1. Questione di shi

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E io che non ho mai dato peso ai numeri! Allungo lo sguardo nel traffico del lunedì e faccio spallucce. Che sarà mai? È un taxi, un innocuo taxi numero quattro, quello che vedo arrivare a tutta velocità, le ruote che slittano sull'asfalto bagnato, i tergicristalli impegnati a scorrere sul parabrezza, avanti e indietro, a ritmo forsennato.

Un quattro, faccio in tempo a realizzare, e il bestione di metallo arrugginito, spinto sull'arteria che taglia in due il Quartiere degli Affari, mi sfreccia davanti. "Cosa mi aveva raccontato il maestro Satoshi sul numero quattro?", aggrotto le sopracciglia. "Accidenti, ora ricordo: il quattro porta male".

È un attimo: lo pneumatico posteriore affonda in una grossa pozzanghera al centro della strada e, approfittando della mia avversione alla superstizione, non si lascia sfuggire l'occasione ghiotta - l'infingardo! - per porgermi i suoi ossequi. Un abbondante, gelido, putrido getto d'acqua piovana mi investe da naso a piedi, risparmiandomi solo il cappellino.

Ecco fatto, Rossella. Buon quattro dicembre a te! Sputo fuori saliva mista a catrame. "E dannato numero quattro!", inveisco dal marciapiede contro il conducente del taxi, che sgasa già lontano. La targa ancora leggibile: 404, e tanti saluti.

Satoshi, in fondo, aveva ragione, penso mentre strizzo il cappotto, ridotto a una palla di finto pelo maleodorante e, così conciata, mi mescolo ai frettolosi lavoratori che si apprestano ad attraversare l'Incrocio della Borsa, centro pulsante della Metropoli e di tutte le sue contrattazioni.

Vedete, tornando alla matematica, è tutta colpa della pronuncia. Li conoscete anche voi, i giapponesi: con i dettagli non amano scherzare. E, allora, capita che nella loro lingua il povero quattro si pronunci shi, che è lo stesso suono usato per dire la terribile parola morte. A uno scappa un "shi", ed è il fuggi fuggi generale! Un dramma collettivo, tanto che a Tokyo e dintorni il quattro, l'altra faccia della iella, normalmente sparisce dai conteggi, persino dai piani degli edifici e dalla pulsantiera degli ascensori.

"Ma qui no, in Italia stoicamente resistiamo alle angherie del quattro, che ci insegue beffardo tra numeri di telefono, taglie dei vestiti, centralini, dosatori e compleanni. Dio, qualcuno osa anche nascere un qualsiasi giorno quattro!", borbotto, nervosa, mentre mi infilo nel portone del claustrofobico Palazzo Le Fèvre. Le scarpe che squittiscono, piene d'acqua.

D'altro canto - affido alle mie dita i calcoli, mentre salgo la scalinata centrale con il fiato corto - considerando il quattro come numero sfortunato, tutto sembra tornare. Prendete lui, Jacques Le Fèvre, ad esempio: è soprannominato Mister Quattro Milioni, a tanto ammonta il suo patrimonio. E poi quattro matrimoni alle spalle, quattro figli dimenticati. Non fa una grinza: difatti, Le Fèvre è la vera piaga della Garbure.

E, poi, considerate la sottoscritta: quaranta e quattro gli anni che aveva mio padre quando se n'è andato da Verderaso e mi ha abbandonata; quattro i casi di corna registrati nella mia precedente vita sentimentale; quattro volte quattro gli euro che a lungo hanno sostato come unico gruzzolo sul mio conto in banca; quattro gli appartamenti in affitto che ho dovuto cambiare, perché troppo costosi, prima di trovare finalmente quello occupato da Daniela, il definitivo. E ben quattro le note vocali che, ogni mattina, Emma mi lascia in segreteria, per implorarmi di chiamare nostra madre. Cos'altro? Ah sì, a proposito di gente che osa nascere un qualsiasi giorno quattro: quella sono io.

"Buongiorno, Ros". Il completo in ordine e gli occhiali tartarugati indosso anticipano il viso pulito, roseo e sbarbato, di Yuri Conciarini, uno dei miei colleghi, promettente designer di gioielli e pupillo della nostra mentore, Madame all'epoca Marguerite Rochelais.

"Yuri, che sollievo tu sia arrivato!", lascio che mi raggiunga. "Sono presentabile?", gli domando poco convinta, provando a sfilarmi per lo meno il cappotto.

Crisantemi fritti tutto l'annoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora