Capitolo 8 - Il piano B

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Tutto intorno a lei era di un bianco quasi accecante. L'aria era satura di nebbia e polvere, faticava a respirare.
Il silenzio era surreale.

Correva, nel disperato tentativo di fuggire, ma non andava da nessuna parte.

Inciampò e cadde a terra.
Quella nebbia densa la schiacciava, non riusciva a rialzarsi.
I muscoli non rispondevano, sopraffatti dal panico.

Tentò di urlare, ma dalla sua bocca non uscì nessun suono.
Scoppiò a piangere, stringendosi con forza la testa tra le mani, inginocchiata sull'asfalto che le penetrava nelle carni. Quel silenzio le trafiggeva il cervello come una lama gelata, lacerandole l'anima.

A un tratto sentì qualcosa: un sussurro indistinto in lontananza.
Il suo cuore prese a battere con più forza: invece di rassicurarla, quel rumore la turbava ancora di più.
Doveva andarsene da lì.

Si svegliò, spalancando di colpo gli occhi.
Aveva il respiro affannato e la tuta in cotone madida di sudore.

Puntò i gomiti sul materasso e si guardò intorno, era ancora in quella dannata cella.
Il poliziotto era accasciato contro le sbarre e sembrava dormire profondamente.

Prese delle lunghe boccate d'aria dalle labbra spalancate, mentre il cuore un battito alla volta tornava al suo ritmo naturale.
Passò una mano tra i capelli sudati. Dopo quella lunga prigionia, i suoi ricci castani non erano altro che un ammasso crespo e indistinto.

Si alzò e raggiunse il piccolo lavandino per sciacquarsi la faccia.

Incrociò nel rettangolo di pellicola riflettente attaccata alle piastrelle i propri occhi arrossati, incorniciati da profonde occhiaie.
Quel dannato incubo non le dava tregua.

Si avvicinò al giovane e rimase un istante a guardarlo. Per quanto lei avesse potuto dormire male, a lui era andata di certo peggio.
Non sarebbe più riuscita a riaddormentarsi, quindi tanto valeva liberarlo e sorvegliarlo a vista.
Sbloccò le manette che lo tenevano incatenato alle sbarre.
Lui si svegliò in un sussulto.

«Buongiorno, Ray» disse, sforzandosi di avere un tono quanto più amichevole.

Il poliziotto, ancora semi incosciente, si guardò intorno con espressione interrogativa, «D-dove sono?»
Portò una mano alla testa, grattandosi la nuca.
«Cazzo, che fottuto mal di schiena! Ma cosa diavolo...»
Sollevò lo sguardo e incrociò gli occhi azzurri della ragazza, ricordando immediatamente tutto.
«Merda» sussurrò, irrigidendosi all'istante.

L'assassina sollevò un sopracciglio, notando il panico farsi strada nelle iridi blu di lui, «Ehi, non credo tu abbia dormito molto stanotte e a quanto pare non sei stato neanche troppo comodo. Dai, vai nella branda a riposare. Non è comodissima, ma meglio del pavimento. Che dici?»

L'agente strabuzzò gli occhi, nel tentativo di assimilare quelle parole che parevano fin troppo garbate per essere state generate dalle corde vocali di quella ragazza.
Aprì la bocca per chiedere spiegazioni, poi mise a fuoco la pistola che lei gli stava puntando al volto.
Serrò le labbra e deglutì.
D'altronde, quell'ordine non era poi così male.
Si alzò con un lamento e andò barcollando fino sulla branda logora, che cigolò sotto il suo peso. Dopo quella terribile notte, gli sembrava la cosa più comoda su cui si fosse mai sdraiato.

Lei osservò il compagno di cella accasciarsi sul materasso e addormentarsi quasi all'istante.
Raggiunse la parete opposta al giaciglio e prese posto a gambe incrociate sul pavimento. Tirò la testa all'indietro, fino ad appoggiarla al muro.

Cosa stava facendo? Doveva andarsene da lì. Doveva approfittarne finché aveva il coltello dalla parte del manico, prima che la Polizia riuscisse a organizzare un contrattacco.
Fissò la porta della stanza, coperta dal voluminoso armadio.
Non era così semplice.

La ragazza dagli occhi di ghiaccio (Volume I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora