4. Tu non sei più la mia Rossella

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"Tre, due, uno... Ora!". E giù, un tonfo a tre tra i cuscini e le briciole dei biscotti sparsi sul divano. Lo lasciamo lì, supino, un braccio penzoloni.

Daniela sbuffa via la fatica e si accascia sulla poltrona, io mi abbandono a terra, la schiena schiacciata contro la parete. Aspettiamo che i nostri respiri affannosi, a poco a poco, tornino regolari. Sampietrino su sampietrino, scalino dopo scalino, abbiamo trasportato, ciondolando ora dalla sua parte ora dalla mia, il corpo fiaccato di Damiano Re. Che ancora respira, gli occhi socchiusi e qualche rantolo tra i denti.

"Non avrei dovuto ascoltarti, Danny. Siamo appena arrivate a casa e già me ne sono pentita...", provo a ritrovare la saliva persa lungo il tragitto, un continuo voltarsi per controllare di non essere seguite. E quel peso inanimato addosso. Il suo.

"Sarà anche magro, ma è altissimo. Perché aiutarlo? Andava lasciato dov'era. Quando imparerò a fare di testa mia, dannazione!".

"Ros!", Daniela si asciuga la fronte con il dorso della mano. "Avevamo due scelte: chiamare un'ambulanza oppure nasconderlo qui. Voglio dire, è cosciente, passata questa notte si rimetterà in piedi e se ne andrà".

"E se avesse qualche emorragia interna? Se esalasse l'ultimo respiro nel nostro salotto? A questo non hai pensato, e ci costerà la galera".

"Dai, Ros! Non essere pessimista. Sarà questione di qualche ora. Non hai mai assistito a una scazzottata?", la vedo alzarsi, malferma, e avvicinarsi all'ospite indesiderato che, ne sono certa, mi impedirà di riposare. Ma di cosa mi stupisco, reclino il capo. Non è ancora scoccata la mezzanotte, ancora siamo in balia dei capricci di questo sfortunato giorno quattro. Devo resistere.

Daniela richiama la mia attenzione con uno schiocco: "Mi passeresti un bicchiere d'acqua fresca e un panno?".

"Non ci penso nemmeno!", mi tiro su, diretta in camera. "Hai intenzione di curarlo?".

Un moto di nervosismo la scuote tutta: "Insomma, vuoi che ce ne liberiamo in fretta? Allora, sì, va curato. E, se non hai voglia di collaborare, farò da me".

"No, lascia", mi rannuvolo. E, in silenzio, mi infilo in cucina. "Acqua fresca...", borbotto. "Sai cosa ci metterei io in questo bicchiere, al posto dell'acqua?", glielo indico, prima che me lo strappi dalle mani, sconcertata.

"Non lo voglio sapere, Ros. Quasi non ti riconosco".

Lei non mi riconosce, torno seduta sul piano duro del pavimento. Io, invece, la ritrovo in ogni suo gesto. A guardarla, inginocchiata davanti a quell'uomo mentre gli scosta un ciuffo biondo e con pazienza strizza tra le dita il panno imbevuto d'acqua per tamponargli la fronte e le tempie, mi sembra di riconoscere il volto eroico della pietà. Che sentimento grande gli sta dimostrando. La ammiro, ammiro la generosità inesauribile di Daniela, semplice in quelle attenzioni dappoco, che sono tutto.

Al tocco del panno, Re si ritrae. Comincia a muovere le labbra, farfuglia qualcosa che non comprendiamo.

"Così cattivo, eppure che viso angelico...", se ne esce d'un tratto lei. "Ti pare possibile?".

Lo punto, gli occhi duri. "Ci vedo solo uno spietato egoista pieno di complessi", le ribatto traboccante di livore. Ma so che Danny ha ragione: è questo ciò che si prova, se ci si trova di fronte uno come Damiano Re. In fondo, lo percepisco anch'io, questo disappunto. Questa grande occasione mancata.

"Perché lo fai?". La sua voce spezza l'atmosfera raccolta del momento. Il mio stomaco si chiude, i muscoli si irrigidiscono. L'ha presa per un polso, quelle pupille chiare si riaprono per un istante, poi ricadono sotto il carico di un torpore malato.

Crisantemi fritti tutto l'annoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora