40. Muğla

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"Zucchero, cristo santo, che ti prende?".

Le otto dita tozze e pelose di Le Fèvre si incollano alla scrivania. Il viscido Jacques si protende senza paura, mostrando con fierezza il prezioso bottino, garanzia per la mia casa. E quello, il diasporo, brilla del suo colore indefinito, è talmente bello da togliere il fiato. Lo guardo e penso a Ömer: l'anello è la sola cosa che ha tenuto con sé in tutti questi anni in giro per il mondo, in quella pietra è conservata l'unica traccia del suo passato, la prova che una famiglia lui in fondo l'ha avuta. Non ha altro valore, l'anello degli Aslan, se non la sua identità, le sue radici, la sua terra lontana. Al diavolo i dollari.

Devo riportarglielo a qualunque costo.

Stringo forte il tagliacarte e sollevo il braccio ancora più in alto. Sto prendendo la mira, sono pronta a conficcarlo nella carne spessa di Jacques, a spezzargli l'osso e macchiarmi del suo sangue. Colpire, prendere e scappare. Non deve essere difficile: è solo questione di precisione. O, almeno, così vorrei credere: alla sola vista dei due restanti monconi, quelli che una volta erano i suoi mignoli integri, avverto il polso tremolare e la punta del tagliacarte flettersi. È come se non riuscissi a passare all'azione, come se mi stessero venendo meno le forze per sferrare il colpo fatale.

Quei mignoli mozzati sono un avvertimento. Jacques Le Fèvre viene dai bassifondi. Quante ne avrà viste, quante ne avrà patite. Io non devo sembrargli altro che una stupida principiante, con questa posa patetica e la faccia più tirata della sua. E, allora, mi chiedo cos'avrà combinato, in passato, il viscido Jacques, per essersi ridotto così. Quelle falangi, tranciate di netto, sono la conseguenza di un incidente? Oppure qualcuno si è avventato su di esse, armato di lama affilata, proprio come sto per fare io adesso?

"Forza, Zucchero, tira fuori la Rossella spietata che nascondi nel profondo del tuo animo nobile e altruista". Tutte quelle dita, spinte alla mia mercé, mi invitano a usare il tagliacarte che ho osato brandire. Sono lì, scoperte, per me. "Non hai che da spingere con tutte le tue forze. Avanti, taglia questo maledetto dito, dolcezza!".

Non ci riesco. Lacrime di rabbia mi salgono agli occhi, liquefanno il volto di Le Fèvre e le sue mani. Tremo, in piedi davanti a lui, eppure non mi arrischio a cedere. Voglio quell'anello, allora riprendo la mira. Il mio corpo sta tutto lì, aggrappato al manico d'argento.

Sta tutto lì, e non si muove.

"Mi consegni il diasporo, Le Fèvre", professo a palpebre chiuse. Il solo guardarlo mi dà la nausea.

Quello, di contro, mi si rivolge di profilo: la sua attenzione va all'anello, che rotea per aria con espressione assorta. "Una pietra rarissima", recita in contemplazione. "Solo un idiota avrebbe potuto rinunciarci".

Stringo il manico, più forte.

"Un idiota", insiste Jacques compiaciuto. "O un uomo follemente innamorato".

"Me lo dia, come può torturarmi in questo modo?", singhiozzo e a fatica riesco a respirare. Se non uscirò di qui con l'anello, avrò fallito.

"Quale tortura, ragazza", di colpo Le Fèvre sembra essersi scocciato della recita. Il suo tono si fa secco e tagliente: "Questi sono affari, hai capito? Una garanzia è una garanzia. Aslan avrebbe dovuto stare attento e non prendermi in giro. I soldi che ho profuso per salvare l'Agenzia Re hanno fatto comodo anche a lui, o sbaglio?".

"Ma non stiamo parlando della quota societaria dell'Agenzia Re, signor Le Fèvre", mi stizzisco. Il petto ancora scosso dal pianto. "Stiamo parlando di una somma che lei non concederà. Quella garanzia, allora, va restituita. Accidenti, un codice d'onore ce l'ha? È così che manda avanti quelli che chiama affari? O non sono altro che ricatti, i suoi?".

Crisantemi fritti tutto l'annoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora