Capitolo Trentasei

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Lunedì mattina.
La sveglia non era suonata, ero di fretta per un appuntamento di lavoro e mi rovesciai pure del caffè bollente sul pantalone nuovo. 
Un lunedì mattina di merda.
La settimana precedente l'ho passata a non fare un bel niente, letto e coccole con Paulo, e ritornare a lavoro non era quello che desideravo fare al momento.
Mi cambiai velocemente, ricordandomi pure di pulire la macchia di caffè sul pavimento della mia cucina e, prendendo borsa e telefono, uscii di casa.
Come se non bastasse mi toccava pure farmela a piedi, perché avevo perso le chiavi della macchina, quindi iniziai a correre sotto il sole, sperando di non arrivare al luogo di lavoro completamente sudaticcia.
Arrivata ad un semaforo, guardai il colore giallo che lampeggiava e non sapevo se aspettare ormai che scattasse il rosso ed aumentare il mio ritardo oppure se buttarmi in mezzo alle strisce pedonali.
Optai per la seconda ma, dopo nemmeno un passo, sentii un forte peso metallico arrivarmi di sopra, facendomi indietreggiare e cadere rovinosamente sul marciapiede sul quale ero un secondo prima.
«Ehy! Tutto bene?!» una voce maschile mi rivolse la parola mentre ero intenta a massaggiarmi la testa dolorante «Aspetta, ti aiuto ad alzarti» alzai il viso verso chi mi stava parlando, trovandomi come d'intuito, un ragazzo che mi porgeva le mani e con sguardo preoccupato.
Mi aggrappai alle sue mani mettendomi in piedi ma un dolore allucinante mi colpi la caviglia e il ginocchio, che stava sanguinando.
«Mi dispiace, non volevo arrivarti addosso, stai bene?» continuò a chiedermi «Sì, tranquillo, è stata solo una botta» gli risposi prendendo la borsa da terra, pronta a rimettermi in camminata «Sicura? Hai sbattuto la testa e il ginocchio sanguina, hai bisogno di farti controllare» so che aveva ragione lui, a stento riuscivo a poggiare il piede a terra ma avrei saltato il colloquio «Sono in ritardo a lavoro, devo scappare» provai a liquidarmi ma fatto un passo strillai dal dolore per una fitta alla caviglia «Credo proprio che non andrai a lavoro oggi, sali sul motorino ti porto al pronto soccorso» lo guardai mentre tirava sù il suo motorino da terra e non potendo fare altro, accettai la sua proposta.
Mi aiutò a salire in sella perché da sola non potevo farcela, e strinsi le braccia intorno al suo addome per non rischiare di volare fuori dalla moto.
Dopo un po' arrivammo al pronto soccorso, e ancora una volta mi aiutò a sorreggermi portandomi all'ingresso, dove mi portarono in una stanza a fare dei controlli, e il ragazzo venne con me.
«Scusami ancora, non ho mai investito nessuno, guido bene e sto sempre attento» mi parlò con le braccia incrociate al petto mentre io ero seduta su un lettino con delle fasce sulle parti colpite e doloranti «Non incolparti, io dovevo aspettare il rosso invece di catapultarmi in mezzo alla strada» smorzai la situazione con un sorriso «E grazie per esserti preoccupato» conclusi «Ma di che! Ti arrivo addosso e la prima cosa che ho pensato è stata "ho ucciso una persona"».
Un'infermiera finii di medicarmi e scesi dal lettino tenendo leggermente piegata la gamba sinistra, quella che fu colpita «Quindi, ragazza che stavo per uccidere, posso riaccompagnarti a casa? Devo sdebitarmi in tutti i modi» zoppicando mi avvicinai alla porta della stanza con lui accanto «Sono Mariana, comunque mi faresti un favore ragazzo che stava per uccidermi» gli risposi usando le stesse parole che disse lui «Daniel o se preferisci "ragazzo che stava per uccidermi"» risi camminando piano piano aggrappandomi con un braccio al suo collo «Oh come mio fratello» mio fratello, se solo sapesse cosa fosse successo, mi farebbe ricoverare direttamente.
Una volta arrivati di fronte a casa mia, girò le chiavi spegnendo il motore e con un colpo secco abbassò il cavalletto «Aspetta che ti aiuto a scendere» mi disse scendendo prima di me e poi mi aiutò a mettere i piedi a terra «Credo di doverti qualcosa pure io, sicuramente oggi avevi delle cose da fare e io ti ho fatto perdere mezza giornata, quindi se ti va puoi entrare dentro casa» lo invitai come mi sembrava giusto fare e anche se sembrava avere uno sguardo dubbioso, accettò ed entrò insieme a me in casa.
Gli offrii dell'acqua e ci sedemmo sul divano, dove iniziammo a parlare del più e del meno.
«Ti auguro di non essere licenziata per non esserti presentata a lavoro» cazzo, me ne stavo dimenticando «Nah, non rischio determinate cose» gli spiegai prendendo il telefono per mandare un messaggio all'agenzia con la quale avevo l'incontro, raccontando il motivo sul perché non mi fossi presentata. «Che lavoro fai?» mi chiese «Faccio la fotomodella» - «In effetti data la tua bellezza dovevo immaginarmelo» mi fece arrossire per l'imbarazzo e forse se ne accorse perché cambiò argomento «Dall'accento deduco che non sei italiana, giusto?» annuisco leggermente «Sono brasiliana e vivo qui da un anno all'incirca» fece una faccia stupita «Lo parli molto bene però per abitare qui da solo un anno» - «Grazie, prima di trasferirmi qui, venivo spesso in Italia perché il mio ex era di qui, quindi diciamo che l'ho imparato da ben prima» mi sorrise e poi guardò l'orologio che aveva al polso «Ora è meglio che vada, mi scuso per la millesima volta, riposati e guarisci al più presto mi raccomando!» si alzò dal divano e lo feci pure io per quanto mi risultasse complicato e lo accompagnai alla porta «Grazie per il pensiero Daniel» lo salutai con due baci nella guancia «Di niente, spero di ricontrarti al più presto Mariana» mi salutò uscendo da casa.
Stavo per rimettermi nel divano ma suonò il campanello e aprii la porta nuovamente «Hai scordato qualcos-Paulo?» non mi aspettavo una sua visita «Chi era quello?!» disse con tono alto sbattendo la porta d'ingresso con forza.
«Stai calmo, era solo un ragazzo che-» venni bloccata prima di concludere la frase «"era solo un ragazzo"? Para ti è normale far entrare ragazzi che non conosci dentro casa?» se c'è una cosa che odio, è essere interrotta mentre parlo «Uno: abbassa la voce, due: chi ti dice che non lo conosco?» mi incavolai per come si stava atteggiando «Porque, lo conosci?» continuò saltando la parte del 'abbassa la voce'. «No, non lo conosco ma non mi hai nemmeno dato il tempo di spiegare. Vieni qui, mi urli contro senza farmi parlare, senza nemmeno dar peso al fatto che sono con una caviglia fasciata e che tra poco non mi reggo in piedi. Ma fai con comodo, continua ad urlare, però fallo fuori casa mia» mi ero accaldata dalla rabbia, abbassai la maniglia e aspettavo che se ne uscisse, non volevo vederlo.
«Oddio, che ti è successo?» puntò gli occhi sul mio ginocchio piegato avvicinandosi a me «Paulo esci se non vuoi che mi arrabbi di più, te lo chiedo por favor» ora mi guardava con aria dispiaciuta sussurrando 'scusa' ma senza dargli conto, aspettai che se ne uscisse, atto che fece subito dopo.
Zoppicando arrivai in camera mia, stendendomi sul letto, presi il telefono in mano e scrissi a Yael sfogandomi per la discussione avuta con Paulo.

Serendipity | Paulo DybalaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora