Un filo di luce si irradia sul pavimento e lambisce le nappe del tappeto. Sfiora, stiracchiandosi a più non posso, i piedini intarsiati del letto con il maestoso baldacchino che osservo a occhi sgranati, nell'oscurità, da almeno un'ora. La porta è chiusa, ma quella linea sottile d'un giallo cangiante sembra insistere per entrare, e rubarmi l'intimità.
Avverto la maniglia tremolare, poi subito irrigidirsi. Come se qualcuno, nel corridoio, l'avesse per un istante toccata. È così, credo. Un'ombra picchietta sul riflesso della luce e sosta davanti alla porta, in attesa.
"Chi è?", chiedo al buio che mi avvolge. Ma nessuno risponde e l'ombra resta al suo posto.
"Ömer, sei tu?", scivolo giù dal letto e mi avvicino piano. I palmi contro il legno, la fronte schiacciata e le orecchie tese, al di là riesco a percepire il suo respiro. Ne seguo il ritmo, è più calmo del mio. Regolare, controllato. È il suo.
Lo ascolto, con il petto che mi duole. Finché mi pare di averlo perso. Così apro, preda del timore che si sia allontanato forse incapace di andare oltre. Invece, lo trovo lì, le spalle contro il riflesso delle piccole lampade a muro che si alternano lungo le pareti del corridoio, appesantite da un doppio giro di collane a gocce di cristallo e un filo di polvere.
"Scusa, non volevo svegliarti", si porta le mani ai fianchi e guarda fisso a terra.
"Mi cercavi?", stringo le braccia, infreddolita. Lui fa segno di voltarmi, di guardare - anch'io - in basso. "Caspita", mi chino a raccogliere il mappamondo, tornato intero. "L'hai riparato tu e in così poco tempo?".
Sorride, Aslan: "Ci ho provato".
"Tutt'altro", lo correggo mentre faccio ruotare la sfera, convinta. "Le parti sono incollate con cura e sembrano tenere. Vedi? Mica cedono".
Non è che un nonnulla, un secondo di silenzio nella calma solitaria della notte, eppure arrossisco.
"Ci ho provato, Rossella", insiste lui con la voce stanca di chi non vuole parlare, in verità. E all'improvviso mi riaffiora alla mente il ricordo della sua dichiarazione alla villa, di quell'abbraccio - "ci ho provato, Dio solo sa quanto", la sua bocca contro la mia nuca - una stretta che mi aveva fatta vibrare tutta, e convinta a restare.
"Tu...". Tremo, adesso. E non è per il freddo, non è per l'agitazione. Questo è l'unico movimento che mi concedo, per trattenermi dall'osare un passo o una carezza. Vorrei stringerlo più forte che posso: tenerlo con me, questo voglio. Al più, rituffarci nel passato e riandare a quel momento, per rifare tutto da capo, e meglio.
"Ci ho provato, a dimenticarti. E cos'ho ottenuto?".
Sta succedendo davvero. Siamo noi, ancora.
"Ti sfioro e non vorrei smettere", il suo braccio mi sospinge all'angolo. Non ho vie di fuga, così cinta, il suo bacino contro. "Ti guardo e non vorrei smettere", con l'indice mi solletica il collo e sale alle labbra. I suoi occhi sostano proprio qui, e mi divorano. "Ora, dimmelo tu", sospira. "Se ti bacio", mi afferra delicatamente il mento, "riuscirò più a smettere?".
Baciami, penso. Baciami qui, adesso, Alessandro Aslan. Anzi no, non lo fare. Potrò sopravvivere a un altro distacco, poi? Potrò salvarmi da questo sentimento testardo, brutale, istintivo che provo per te? Baciami; anzi, no. Ma tu, tu baciami.
"Che mi venga un colpo: la neve!". Strizzo le palpebre, con fastidio. Come sarebbe? "Neige, neige!", sento urlare una voce elettrizzata, mentre avvicino la mia bocca a quella di Aslan. "Quanta, Corrado! Chi se l'aspettava? Sai che significa?". Le labbra che tanto bramo diventano sottili e dure. Scompaiono nella piuma d'oca. "Come non lo sai? Sta arrivando il Natale, vecchio brontolone, il periodo dell'anno che preferisco!".
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Crisantemi fritti tutto l'anno
Roman d'amourSeguito di Crisantemi fritti a colazione (Vincitore Wattys 2020). Quella non era una verità come tutte le altre. Cosa avreste fatto voi, se foste stati al mio posto? Avreste aperto la lettera oppure ve la sareste dimenticata, fingendo di non sapere...