservandolo con estrema preoccupazione.
-..Toby- farfugliò lui, senza alzare la testa.
-Okay, Toby- continuò la ragazza, con decisione. -Non preoccuparti. Chiamerò la polizia, ti farò tirare fuori da qui-.
Ma non appena ebbe udito quelle parole, il ragazzo sembrò venire travolto dal panico. Indietreggiò di colpo strisciando sulla terra, fino a spingere la schiena contro alla parete. -No, no, no, ti prego...- balbettò, agitato. -Non voglio uscire...-. Annaspava come gli mancasse aria, ed aveva iniziato a tremare in modo appena percettibile.
La ragazza lo osservò con il fiato sospeso, troppo sconvolta per sapere che cosa dire. Non risuciva a capacitarsi di ciò che stava vedendo.
-Ma non puoi... Restare qua dentro- mormorò, aggrottando la fronte.
-Lui..viene ogni...giorno- continuò a balbettare Toby, nascondendo la testa dietro alle ginocchia. -Viene ogni giorno... per me-.

Ticci Toby - RipudiatoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora