Capitolo 7 - L'ostaggio

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Il telefono squillò.

La ragazza sollevò la cornetta e rispose alla voce dall'altra parte: «Certo, sono la prigioniera. Chi altro ti aspettavi?» Si lasciò sfuggire una muta risatina attraverso il ghigno che le incurvava le labbra. «Loro stanno bene, non preoccupatevi. Piuttosto, tra quanto arriva il coglione?... Perfetto, allora lascio la porta aperta. Mi raccomando: niente armi e niente scherzi. Se il coglione prova a fare l'eroe, i vostri colleghi sono fottuti.» Chiuse la telefonata senza nemmeno permettere all'interlocutore di ribattere.

Impugnò le armi, poi si alzò e andò alla porta. Dopo aver verificato attraverso lo spioncino che fuori non ci fosse nessuno, sbloccò la serratura.
Raggiunse a rapide falcate il poliziotto basso. Ignorò i lamenti che quello si lasciava scappare attraverso il bavaglio e i suoi occhi carichi di supplica. Gli avvolse la catena attorno al collo con estrema freddezza, come se non si trattasse nemmeno di un essere umano.
Entrò nella cella e si sedette proprio dietro di lui, stringendo con decisione la mano sinistra sul cappio metallico, mentre nella destra impugnava la pistola. Si rannicchiò, facendo in modo che il corpo dell'individuo la riparasse completamente.

Dopo nemmeno cinque minuti, qualcuno bussò alla porta.

La testa del giovane poliziotto fece capolino oltre l'uscio.
«È-è permesso» biascicò.

«Benarrivato, Ray. Entra e chiudi la porta.»

Si guardò intorno confuso, non riusciva a capire da dove provenisse quella voce. Nella stanza c'era solo un uomo insanguinato, seduto contro le sbarre, che alzò un istante il capo per lanciargli un'occhiata colma di disperazione, in cerca di un aiuto che sapeva di non poter avere.

Il giovane deglutì, mentre il suo corpo veniva pervaso da brividi di terrore, «Ehi... t-tutto bene qui?»

Fece qualche passo tremante in avanti e infine la vide.
La ragazza era seduta a terra, riparata dietro la schiena del poliziotto. Stringeva in mano una pistola, che teneva puntata verso il nuovo arrivato.

Notò subito i suoi occhi: avevano lo stesso sguardo che ormai diversi giorni prima, in cima a quel tetto, lo aveva paralizzato. Erano di un azzurro chiarissimo, proprio come il ghiaccio. Non ne aveva mai visti di simili. Su una qualsiasi altra ragazza li avrebbe trovati estremamente affascinanti; ma i suoi, il modo in cui lo guardavano, quei lampi di rabbia e superbia che emanavano, lo turbavano nel profondo, sembravano poterlo trafiggere da un momento all'altro.
Quegli occhi lo spaventavano molto più della pistola.

La voce della prigioniera lo fece sussultare: «Forza, chiudi a chiave e avvicinati. Tieni le mani bene in vista. Non sei armato, vero?» Il suo tono era fermo e deciso.

Lei sembrava sapere esattamente ciò che stava facendo, al contrario di lui, che invece era sopraffatto dal panico.

«N-no...»

Bloccò la porta, poi le si avvicinò con passo incerto, mentre la ragazza seguiva ogni suo movimento con la pistola.
Obbedì ai suoi ordini fino a fermarsi nell'angolo della cella, proprio accanto al gabinetto logoro che emanava un pungente odore di fogna.
Le lanciò il sacchetto contenente il cibo, che le atterrò con un lieve tonfo accanto alle gambe. Lei lo esaminò con cura, anche se il profumo che emanava era sufficiente a dimostrare la natura del contenuto. Soddisfatta, spinse il cartoccio da parte, poi apostrofò l'agente con tono autoritario, facendo verso di lui un lieve cenno con la pistola: «Forza, spogliati!»

«S-scusa?»

«Ti ho detto di spogliarti!»

«O-ok, non ne possiamo parlare prima? N-non è che non ti ritenga attraente, anzi, sei p-piuttosto carina, m-ma vedi io... io ho la fidanzata, sai? Stiamo insieme da un paio d'anni e-» Ecco che ricominciava a parlare senza filtro, in preda al panico.

La ragazza dagli occhi di ghiaccio (Volume I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora