42. Il mostro

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Urla.

Altre urla.

Il corpo della ragazza si smosse come in preda a spasmi. Si risvegliò con l'ondata di terribili ricordi omicidi caratterizzati dalle urla strazianti delle vittime, le stesse che la stavano tormentando ultimamente.
Spalancando le palpebre, era visibile un colore caldo, iride e cornea tinte di porpora, quasi macchiando la pupilla ristretta.
Un secondo dopo, si ristabilì il colore tipico della ragazzina.

L'acqua ancora batteva contro una sua spalla; la chiuse e si asciugò pigramente, noncurante di vari lividi dovuti alla botta presa in precedenza.
Ammirando allo specchio ogni angolo del suo viso, del suo corpo, si allenò anche nel mantenere l'espressione secondo lui tonta che Cara aveva sempre avuto.
Doveva imitarla alla perfezione; non si meravigliò nel sentire la sua docile voce femminile esprimere giudizio sulle capacità di approvvigionarsi alla perfezione di un corpo, quando l'anima era ormai sua.

-Bene.- Commentò con un ghigno, uscendo dal bagno dopo aver indossato una maglietta bianca senza alcuna stampa e dei jeans azzurri fino alle caviglie.

Milioni di combinazioni di codici espressi unicamente dentro di sé cercavano di elaborare le sue successive azioni.
Quella coscienza era puramente vendicativa, non conosceva, per sua natura, l'umanità né il rimpianto o il perdono, risultando onnipotente.

La ragazza scese le scale senza alcuna fretta. Ogni passo lo percepiva come un successo, ogni sguardo e smorfia. Era riuscito a possederla completamente, facendo svanire per sempre quella inutile e fragile corazza che aveva avuto fino ad allora.

Andò in cucina, ghignò quando vide qualcuno seduto alla tavola, un obiettivo interessante, pensò.

-Cara! Stai bene? Ti preparo un toast, non fare complimenti, so che ti piacciono molto.- Esultò quella, alzandosi energicamente dalla tavola e dirigendosi al frigorifero, ora intenta a trovare gli ingredienti.

Cara si avvicinò a lei. Non bastò altro che quei tentacoli per bloccare la ragazza, ergendola con la schiena al muro.

-Cara, che diamine stai... Stai facendo?!- Piagnucolò la ragazza dalla folta chioma nera, mentre invano stringeva le mani contro i tentacoli stessi per liberarsi dalla morsa al proprio collo.
Voleva constatare se poteva soffocarla, ucciderla, con quel miserabile corpo da adolescente appena matura ma con una segreta ed immonda forza nascente dentro di lei.

Jane si era arresa, le braccia erano crollate penzolanti verso il basso, così come la sua voce gracchiante ora non disturbava più.

Aveva completato il suo primo obiettivo, era riuscita ad uccidere uno di loro senza riscontrare risentimento o altre emozioni pietose. Ciò affermava ogni sua certezza.

Appena dopo, qualcun altro si affacciò alla cucina, era un essere dalle sembianze goffamente simili ad un clown, con alcuni tratti femminili. Nonostante incutesse più timore della precedente, ora era ferma sul ciglio della porta e guardava incredula il corpo di Jane stremato al suolo.

-CARA!- Esclamò inorridita, porgendo le braccia in avanti. Andò a soccorrere l'amica ma così non fece altro che cadere nella trappola del mostro, mostrandosi vulnerabile al prossimo attacco dalle spalle, per mezzo dei tentacoli ancora.
Cara sbatté Jill al muro adiacente, risuonando per tutta la stanza. La botta fu talmente forte che non le servì agire ancora , poiché si bloccò il respiro un attimo dopo.

Due elementi tolti di mezzo, con poca fatica.
Si sentì inebriante, carica di sé.
Cara scavalcò i due corpi inermi per raggiungere lo sportello del frigorifero, prendendo una bevanda alcolica e trionfare i suoi ottimi risultati. No, non di Cara, del mostro che lei aveva contribuito a crescere, alimentare con sensazioni puramente negative; in tutti i momenti in cui si era sentita fragile e sola, lui la aveva ascoltata e ''rincuorata'', approvvigionandosi della sua vitalità. 

Il mostro rise, una maligna e forte risata riecheggiava per tutta la casa, attraversando le fredde pareti anonime, alcune delle quali nascondevano una bimba dalla chioma bruna che aveva sentito ogni minimo particolare. 

L'istinto portò Sally a scattare sotto il suo letto, cercando riparo dietro le coperte che si adagiavano al suolo. Il petto a contatto col pavimento doleva per il freddo, tremava dalla paura. Era una bambina arguta, aveva capito che qualcosa non andava e rimpianse di essere ora l'unica in casa, dopo che tutti gli altri erano usciti poco tempo prima. Il labbro superiore tremava incessantemente, solo i suoi grandi occhi verdi puntavano sgranati verso la porta, per scorgere un suo possibile movimento. Si ritirò più verso il muro quando sentì dei passi ben distinti, cessati d'un tratto, proprio dal corridoio adiacente la sua cameretta. 

Mentre la bambina tratteneva a stento i singhiozzi, la porta venne spalancata, sbattendo contro il muro e risuonando per tutta la stanza. Quel mostro la sentiva, sentiva il suo odore, il suo balbettio tremante, adesso anche il suo pensiero. Cara non sapeva farlo con nessuno di loro, il mostro sì, invece. Si sentì ancora più orgoglioso per aver battuto la ragazzina anche in ciò.

Con un sorrisetto sghembo raggiunse a falcate il letto, inginocchiandosi e richiamando la bambina con la migliore imitazione del tono fastidioso e languido di Cara che avesse mai potuto fare:

-Tesoro, perché ti nascondi? Sono io. Dai, andiamo a giocare, siamo grandi amiche, giusto?- La stava torturando psicologicamente, mentre Sally non riusciva a muoversi né a vedere l'espressione sul volto dell'altra persona. Poco dopo, quella alzò un lembo della coperta con estrema lentezza, rivelando un volto cupo come la morte, un sorriso largo quando tutto il volto, caratterizzato da aguzzi denti bianchi come avorio, mentre degli occhi socchiusi in due mezze fessure, Sally non riusciva a non fissare le iridi nere assieme alla sclera.

Allungò un braccio ma Sally si spostò verso il fondo del letto, infastidendo tanto il mostro. Questo rovesciò il letto senza alcuna fatica e Sally la trovò una bella possibilità per scappare; si slanciò verso il corridoio, scese le scale di fretta ma esitò quando trovò i due cadaveri tra la cucina e l'atrio. Solo i versi incomprensibili del mostro la sbloccarono, riuscendo a scappare fuori casa e disperdendo le sue tracce, gettando giacca e maglione su alcuni  rami.

Passò un paio di ore nascosta nel fitto bosco, incapace di udire le voci degli altri ed, allo stesso tempo, di percepire le macchine sfrecciare ad alta velocità su quella fantomatica strada al confine con la civiltà.
Ansimava e si reggeva sulle ginocchia, rimpiangendo di essere rimasta in canottiera per il sottile freddo avvolgerle le braccia.

Un rumore, ben distinto, dietro un cespuglio.
Alcune fronde degli alberi si muovevano all'unisono per il venticello ma, allora, si bloccarono.

Gettò un urlo quando vide nuovamente quegli occhi, quella espressione, attraverso le zone più coperte del cespuglio.

My little daughterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora