32. Omamori

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"Ti capiterà di avere paura. Allora, quando ti sembrerà di non riuscire a farcela da sola, tu stringilo, stringilo forte. È il tuo omamori, il più raro di tutti. Ti porterà fortuna".

"Un omamori, maestro?". Giravo e rigiravo tra le dita un comune pezzetto di legno, dal quale era stato intagliato un uccellino, senza sapere che, da quel momento, l'avrei portato con me ogni giorno a seguire.

"Lo si può trovare al santuario di Yushima solo il venticinque gennaio di ogni anno. È stata una fatica ottenerlo, parecchi anni fa. Ma te lo regalo con piacere, piccola Vasaia. Sarà la tua guida. È il più raro perché ha il compito più difficile: trasformare le bugie in canti sinceri. Vedi, noi tutti mentiamo, però più raramente godiamo della verità".

Inspiro a pieni polmoni, schiacciata al petto. Questo è stato l'ultimo regalo del maestro Sato. Mi porto l'amuleto alle labbra, racchiuso tra i palmi. Un uccellino dentro il suo nido.

Quella sera - era inverno, proprio come ora -lo salutai definitivamente. L'indomani avrei lasciato Firenze e la sua bottega, portando con me l'omamori e il secolare sapere che Satoshi mi aveva trasmesso con il kintsugi.

Non ho mai smesso di riparare ceramiche, né di provare una profonda nostalgia per il maestro giapponese che un apprendistato, trascorso fianco a fianco, mi ha reso tanto caro.

"Ho paura", questo vorrei dirgli mentre soffio sull'amuleto quel che esce del mio fiato, corto e rado. Lo sussurro, "ho tanta paura", chiudendo gli occhi sul traffico della Metropoli, imbottigliato in coda davanti al Grand Hotel. Fa freddo, e il mio cappotto è rimasto dentro. La scalinata che, mesi fa, ho sceso scalza per rincorrere Ömer riflette sul marmo, velato di gelo, la mia attesa concitata.

Inquadro l'orologio della hall. Mancano pochi minuti all'inizio della conferenza stampa voluta da Jacques Le Fèvre. Il viscido omuncolo siede già tronfio in prima fila, con Clementine. Madame e Corrado hanno preferito prendere posto dall'altra parte, con Teo, Lu e Odette. C'è qualche telecamera puntata nel mezzo, ho visto posare microfoni e registratori sul tavolo al quale siederemo io e Damiano Re. Noi due contro tutti, e nessun altro.

Tante domande, arrivata a questo incontro pubblico, mi riempiono la testa fino all'orlo. Sarò capace di fingermi l'imprenditrice che non sono? Cosa racconterò ai giornalisti che si stanno raccogliendo in sala? Damiano Re sarà il mio unico sostegno: come posso fidarmi?

Dove sei, Aslan? Dove.

La busta a terra, tra i suoi piedi. Alla finestra, un'unica immagine: l'albero puntinato degli occhi di Allah. Gli anelli sfregano contro la linguetta sigillata, il tagliacarte la forza, tremolante. Aslan spiega un foglio di carta che ancora odora dell'acqua di colonia di Ercole Re. Non è che una nota flebilissima; eppure si sente, ancora.

Inspira e finalmente, avido, comincia a fare sua ogni parola. C'è l'inchiostro tirato con i ghirigori che era solito scrivere Ercole, in quelle righe; c'è una verità che suo zio aveva affidato alla donna che ama, e che lei davvero non ha mai violato. Ne ha la prova, adesso, se mai gli fosse servita.

"Mio piccolo Ömer", Aslan comincia a leggere e un groppo alla gola, subito, lo trattiene.

"Ah, così proprio non si fa, signorina Mossetti". Yuri sopraggiunge alle mie spalle, aspetta che mi volti e si ferma a osservarmi, con un sorriso storto dei suoi che un po' mi rincuora. "Vuoi ammalarti proprio oggi? La stampa ti reclama". Senza pensarci due volte, lo vedo sfilarsi la giacca imbottita e porgermela con naturalezza: "Dai, prendi".

"E tu?", gli chiedo incerta.

"Ho un'autonomia di cinque minuti", insiste allungandomi una seconda volta la giacca. "È il tempo che conto di investire qui per convincerti a rientrare".

Crisantemi fritti tutto l'annoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora