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"Uno due tre"

Il rubinetto di quella minuscola cella gocciolava così sistematicamente che Kakashi ne aveva memorizzato perfettamente il ritmo. 

"Uno due tre" 

 Lo ripeteva nella sua testa come se delle stupide gocce riuscissero a fargli dimenticare il motivo per cui era li. 

"Uno due tre" 

Effettivamente una goccia di sangue lo aveva incastrato quindi gli faceva ancora più rabbia. 

Si trovava in quel tugurio da due giorni. Erano due giorni che il suo destino si trovava in bilico tra la vita e la morte. Due giorni in cui non sapeva se avrebbe mai rivisto i suoi fratelli. La sera stessa in cui rincasarono dopo il grande omicidio commesso, il ragazzo mascherato si ritrovò di fronte la porta dell'orfanotrofio delle guardie che lo incatenarono e incappucciarono senza troppe remore. Non sapeva dove si trovasse quella cella, non era neanche pianamente convinto fosse ancora in Giappone. L'unica cosa che il giovane poteva fare era aspettare che qualcosa o qualcuno cambiasse le condizione corrente. Di certo, Kakashi non aveva il potere per farlo.

Quel qualcuno non tardò ad arrivare. Il ragazzo sentì un click meccanico provenire dalla porta d'acciaio della cella, la quale si aprì lentamente rivelando Elle, il detective, ovvero colui che stava dando la caccia a tutto l'orfanotrofio. Kakashi ebbe un brivido quando vide il pallido ragazzo di fronte a se. Si aspettava chiunque ma non lui. Nel suo immaginario, il detective più bravo del mondo era più un mito che una leggenda. Nessuno l'aveva mai visto, nessuno ci aveva mai parlato e, come da natura umana, si faticava a credere in qualcosa che non riuscivi neanche a percepire con la vista. 

"Come ti trovi qui?" Kakashi, dopo una prima occhiata, rigirò la testa verso il muro riprendendo a focalizzarsi su quel fastidioso ticchettio delle gocce che si infrangevano contro il fondo del lavandino. Il detective era appoggiato vicino all'imponente ingresso mentre l'altro era sul letto seduto, con la schiena posta vicino alla parte, le ginocchia portate al petto e i gomiti appoggiati su di esse. 

"Dovreste riparare quel lavabo. Mi ha tenuto sveglio tutta la notte e, devo dire, non è stato molto accogliente da parte vostra." Il corvino si concedette un sorrisi divertito, riconoscendo al ragazzo che la sua unica arma in quel momento fosse il sarcasmo. Non aveva altro con cui difendersi. 

"Credo che qui ci sia altro che dobbiamo riparare. La parola 'shinigami' non ti dice niente?" Kakashi si ammutolì, preferiva non parlare che dire inutilità, tuttavia era scontato pensare che la parola 'shinigami' rappresentasse qualcosa per lui. La sua stessa vita era la prova lampante che una sola singola parola poteva fottere l'esistenza di un uomo. Gli shinigami erano il suo mondo, il suo lavoro, la sua famiglia ed il suo unico punto di riferimento. Non aveva altro, in realtà, a cui pensare. La cosa più raccapricciante, però, era la naturalezza con cui quella parola aveva attaccato ed avvelenato la vita di Kakashi e di tanti altri come lui. Uccidere era diventato meccanico. Usare il sangue delle vittime per scrivere dei messaggi era abominevole ed irrispettoso. L'essere incapaci di provare compassione verso quelle vittime soffocava il briciolo di empatia che stentava a morire in loro. Una visione distorta e malata della realtà ma, infondo, le prime vittime di quel mondo avvelenato e marcio erano i ragazzi dell'orfanotrofio stesso. 

"Sai Kakashi, non mi interessa quali sono state le scelte che ti hanno portato ad intraprendere questa strada o, almeno, cosa hai passato. Il mio lavoro è capire come funziona questa perfetta macchina da guerra. Chi ci sta a capo? Chi manovra gli omicidi? Quanti altri come te si sono arresi a questo sistema?" Kakashi si girò, di nuovo, verso il detective. Non avrebbe detto niente. Prima regola dell'orfanotrofio: proteggi la tua casa ed i tuoi fratelli. 

Finché vita non ci separiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora