La ghirlanda è sempre la stessa. Non oso toccare le sue punte imbiancate, ma proprio non mi riesce di evitarla. Di guardarla, almeno. Sapete, tremo avvolta nella lana, questa è la sua ultima volta. Tra poco - fisso mia sorella, ferma vicino a me - non avrà più un posto nel mondo e finirà in uno scatolone che nessuno, per troppa nostalgia, aprirà più.
Sospiro, Emma fa altrettanto. Forse anche lei sta pensando che è troppo, non siamo ancora entrate e già può bastare. Perché l'abbiamo spolverata per anni, questa ghirlanda, prima di appenderla fuori dalla porta di casa, reggendola con devozione sui palmi affinché non si stropicciasse e poi facendo attenzione che non risultasse storta, sopra al chiodino. Quello era il compito di Emma, la più alta sin da piccola: raddrizzarla con un dito, se ce ne fosse stato bisogno.
Io e mamma ci posizionavamo dietro di lei e, il capo da un lato un occhio socchiuso, controllavamo che l'addobbo fosse in asse. Lo era, piuttosto eravamo noi quelle sghembe.
La verità è che, qui dentro, ci siamo sentite terribilmente sole, noi tre con nonna che si perdeva nella malattia Natale dopo Natale e stentava, a poco a poco, a ricordare e a riconoscerci. E sole siamo rimaste, dopo la sua morte, e sempre, impegnandoci a isolarci l'una dall'altra per non volerci troppo bene e doverci poi pentire; eppure, la ghirlanda di rami di pino finti e di finte bacche rosse, che invogliasse qualcuno a bussare per farci visita sotto le feste, non è mai mancata. Finta sì, come la nostra apparente felicità. Ma, accipicchia, c'era.
Anche adesso è qui, ad aspettare qualcuno che non è mai tornato. Papà.
"Mamma l'ha voluta anche quest'anno". Mia sorella parla con voce dolce, però non sorride. Suona il campanello e, intanto, si toglie il borsalino. I suoi capelli rosa mi distraggono per un istante, e accendono in me una nuova malinconia. Oggi, loro sono un'altra pena da sopportare: mi ricordano che pure per lei è il primo Natale senza l'uomo che per parecchi anni le è stato accanto, senza il solito gioiello della Garbure che Alfio le faceva trovare nella calza, senza il cane puzzone che l'autoritario Notaio non lasciava mai scorrazzare in giardino durante il pranzo della Vigilia, condannando tutte noi a mangiare e respirarci vicino. Chissà poi per quale motivo. L'unica che, dopo l'antipasto, se la sentisse di accarezzare quella palla di pelo ero io.
Il buon vecchio Black. La povera vecchia Emma. Un imbecille, il notaio Alfio Tagliaferri.
"Sai che ti dico? Non mi sorprende che Mutter abbia tirato fuori la ghirlanda d'ordinanza", mi stringo nelle spalle. "I vicini potrebbero aver capito che dobbiamo traslocare, magari ci stanno spiando dalle finestre", sgrano le pupille ironica, e mi volto di scatto. "Dobbiamo fingere, ostentare normalità".
"Rossella girati, ti supplico!". Emma suona una seconda volta, con una certa insistenza ora. "L'altro giorno, la signora Lettieri mi ha fermata per chiedere come stesse mamma. Non l'ha mai fatto".
"Fatto cosa? Parlarti o chiedere di nostra madre?".
Il borsalino fa un mezza giravolta davanti al mio naso. Emma sussurra, guardinga: "Tutte e due le cose. Credo stia tramando non so che. Verderaso ha orecchie dappertutto".
"Figurati", sbuffo. "Con un marito disabile e una causa di licenziamento in corso, la Lettieri ha ben altro a cui dedicarsi. Sono brave persone in un mare di guai".
"Come sai tutte queste faccende private?", si mette sull'attenti. "Conosci quella donna?".
"Emma, è da vent'anni che i Lettieri abitano di fronte a noi".
"E allora?".
"Allora, ci ho parlato spesso. Sai, è bello chiacchierare con gli estranei, interessarsi agli altri, scambiarsi impressioni. Fa stare bene".
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Crisantemi fritti tutto l'anno
RomantizmSeguito di Crisantemi fritti a colazione (Vincitore Wattys 2020). Quella non era una verità come tutte le altre. Cosa avreste fatto voi, se foste stati al mio posto? Avreste aperto la lettera oppure ve la sareste dimenticata, fingendo di non sapere...