33. Evet!

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"Da questa parte, prego!".

Schiocco di dita: "No, guardi me. Signorina, guardi me!".

"Ehi, amico, sposta questo coso". E uno schiaffo, che vedo sollevarsi da un intrico di spalle incurvate e svirgolare cieco per aria, colpisce l'obbiettivo del collega prepotente.

Trasalisco.

I fotografi si sono avventati sul tavolo della sala conferenze e sgomitano per conquistarsi la posizione migliore. L'immagine di Aslan, proteso con il mio viso tra le mani in attesa di una risposta che vale l'articolo dell'indomani, è un bottino troppo ghiotto per rispettare il galateo. Allora, largo ai colpi bassi.

Un flash mi abbaglia, stringo le palpebre e provo a servire la schiena ai giornalisti. Ma in un attimo, sotto il mento di Ömer, spunta un mazzo di microfoni che gli si agitano davanti, per carpirne parole e respiro.

"Uscite, vi conviene". Dei tre il più lucido è Damiano. Avverto il suo tocco deciso sorreggermi, mentre la sedia mi viene sfilata con delicatezza, e consegnarmi direttamente alle braccia di Aslan.

Mi muovo, eppure mi sento paralizzata tutt'attorno al cuore.

Sono secondi concitati. I giornalisti sgambettano tra fili e treppiedi, qualcuno inciampa altri si spintonano. Vogliono rubarci un'espressione da copertina. Farci un titolo: "Fiori d'arancio all'Agenzia Re". O, ancora peggio, "Kral Aslan e Rossella Mossetti. Il rampante pubblicitario ama una perfetta sconosciuta".

Io affondo gli occhi contro il petto di Ömer, e lì resto, finché la voce senza volto di uno degli addetti alla reception del Gran Hotel ci guida oltre l'angolo, in una stanza attigua, al momento deserta, nella quale rifugiarci.

"Se avete bisogno di qualcosa, non ha che da chiedere". Il receptionist tiene sotto controllo il corridoio e intanto temporeggia. Finalmente, lo guardo: è un ragazzo giovane, dall'aria furba, un po' mi ricorda Leonardo.

Aslan rovista nel portafoglio e gli allunga una banconota: "Spargi la voce che stiamo uscendo dal retro". Il ragazzo si mette sull'attenti: "Signore, farò come chiede, ma ci è stato vietato di accettare mance".

Sorrido, Aslan fa lo stesso: "In tal caso...", si rimette i soldi in tasca. "Toglimi una curiosità". Pausa. "Sei assunto a tempo indeterminato, qui?", domanda con un certo interesse.

"No, signore".

"Come ti chiami?".

A questo punto il ragazzo ci osserva, guardingo: "Simone Ricciardi, signore". La sua voce, prima decisa, tradisce ora una certa diffidenza. Perché vogliamo identificarlo? Cos'ha fatto di male? Parleremo con la direzione?

La mano grande di Aslan si posa sulla sua spalla: "Quando ti scadrà il contratto, nella malaugurata ipotesi che non ti venga rinnovato, presentati da me", e gli porge un biglietto da visita. "Vedremo cosa sai fare".

Gli occhi increduli del giovane Ricciardi puntati su quello strano nome impresso sulla carta, Alessandro Ömer Aslan, si muovono espressivi. "Grazie. Sul serio, signore, è molto gentile". Scuote il capo, Simone, mica ci crede che esistano manager così. Forse, si sta dicendo, l'onestà ripaga sul serio: un giorno ti imbatti in un uomo, gli dai la risposta giusta, lo spiazzi e questo - impressionato - ti cambia la vita. Succede. Esaminato bene il biglietto da visita, il receptionist ci rivolge un legnoso inchino e sparisce, chiudendo delicatamente la porta.

"Tu", un mezzo giro e sono sua. Il fiato di Ömer mi prende alla gola, lì lui affonda le sue labbra calde. "È te che voglio". Finiamo contro una parete, stretti come mai accaduto prima. Mi bacia il viso, ripetutamente dappertutto, con il trasporto di chi a lungo si è trattenuto, e non voleva.

Crisantemi fritti tutto l'annoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora