Capitolo 19 - La partenza

594 97 178
                                    

Il ragazzo si svegliò.

«Dove sono?»

Si guardò intorno, ancora intontito, ma non riuscì a vedere nient'altro che buio.
Il suo respirò accelerò e mosse a tentoni la mano sul letto, fino a raggiungere una superficie solida.
Incontrò la familiare sagoma del cellulare, lo strinse con forza e schiacciò un tasto perché si illuminasse. Quel lieve bagliore fu sufficiente ai suoi occhi per mettere a fuoco l'ambiente circostante.

Tirò un sospiro di sollievo, portando un braccio sopra la fronte. 
«Sono in camera mia» sussurrò, come a voler confortare se stesso.

Riprese fiato, recuperando il controllo e rilassandosi sul materasso.
Affondò il viso nel morbido cuscino. Dopo tanto tempo, finalmente non si svegliava sul pavimento di una cella o su una branda puzzolente. Il suo letto non gli era mai sembrato così comodo.
Era libero, gli sembrava incredibile.

Guardò l'ora sullo schermo dello smartphone: erano appena le sei e mezza. Anche se la notte precedente era rincasato dopo l'una, non riusciva più a dormire. Quel brusco risveglio l'aveva scosso, poi non era più abituato a riposare tanto, ma soprattutto bene. Cinque ore su quel comodo materasso erano più efficaci che dieci su una branda, o un intero giorno a riposare sul pavimento.

Rimase nel letto a scrutare il buio sopra di lui, ripensando alla settimana appena trascorsa.
Era stato tutto così surreale. Era rimasto per giorni prigioniero in quella cella con una spietata assassina che lo teneva costantemente sotto tiro, eppure non si era mai sentito davvero in pericolo, in un certo senso lei l'aveva sempre fatto sentire a suo agio.
Erano quasi diventati... amici?

Era rassicurante essere di nuovo in camera sua, ma un po' gli mancava svegliarsi con il suo "Buongiorno, Ray!"

Sorrise.

Ray... Chissà poi perché lo chiamava così? Aveva continuato a farlo anche la sera precedente. Le aveva detto mille volte di chiamarlo Danny, ma niente.
Alla fine era stato costretto a ignorarla e lasciarla fare.
Ormai si era quasi abituato a essere chiamato così.
Ray.
Non era neanche poi così male.

Rivide nella propria mente sprazzi della serata appena trascorsa, non riusciva a togliersi dalla testa quella ragazza.
Eve.
Era bellissima, sembrava davvero un'altra persona. Non era solo per il trucco o il vestito: era solare e spontanea, aveva qualcosa che lo attirava verso di lei inesorabilmente. Sentiva il bisogno di conoscerla, di avvicinarsi a lei, sempre più vicino; eppure aveva un'aura che lo respingeva, una barriera che gli impediva di raggiungerla.
Nonostante ridesse e scherzasse, non sembrava mai lasciarsi andare del tutto; era come una mina, che al primo passo falso avrebbe potuto esplodere.

Ricordò come si era irrigidita quando l'aveva abbracciata, aveva temuto davvero che poi lei lo prendesse a pugni, ma non l'aveva fatto.
Forse si era solo trattenuta.

Sospirò.

Chiuse le palpebre.
Aveva ancora impresso nella mente l'immagine di quelle sue iridi colore del ghiaccio.
Il suo corpo fu attraversato da un brivido.
Era incredibile come quegli occhi cambiassero continuamente e riuscissero a esprimere una così vasta gamma di emozioni, anche se, nel profondo, sembravano sempre celare un velo di tristezza.

«Chissà quando parte?»

Afferrò nuovamente il telefono per vedere l'ora e decise di alzarsi dal letto.

---

Diede un rapido sguardo all'orologio accanto al contachilometri. Erano le sette e ventotto, sperava di essere ancora in tempo.

Parcheggiò davanti al palazzo e un sorriso sorse spontaneo sulle sue labbra.
Uscì, subito dopo aver preso il sacchetto di carta appoggiato sul sedile del passeggero. Era passato al suo bar preferito a comprare due croissant al pistacchio, di quelli croccanti e burrosi, che scrocchiano e si sbriciolano quando li mordi.
La scorsa volta erano stati apprezzati.

Arrivò fino al citofono e scorse tutti i nomi.

«Già, dimenticavo che non so il suo cognome» sussurrò tra sé scuotendo il capo e lasciandosi poi sfuggire un sospiro.

Guardò oltre la porta vetrata e notò il portinaio intento a spazzare l'atrio.
Bussò per richiamare la sua attenzione e l'uomo andò subito ad aprirgli.

«Buongiorno. Scusi il disturbo. Sto cercando una ragazza... Occhi azzurri, capelli mossi, castani, fino alle spalle. Dovrebbe vivere qui da sola. Solo che non ricordo il suo cognome» disse con un velo di imbarazzo, portandosi una mano alla nuca.

«Chi? Eve?»
Il ragazzo annuì con entusiasmo.
«Se n'è andata circa un'ora fa con un paio di uomini che l'hanno aiutata a svuotare l'appartamento. Poi mi ha lasciato le chiavi. Non ha detto dove andava, mi dispiace.»

Daniel sospirò abbattuto, imprecando mentalmente.

Ringraziò con tono mesto e si allontanò a testa bassa dalla porta.
Si fermò sul marciapiedi, guardando sconsolato il sacchetto nella sua mano, poi si girò a fissare il palazzo in mattoni.

Prese un lungo respiro.

«Buona fortuna, Eve» disse tra sé e sé, «Addio.»

---

La ragazza fissava l'oceano scorrere sotto di lei.
Stava volando su un piccolo jet privato.

Prese fiato e incrociò gli occhi neri del compagno di viaggio, seduto sull'elegante poltroncina al di là del corridoio, «Ancora grazie, John, davvero. Non finirò mai di ringraziarti.»

«È stato un piacere, Eve, ma ricorda che ora mi devi un grosso favore.»
La bocca dell'uomo si increspò in un lieve ghigno, che lei finse di non aver visto.
«Allora, cosa pensavi di fare adesso?»

«Ancora non lo so» rispose svogliata sollevando le spalle.

«Perché non ti fermi per un po' da me? Potresti allenarti e studiare per migliorare, senza dover andare in giro per il mondo a inimicarti associazioni criminali.» Il tono di Graham era pacato, ma un'inquietante luce negli occhi tradiva la sua impazienza nel ricevere una risposta affermativa, «Hai del talento, è un peccato sprecarlo così.»

Eve scosse il capo. «Non mi piace avere superiori e ricevere ordini» tagliò corto.
Si voltò a guardare di nuovo fuori dal finestrino con aria riflessiva, come avesse il cervello in fermento.
Una volta riordinati i pensieri, infranse il silenzio: «Come ti è sembrato il poliziotto che mi ha catturata? Ha dimostrato parecchio sangue freddo, sai, sia mentre mi inseguiva, che quando lo tenevo in ostaggio. Ed è stato bravo a organizzare il nostro incontro, non trovi?»

L'uomo la scrutò perplesso, sorpreso da quel suo inusuale sprazzo di loquacità. Studiò ogni suo minimo gesto e lineamento con la mente in allerta, in attesa di qualcosa che ancora ignorava, ma di cui fiutava l'arrivo imminente. Soppesò con cura le parole prima di risponderle: «Ha avuto fortuna a trovare proprio una sequestratrice collaborativa come te.» Le regalò un sorrisetto beffardo.

Lei trattenne una smorfia. «Si è comportato bene, non mi ha mai dato motivo di non essere collaborativa.» Attese una ribattuta da parte del Capo della CIA, ma l'uomo non le pareva intenzionato a proseguire quel discorso, distratto dal libro che aveva appena aperto.
«Piuttosto» lo incalzò, «avrei una richiesta da farti.»

Venne trafitta dai suoi scuri occhi indagatori, «Mi stai già chiedendo un altro favore, Eve?»
Non gli rispose.
«Guarda che sei già in debito con me di uno.»

Trattenne a stento un sospiro, «Facciamo due, allora.»

John posò il libro in grembo per intrecciare le dita davanti al viso. La sua tattica aveva funzionato, quel qualcosa era arrivato prima del previsto. «Dimmi pure.» Affinò lo sguardo, «Però sappi che, di qualunque proposta si tratti, non la prenderò in considerazione finché tu non prenderai in considerazione la mia.»

Eve strinse la mascella e tornò a fissare l'infinita distesa blu sotto di loro.
Scosse la testa in un lungo respiro.
Sapeva che sarebbe andata a finire così.

  



La ragazza dagli occhi di ghiaccio (Volume I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora