13. Sono fatta per perdere

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Respira. Percepisco il soffio tiepido che lascio sciogliersi nell'aria fredda e che mi sospinge tra i vetri della porta girevole; il soffio e solo quello. Respira, e i battiti mi sfarfallano nel petto, mentre i tacchi picchiettano sul marmo del pavimento lucido del Grand Hotel e le labbra lasciano che a parlare sia ciò che mi muove dentro. Respira, ed è la sola cosa che ascolto, pur attorniata da un silenzio irreale.

Questo soffio, così greve così denso, s'apre e scompare non appena lo vedo. Una mano affondata nella tasca del completo scuro, nell'altra un fiore di crisantemo che gli rotea sulla punta delle dita. Gli occhi color nocciola affondati tra i petali candidi. Sembra soprappensiero, Aslan.

Lo distraggo facendo rumore, la mia immagine scivola di riflesso verso la sua, un alone sul marmo, e lui ne segue il procedere, attento a ogni dettaglio. Quando solleva lo sguardo, un mezzo sorriso stampato sul viso, il crisantemo smette di girare. E io rallento il passo, scandito dal luccichio di un paio di scarpette argentate.

"Buonasera", mi guardo attorno, colpevole. "Arrivo in ritardo?".

Ci siamo noi e i due impiegati alla reception, nella hall di solito gremita. "Eppure, sono le otto. È saltato tutto?", gli chiedo. Ma Aslan non mi risponde. Si sofferma, anzi, sulle mie caviglie, che la gonna ampia lascia scoperte; subito lo vedo scostarsi dalla parete ricoperta di velluto e raggiungermi. Corre, con le sue isole tristi, lungo i miei fianchi, che il tessuto color crema avvolge, aderente, fino al seno. Mi è quasi contro, il suo profumo sembra infrangersi sulle mie labbra. Se c'è un gusto, è il suo, prendo fiato.

Faccio per togliermi il cappotto, "Lascia" mi ferma, e questa è la prima frase che mi rivolge, con voce roca. La prima e la sola, nei pochi attimi che impiega a spogliarmi della lana cotta per lasciare libero alla vista l'abito, di gran lunga più costoso, che Odette ha scelto per me.

Le maniche ampie del cappotto si sfilano via e ne scoprono altre, maniche chiare puntinate di brillantini, e, sotto, spalle nude, pelle viva che si irrigidisce alla nostra vicinanza. Il suo indugiare - una pausa appena percettibile - mi fa salire alle guance un rossore che cerco di nascondere, affrettando il passo verso la sala delle conferenze.

Tuttavia, fatico a reggere il vuoto, devo riempirlo di parole; dunque parlo: "Dimmi, la festa è già cominciata?", lascio che mi raggiunga, dopo aver consegnato il mio cappotto all'addetto del guardaroba. "Ho controllato l'ora, è giusta, ma qui non c'è nessuno".

Lui sfodera un'attitudine rilassata: "Sono tutti dentro, almeno da una ventina di minuti. Niente di catastrofico, distendi i nervi".

"Non ci voleva", tremo.

"Rossella, andrà tutto bene", un'occhiata alle mie spalle scoperte lo confonde. "Ora, possiamo entrare?".

La sua figura possente sembra lottare nel completo che la stringe, perfettamente cucito addosso. Eppure ne esce così rinvigorita e regale, che pare non aver fatto altro per tutta la vita, Aslan: indossare cravatte e gilet.

"Aspetta, il crisantemo", gli prendo il fiore dalla mano per fermarlo sulla giacca. "Fatto", sistemo la corolla e sorrido.

"Sei molto bella, sai?". Lo guardo, mi guarda. E per un niente - non è forse un misero complimento, questo? - oso sperare che Ömer mi tenga ancora nel cuore.

Poi, si fa serio: "Siamo qui per farci notare. Ne avrei fatto a meno, ma questo ci è stato ordinato. Quindi, preparati; d'accordo?".

"Cosa vuoi dire?", domando, esitante. D'improvviso, mi trovo a credere che, davanti a me, si stia preparando a fare il suo ingresso Alessandro Aslan, l'amministratore delegato che non molla mai, l'uomo d'affari che non conosce la parola sconfitta. Tantomeno, l'ubbidienza.

Crisantemi fritti tutto l'annoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora