Capitolo 46 - La missione (Parte 2)

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Eve entrò in camera a testa bassa.

Daniel era sdraiato sul letto, guardava fisso verso l'alto con le mani dietro la testa. Nemmeno si girò quando sentì la porta aprirsi.

Lei si buttò sbuffando sulla sedia, sbattendo pesantemente un gomito sulla scrivania e riversò all'indietro la testa.

Temeva che prima o poi quella cosa sarebbe successa. Aveva chiesto personalmente di mettere il ragazzo alla prova per un eventuale reclutamento, ma sperava lo affidassero al reparto investigativo, non di certo che lo mandassero con lei a fare il sicario.
Lui non era un assassino.

Per quanto potesse essere bravo, l'esito di quella missione era tutt'altro che scontato, tutto dipendeva da come avrebbe reagito di fronte al pericolo e alla morte.

Non avrebbe mai voluto che le venisse affidata una tale responsabilità: la vita di Ray era nelle sue mani e la cosa non le piaceva per niente.

Il giovane ruppe il silenzio: «Perché non vuoi portarmi con te in missione?» chiese in tono cupo, continuando a fissare il materasso sopra di sé.

«È troppo pericoloso» tagliò corto lei, con voce seccata.

Se solo quell'idiota avesse saputo ciò che John voleva da lui, non avrebbe fatto così l'offeso. Forse le sarebbe stato grato.
Ma non gliel'avrebbe mai detto, non l'avrebbe mai mandato in missione con un peso simile. Sarebbe stato già abbastanza traumatico per lui trovarsi in quella situazione.

Avrebbe trovato una soluzione. Sarebbe stata talmente veloce a fare fuori quei criminali, che il giovane non avrebbe avuto nemmeno il tempo di estrarre la pistola.
Fanculo gli ordini di John.
Non avrebbe mai permesso a Ray di uccidere e diventare come lei.
Non avrebbe mai permesso che quell'innocente e spensierata luce che illuminava i suoi occhi si spegnesse.

«Quindi non mi ritieni all'altezza?» continuò il compagno in tono accusatorio.

Eve si portò una mano alla fronte, chiuse gli occhi e scosse impercettibilmente la testa.
Quell'idiota non aveva capito niente. Era così eccitato dall'idea di andare in missione, che non aveva minimamente pensato alle implicazioni, a cosa significasse davvero tutto ciò.

«No, non è per quello» gli rispose sbuffando.

Certo che lo riteneva all'altezza. Pur non avendo nessuna esperienza sul campo, era tra i migliori lì dentro, anche John l'aveva detto.
Per quanto il Capo potesse essere un bastardo senza cuore, sapeva il fatto suo, non gli avrebbe mai affidato una missione simile se non lo avesse ritenuto all'altezza, se non avesse ritenuto entrambi all'altezza. E, soprattutto, se non fosse stato assolutamente certo che lei avrebbe fatto di tutto per impedire che Ray finisse male.

Quel ragazzo era davvero la sua esca e, pur essendo totalmente conscia della trappola, non poteva fare altro che abboccare.
In fondo poteva incolpare solo se stessa per la situazione in cui era andata a cacciarsi.

Fece un lungo sospiro.
Ormai non aveva più senso fingere e aggrapparsi all'orgoglio, tanto valeva essere sincera: «Io... io non credo di essere abbastanza brava per badare a entrambi» confessò con voce mesta.

«Ecco, appunto, perché io non sono in grado...»

Il solito idiota testardo.
Lo interruppe sbottando, girandosi finalmente verso di lui, che però continuava a guardare da un'altra parte, «Continui a non capire, Ray! Io ho sempre agito da sola, ho sempre dovuto pensare solo a me stessa, a quello che dovevo fare e a ciò che accadeva intorno a me. John ha detto che ti devo insegnare, ma queste non sono cose che si imparano, ma si vivono! Non hai seconde possibilità, non puoi riprovarci se sbagli. Io so cosa devo fare, ma non so cosa devi fare tu! Sono abituata a elaborare piani in cui in gioco ci sono solo io.»
Abbassò lo sguardo sul pavimento e prese un respiro, poi sussurrò: «Non voglio che tu finisca in pericolo a causa mia.»

La ragazza dagli occhi di ghiaccio (Volume I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora