Capitolo 64 - Nine-Eleven (parte 7)

259 36 79
                                    

Eve camminava a testa bassa lungo il corridoio, in silenzio e con la mente ovattata dai pensieri. A malapena si rendeva conto di ciò che le accadeva intorno, l'unico briciolo di attenzione era volto a schivare i colleghi che incrociava lungo il percorso, anche se tutti, per sua fortuna, si scansavano prima, da sempre abituati a evitarla.

Daniel la affiancava, stranamente in silenzio. Il suo sguardo apprensivo di tanto in tanto si spostava di lato, fino a incontrare il viso mesto della ragazza nascosto dai ricci che le ricadevano sulle guance.
Si sforzava di restare al passo e di non lasciarla indietro, la camminata di lei era più lenta del solito, quasi si stesse trascinando senza energie.

Appena raggiunsero la camera, la precedette, aprendo la porta.
Eve gli passò accanto, limitandosi a sussurrare un flebile "grazie", e si infilò subito in bagno.

Tirò l'acqua e si spostò al lavandino.
Incrociò solo per un istante i propri occhi nello specchio, l'azzurro risaltava ancora di più nella sclera arrossata dal pianto.
Quelle iridi erano il più grande regalo di suo padre, ogni volta guardare il proprio riflesso era come un tuffo nel passato, tra le sue braccia; così come i morbidi ricci di mamma. Riteneva i suoi capelli quasi sacri, fin da bambina le invidiava quei lunghissimi boccoli castani ed era fiera di averli ereditati, anche se per praticità non poteva lasciarli crescere troppo oltre le spalle. Non li aveva mai tinti, e mai l'avrebbe fatto; proprio come Janet.

L'acqua fredda impattò sul suo viso e un brivido le percorse la schiena.
Prese un lungo respiro a bocca spalancata mentre guardava le mani riempirsi di nuovo del liquido cristallino; poi le riportò sul volto, per lavare via ogni residuo di lacrime.

Odiava quel giorno, l'unico in cui si concedeva di piangere; oppure era solo l'unico in cui non riusciva a controllarsi e a impedire alla tristezza di uscire, sgorgando dai suoi occhi sotto forma di gocce inarrestabili.
John l'aveva messa al corrente dell'esistenza della sala dei trofei appena aveva messo piede alla CIA, subito dopo essere tornati dall'Italia, ma non aveva mai avuto il coraggio di entrarci. Fino a quella mattina.
Dopo aver lasciato di soppiatto la sua camera in piena notte, aveva passato ore immobile con la fronte contro la porta di quella sala, senza riuscire a trovare la forza di varcarla. Solo un rumore dal fondo del corridoio l'aveva infine spinta a entrare.

Quando aveva letto l'iscrizione sotto la foto dei genitori, si era sentita morire, proprio come il giorno in cui li aveva persi. Non era nemmeno certa di essere mai più stata viva dopo quella dannata mattina di quasi dieci anni prima, quando il suo cuore si era fermato, stretto in una morsa di gelo, e non aveva più ripreso a battere.

Uscì dal bagno a testa bassa e si arrampicò sul suo letto.

Daniel la seguì con sguardo colmo di apprensione, appoggiato alla scrivania a braccia conserte. La osservò raggiungere il materasso superiore e sedersi su di esso a gambe incrociate, con il capo chino celato dai ricci.
La fissò per dei secondi che gli parvero infiniti, senza sapere cosa dire, poi spezzò il silenzio: «È ora di cena. Tra quanto ti va di andare in mensa?» chiese, abbozzando un sorriso.

Lei nemmeno lo guardò, si limitò a scuotere leggermente la testa e proferire un flebile sussurro: «Non ho fame.»

Il giovane sospirò, si aspettava quella risposta.
Si avvicinò al letto e la scrutò dal basso verso l'altro, cercando di incrociare i suoi occhi, ma quelli erano rivolti alla coperta.
«Dai, Eve, da quant'è che non mangi? Ieri sera? Non hai nemmeno fatto colazione.»

«Sopravvivrò.»

Rimase qualche altro istante a guardarla, sperando in un ripensamento, «Sicura?»
Lei però non ebbe nessun'altra reazione.
Sbuffò sconfitto e si passò una mano tra i capelli, era inutile insistere.
Le diede le spalle e si chiuse in bagno.

La ragazza dagli occhi di ghiaccio (Volume I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora