Capitolo 3 - In gabbia

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Tutto era avvolto da una fitta nebbia. Il silenzio era surreale.
Vagava alla disperata ricerca di qualcosa, ma non c'era niente lì.
Per quanto corresse, in ogni direzione vedeva solo quell'impenetrabile e densa foschia che saturava i polmoni e toglieva il fiato.
Ansimava e piangeva.
Non c'era via di fuga.

La ragazza si svegliò di soprassalto. Quell'incubo ricorrente la sconvolgeva sempre.

Si sentiva stordita, lo stomaco rivoltato e la testa girava, come se la sera precedente avesse abusato di alcolici.
Tentò di concentrarsi, ignorando la nausea, e a poco a poco l'ambiente intorno a lei si fece più nitido.

Dove cazzo sono?

Spinse con i gomiti sul materasso per sollevare la testa.
Un acuto dolore le sferzò il collo e la mano andò d'istinto lì dove il taser l'aveva colpita.

Merda!

Si era lasciata incastrare come una principiante.
Digrignò i denti in una smorfia di disapprovazione.
Per fortuna era stata solo una scarica elettrica e non un proiettile, altrimenti...

Cosa diavolo è successo? Cosa ho sbagliato? Che idiota!

«Ben svegliata, principessa!»

Girò la testa di scatto, non si era nemmeno accorta della presenza di un'altra persona nella stanza.
Trattenne il fiato mentre il cuore accelerava i battiti.

Al di là di spesse sbarre, un poliziotto la squadrava con un ghigno sulle labbra, lasciate scoperte dal passamontagna nero che gli copriva il viso. La tensione sui bottoni della camicia accentuava ancora di più il fatto che fosse piuttosto sovrappeso.
Di certo non era il bastardo che l'aveva inseguita.

Scattò per assumere una posizione di difesa, ma quasi si ribaltò dalla branda su cui era sdraiata, accompagnata da un acuto rumore metallico.
Sollevò le mani davanti agli occhi. Aveva polsi e caviglie bloccati da bracciali in ferro, ognuno dei quali collegato a una catena; queste, lunghe uno o due metri al massimo, erano fissate con due grossi lucchetti a un gancio sul muro.

Merda! Da quando in qua nelle prigioni italiane incatenano i detenuti?
Devono ritenermi parecchio pericolosa.

Sbuffò contrariata e diede uno strattone alle catene, generando un sinistro tintinnio.

L'uomo emise una risata sarcastica, «Non puoi andare da nessuna parte!»

La vide voltare la testa fino fermarsi a fissarlo con i suoi glaciali occhi azzurri carichi di odio.

Rabbrividì, trapassato da quello sguardo, e smise all'istante di sghignazzare. Deglutì senza nemmeno rendersene conto mentre un brivido gli solcava la schiena. Le diede d'istinto le spalle, quasi volesse sottrarsi a quella visione.
Fece qualche passo verso la scrivania lì vicino, afferrò la sedia e, dopo averla trascinata fin davanti alle sbarre, vi prese posto con uno sbuffo simile a un grugnito svogliato.
«Bene, ora che ti sei finalmente svegliata potrai dirmi chi sei.» La guardò di nuovo, avendo cura di non incrociare le sue iridi.

La ragazza lo ignorò, distogliendo l'attenzione da lui, e, mentre riacquistava la lucidità, prese a esaminare il luogo in cui si trovava: una semplice stanza rettangolare divisa dalle sbarre.
Era incatenata sul lato stretto, mentre su quello opposto, fuori dalla sua gabbia, svettava una porta blindata bianca, proprio al centro della parete. Più in là una scrivania con un PC, un piccolo frigorifero e qualche armadio in alluminio. Un passaggio sul muro si apriva alla sua sinistra, ma non riusciva a vedere cosa ci fosse oltre.

Il poliziotto sbatté il manganello sulle sbarre, il suono acuto le rimbombò in testa e le fece chiudere gli occhi dal dolore, sommandosi alla forte emicrania già provocata dalla scarica elettrica e da chissà quali narcotici le avessero dato per riuscire a portarla in quel posto.

La ragazza dagli occhi di ghiaccio (Volume I)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora