Capitolo 57 - La sala dei trofei

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Daniel era ancora lì, seduto a terra, con la schiena contro la porta della palestra. Non sapeva quanto tempo fosse passato. Decine di minuti, forse ore.

Aveva la testa bassa e una mano tra i capelli a stringerli con forza. L'altra abbandonata sul pavimento, chiusa in un pugno talmente serrato da fargli male. La cosa però non gli interessava, a malapena riusciva a percepire quelle sensazioni.

Eve se n'era andata.
L'aveva lasciato lì senza nemmeno permettergli di salutarla o di cercare di convincerla a restare. Forse era proprio per questo che non gli aveva detto nulla.
"Le avventure di Eve e Ray"... ci credeva davvero... Quanto era stato ingenuo.

Sapeva che prima o poi lei lo avrebbe fatto, ma aveva sempre preferito non crederci.
Forse aveva solo imparato a godersi il presente, senza pensare all'avvenire, nella speranza che quel futuro non giungesse mai.

In fondo, che diritto aveva di sentirsi così? Di pretendere che lei rimanesse lì per sempre? Eve non gli aveva mai dato nessuna falsa speranza, l'aveva accolto alla CIA informandolo che la sua permanenza lì era solo temporanea.
Le illusioni se l'era create tutte da solo e ci si era foderato la testa. Ci nuotava tutti i giorni nella sua assurda utopia. Un mare, azzurro come gli occhi di quella ragazza, in cui stava lentamente affogando, ed era bellissimo.

Il cellulare dentro la sua tasca prese a vibrare. Fu come una scarica elettrica che lo ridestò. Il pensiero andò subito a lei, forse lo stava chiamando.
Il pugno si aprì, rivelando sul palmo dei profondi solchi scuri provocati dalle sue stesse unghie, e scattò a estrarre il telefono, ma quando vide chi fosse il mittente, il gelo si abbatté di nuovo su di lui. La mano pareva pesantissima mentre andava all'orecchio.
«Sì?» rispose in uno strozzato sussurro.

«Sesto piano, stanza 624.» La voce di John al di là della cornetta era ferma, ma estremamente cupa.

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L'ascensore si spalancò sul sesto piano.
Daniel percorse il corridoio deserto con passo svelto, gli occhi che saettavano da un punto all'altro, scorrendo i numeri indicati sulle targhette argentate a lato delle porte.
Girò l'angolo e finalmente vide Graham: la sua carrozzina era davanti all'ingresso di una stanza.

Lo raggiunse di corsa.
Si guardò attorno spaesato, sperando di scorgere Eve, lì però non c'era nessuno.
Aprì la bocca, ma, prima di riuscire a dire qualunque cosa, i suoi occhi si fissarono sull'espressione affranta dell'uomo, che si limitò a fare un cenno del capo, volgendo lo sguardo verso il centro dello stanzone al di là della porta spalancata. 

«Cosa-» Il ragazzo tentò di chiedere spiegazioni, ma si interruppe quando il Capo chinò la testa, scuotendola mestamente. 

John spinse sulle ruote e senza dire una parola si allontanò lungo il corridoio. Solo il sibilo dei raggi che ruotavano e il lieve strisciare dei copertoni sul pavimento bianco riecheggiavano nell'aria.

Danny rimase interdetto. Seguì con lo sguardo l'uomo finché non scomparve oltre l'angolo. Perché l'aveva chiamato lì? Non c'era anima viva nei paraggi. Neppure un respiro o un sussurro a rivelare altra presenza umana.
Confuso, alzò gli occhi verso il lato della porta color antracite, per leggere l'iscrizione sulla targhetta argentata: "624 - Sala dei trofei".

Non era mai stato in quell'ala dell'edificio, ignorava l'esistenza di un luogo simile.
A prima vista quell'enorme stanzone pareva deserto, proprio come il resto di quel piano.

Non aveva tempo da perdere tra coppe e stupide onorificenze.
Non riusciva, però, a ignorare l'espressione di Graham. Quello sguardo affranto gli era rimasto marchiato a fuoco nella mente.

La ragazza dagli occhi di ghiaccio (Volume I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora