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Kakashi's pov

Il buio aveva preso piede in Giappone. La notte era compagna mentre io, Kakashi Hatake, correvo...correvo a perdi fiato su un tetto. Non sapevo da quanti minuti lo stessi facendo, ma l'unica cosa che il mio subconscio mi gridava di fare era fermarmi e riprendere fiato.

Non potevo, non in quel momento.

Sentivo il cuore in petto battere all'impazzata, credevo che se avessi fatto un passo in più sarebbe collassato ma l'impegno, la dedizione e l'onore erano più forti dell'affanno. Non avevo idea che fine avessero fatto gli altri, non immaginavo che fine avesse fatto mia sorella e non avevo neanche la sicurezza che l'avrei rivista l'indomani ma un assassino non si fa prendere dai sentimentalismi. Mai.

Avevo ancora il costume sporco di sangue. Il sangue di quel lurido capo della criminalità organizzata e non mi  sentivo né scosso né spaventato. Avevo ucciso così tante volte che quella realtà si era normalizzata. Era tutto meccanico e freddo. Dicono che la vera vittoria sta nel guardare la sconfitta negli occhi del nemico, io non riuscivo più a distinguere chi fosse il nemico. Non riuscivo neanche a capire se quella fosse una vittoria o una sconfitta.  

Credevo in quello che Ryuk e Light stavano facendo? Non lo sapevo, quello che mi bastava era la loro protezione, vitto e alloggio. Quando cresci in mezzo alla strada, impari ad accontentarti di quello che hai. Se avessero fatto la stessa domanda a mia sorella, senza esitare, senza pensare, lei avrebbe risposto di si. In realtà dubitavo fortemente che lei avesse capito effettivamente le loro intenzioni. Lei era il tipico caso di assassino dalle abilità inumane e dalla mente suscettibile e vulnerabile.

Un rumore improvviso mi fece voltare di scatto, avevo perso il conto su quanti palazzi fossi saltato sino a quel momento. Io e Zoro, una volta usciti dalla porta che dava sul tetto del carcere, come pianificato, avevamo preso strade differenti con l'intento di far perdere le nostre tracce. Evidentemente avevo ancora molto lavoro da fare.

Uno sparo. Poi un altro. Poi un altro ancora.

Alzai gli occhi al cielo e vidi un elicottero sopra la mia testa con un cecchino, armato di mitragliatrice, che sporgeva dal veicolo. Non mi avrebbero mai riconosciuto, la mia tunica nera mi copriva interamente il corpo, viso compreso, nessun lembo di pelle era scoperto. La stessa poteva contare di alcune zone rivestite con un'imbottitura anti proiettile ma dubitavo della sua efficacia contro un'arma del genere.

Cominciai a correre con ancor più convinzione di prima, misi alla prova tutte le tecniche di mia conoscenza per schivare quei colpi ma, purtroppo, uno mi ferì il braccio che cominciò a sanguinare. Arrivai fino al bordo del tetto e mi resi conto che l'altra estremità era troppo distante per poterla raggiungere con un solo balzo. Cambiai prospettiva e lanciai gli occhi verso il basso.

Dovevo solo cambiare strada.

Vidi un'uscita d'emergenza, con della scale che portavano ad un appartamento. In quel momento, rappresentò la mia unica àncora di salvezza. Quando mi resi conto che l'elicottero non si trovava più dietro di me, decisi di saltare nel vuoto. Atterrai d'impatto sul pavimento di ferro retato. Il dolore si espanse per tutto il corpo mentre una forte fitta mi travolse il braccio ferito. Trattenni un urlo, non emisi un filo di voce, non potevo farmi scoprire adesso, non dopo tutto lo sforzo. Mi sentivo svenire, tutto era sfocato intorno a me, ad un punto credetti anche di sentire una voce ma prima di capire chi fosse la mia vista divenne scura come quella notte.











Zoro's pov 

Che diamine stava facendo quel pazzo dai capelli bianchi? Perchè saltare da un palazzo all'altro, quando si poteva velocemente scendere e prendere una comoda moto? Come sempre, voleva fare il particolare del cazzo. Idiota.

Mi fece un segno con la mano, intimandomi di andare ed io così feci. Nella mia testa, infondo, speravo che ne uscisse indenne, che tutti ne uscissimo indenni. Noi eravamo una famiglia, una grande e pazzoide famiglia, e tutti ci eravamo sempre impegnati per proteggerla. Loro erano il mio unico punto di riferimento, senza quell'orfanotrofio, senza Ryuk e senza Rem io non ero niente. Dovevo la mia vita a quei due fratelli. Quando avevo solo cinque anni, mi salvarono da mio padre che, dopo aver ucciso mio madre con un katana, tentò di togliermi la vita. Non mi spiegarono mai perché l'avessero fatto e come l'avessero fatto ma non sarei mai stato in grado di ringraziarli abbastanza. Quella sera avevo giurato di dedicare la mia esistenza, come in un patto con il diavolo, all'orfanotrofio ed ai mei fratelli.  

Quel ricordo venne proiettato nella mia mente come un film mentre saltavo da un balcone all'altro, nel vicolo tra due palazzi, per poter toccare terra.  Contrariamente a come avevo sempre pensato, quell'evento mi diede la forza per andare avanti, facendo rivivere tutto quello in cui credevo. Con grande orgoglio, cercai la mia moto nera e appena la vidi, una sensazione confortante mi riscaldò il petto.

In un batter d'occhio, mi ritrovai a sfrecciare sulla strada con una volante nera della polizia alle calcagna. Grazie allo specchietto retrovisore, notai che un agente era pronto per sparare contro la ruota posteriore del mio veicolo. Sentivo l'adrenalina scorrere nelle vene, mentre pompava il cuore e il cervello all'impazzata. Amavo quella sensazione ed ero pianamente sicuro che avrei rifatto tutto in un loop infinito, solo per sentirla. Mi riconcentrai sui miei inseguitori e d'istinto pensai di farli fuori ma purtroppo Light era stato categorico su quella questione. Sentivo ancora la sua profonda e, allo stesso tempo, saccente voce risuonare nella mia testa.

"Non si uccidono i poliziotti."  Fighetta del cazzo.

Rivolsi lo sguardo dritto di fronte a me, pensando che di lì a poco sarebbe cominciata la strada pedonale. Un'idea, in poco tempo, mi balenò in mente. Bingo, avevo trovato la soluzione.

Con un impennata, aumentai la velocità finché, in una questione di secondi, mi ritrovai a percorrere illegalmente con una moto un luogo nel quale era permesso solo camminare. La folla era il mio stratagemma. Sentivo urla di terrore ed imprecazioni varie e quasi risi al solo pensiero. La situazione mi divertiva e non poco.

Ad un tratto, una banda di poliziotti formarono con le loro macchine una sorta di muro per impedirmi il passaggio e fù li che colsi la palla al balzo. Franando con la ruota anteriore, il mio veicolo si ritrovò strisciante per terra su un lato mentre io, prima che la moto toccasse terra, saltai per poi nascondermi tra la confusione. Mi tolsi la maschera, in mezzo a tutte quelle persone ammassate e accalcate non mi avrebbero mai scoperto.

Intanto il mio cavallo di ferro nero finì a scontrasi con una della volanti della polizia, creando una grande esplosione. In un'attimo tutta l'attenzione venne spostata sull'incidente, io non ero più nel loro mirino. Light me l'avrebbe fatta pagare cara per questo, ma, effettivamente, non ero stato ad uccidere quegli agenti...era stato lo scoppio.

Mi incamminai calmo verso il primo vicolo che intravidi. Era tutto nero, il fondo era cieco e l'unica cosa a dare un pò di colore era una scritta verde illuminata su una porta bianca. Quel cartello segnalava l'uscita ma, nella mie condizioni e con un serio bisogno di non farmi più vedere qui, ci sarei entrato volentieri. Attraversato il varco, vidi una cucina perfettamente pulita, impeccabile sotto ogni punto di vista. Era vuota ma le luci erano ancora tutte accese, forse c'era ancora qualcuno del locale.

"Ehi...tu che ci fai qui?"


Capitolo un pò diverso. Spero che vi piaccia!

Finché vita non ci separiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora