capitolo trentasei

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Harmony

Verso sera arrostiamo un pò di carne e parliamo del più e del meno.
Anche Ruth e Dove si ricordano di Zeno, dopo che lui ha raccontato qualche aneddoto della Truman.
Quella professoressa non la sopportava nessuno.
Veniva a scuola sempre in tiro, pronta a vantarsi con noi alunni di aver fatto conquiste.
Poi dal nulla, metteva due a caso, pure se non alzavi la mano quando lei faceva una domanda.
Era davvero matta, ma non si poteva fare niente poichè era entrata ad insegnare non per i concorsi vinti, ma per raccomandazione.
Fortuna che mia cugina va nell'altro liceo e non se la ritrova come professoressa di matematica.

Dopo i vari aneddoti, passiamo a raccontare qualche storia di paura.
Chi se la inventa e chi ne cerca qualcuna su internet.
Quella più spaventosa è quella raccontata da Oscar.
«Come notate tutte le vostre storie cominciano con "era una notte buia e spaventosa", ma non la mia. La mia è diversa, non ci sono fonti certe a determinarla, poichè chiunque lo vedeva, nessuno faceva ritorno a casa.
Un gruppo di ragazzi era come solito passare le loro estati qui, in campeggio. Si dice che si stavano divertendo così tanto da non accorgersi della presenza di un uomo che si trascinava dietro un ramo incastrato nel piede. Quell'uomo nessuno sapeva da dove fosse uscito, si pensa che fosse scappato da un vecchio istituto psicologico che dista dieci minuti da qui.
I ragazzi si munirono di altrettanti bastoni di legno dopo essersi trovati l'uomo davanti.
Era pallido, due occhi inniettati di sangue, vestiti strappati e sgualcidi e una puzza enorme che portava addosso.
Uno del gruppo cercò di allontanare l'uomo ed egli si ritrovò con un piede nell'acqua e la voce supplichevole che chiedeva aiuto.
Nemmeno il tempo di domandare il motivo per il quale lo stesse chiedendo, che l'uomo caddé sbattendo la testa su di un piccolo sasso. I ragazzi cercarono di capire se fosse morto e dopo gettarono il corpo nel lago.
E da quella notte, l'uomo alle due di tarda notte in punto, quando sente che i gruppi di amici sono a dormire, esce dal lago per spaventarli. Proprio per lo spavento nessuno è mai sopravvissuto e il corpo dell'uomo giace ancora in quei fondali» e indica la pozza blu.
Tutte noi ragazze ci abbracciamo per la paura.
E così questa notte me la faccio in bianco.
Mannaggia a Oscar e alla sua storia.
Per le altre mi ero un pò spaventata, perchè oramai erano storie già vecchie e raccontate, ma questa mai sentita.
«Sappiate che vi ho voluto bene» dice Ruth e noi altre le diciamo in coro "anche noi" ed andiamo ognuno nelle proprie tende.
Appena dentro, mi infilo sotto le coperte e osservo la cerniera della tenda.
«Non ti sarai mica cagata sotto? Cioè si vede che la storia di Oscar era inventata»
«E chi te lo ha detto? E se è vera? E se fra qualche minuto potremmo morire tutti?»
«Certo, moriremo appena una persona ci contagerà con il virus, non di certo per la paura»
«Buonanotte» dico e mi volto sul fianco sinistro dandogli le spalle.
«Notte Harmony» e sento il suo respiro dietro l'orecchio.
Il suo braccio mi circonda la vita.
Sto per chiedergli cosa stia facendo, ma mi precede.
«Per questa e le prossime notti, ci sono io a proteggerti dai mostri» la mia faccia assume un colorito che nemmeno io so e prendo un'espressione da "awww, che tenero" e mi addormento.

Il mattino seguente quando mi sveglio, noto che io e Zeno siamo ancora nella posizione della notte precedente.
Lui dorme beatamente e senza svegliarlo, sposto il suo braccio, infilo gli occhiali lasciati recentemente nella loro custodia, prendo il cellulare ed esco dalla tenda.
Strano ma vero, sembro solo io quella sveglia.
Cioè, davvero?
Controllo l'orario sul display e segna le 6.
Molto ma troppo presto è ancora.
Però dato che non riesco più a dormire, inizio a vagare per il bosco.
Di prima mattina girare tra gli enormi alberi sembra rilassante.
Si sentono gli uccellini cantare il loro sonoro canto mattutino, le auto sulla autostrada sfrecciare in lontananza, le foglie sfrosciare dal leggerissimo vento.
È davvero tutto così rilassante.
E camminando, camminando, arrivo davanti ad una vecchia struttura in mattoni, oramai abbandonata a se stessa e alla natura da chissà quanti anni.
Potrei sembrare pazza, ma queste cose mi attraggono.
Mi armo del mio strano coraggio ed entro.
All'interno un pò di erba o muschio fa da contorno.
Nell'ingresso un camino oramai andato a pezzi si impossessa della parete a sinistra, un vecchio appendiabiti è distrattamente buttato a terra.
Poi ci sono due porte, ma che di esse non è rimasto proprio niente se non l'arco.
Prima vado a quella di destra che porta in una sala vuota.
Qui non c'è praticamente nulla, tranne per mattoni o pezzi di legno sul pavimento.
Vado più avanti e una cucina mezza rotta e molto vecchia fa da teatro a quest'altra stanza.
Quindi presumo che quella precedente fosse una sala da pranzo.
Esco da lì tornando nell'ingresso e vado verso quella di sinistra.
Al centro di esso, c'è un vecchio pianoforte pieno di ragnatele, ma senza uno sgabello.
Poi ci sono delle scale e sotto di esse una porta.
Quella sarà l'ultima che vorrei vedere.
Salgo lentamente, nel caso che non siano ben intatte e potrei farmi male.
Ma mentre sono quasi in cima, il rumore di una nota sul piano mi desta dalla mia camminata.
Mi spavento sul colpo.
Voglio scappare all'istante, però appena sto correndo giù dalle scale e arrivo al piano inferiore, due braccia mi bloccano.
Sto per gridare sia per la paura e sia così che qualcuno possa venire in mio aiuto, ma la persona mi volta verso di sé.
«Non ti facevo così coraggiosa ad andare in giro da sola alle prime luci dell'alba. E addirittura ti sei intrufolata in questo vecchio ospedale psichiatrico» ah ecco cos'è la struttura.
Tiro comunque un sospiro di sollievo a scoprire che la persona è semplicemente Zeno.
«Grazie a Dio sei tu. Pensavo fosse infestata e tu fossi... Cioè non so nemmeno io cosa pensavo» scoppia in una fragorosa risata.
«Comunque, cosa ci fai qui?» continuo.
«Ti ho sentito aprire la tenda e quando ti ho visto allontanarti dal posto, allora ti ho seguita. Non sapevo quali fossero le tue intenzioni, nel caso fossi sonnambula o chissà cosa»
«Oh. Quindi adesso posso proseguire la mia visita psichiatrica» dico ironica.
«Andiamo a curarci insieme allora» annuisco e ridiamo.
Poi a metà scalinata mi interrompo.
Solo in quel momento collego la storia di Oscar all'Istituto.
«Aspé, ma non è lo stesso ospedale di cui Oscar ha parlato nel suo racconto?»
«Non lo so. E anche se fosse? Dai continuiamo a visitarlo, nel caso ci sono io a proteggerti» e per la seconda volta alla parola "proteggerti", arrossisco.
Mi prende per mano e lo stomaco si ingarbuglia su se stesso.
Il cuore sembra che stia quasi per esplodermi.
Continuiamo la nostra visita per i vari piani e per le varie stanze, scoprendo che molte di esse sono caratterizzate da solamente un letto, porte in legno ma speciali e scritte sui muri.
Alcune realizzate con vernice di bombolette a spray dei graffiti e a quanto sembrano intatte, credo siano recenti o giusto di qualche anno.
Altre, invece, sono incise sul muro, oppure scarabocchiate con penne o sangue?
Fisso la scritta di fronte a noi della penultima stanza.
In questa intorno al letto ci sono catene, le finestre con delle sbarre.
«Questa stanza è molto inquietante» ammetto.
«Già, riesci a capire cosa dice questa scritta fatta con del sangue? Anche se non so di preciso se sia sangue o vernice» e quello che mi sto chiedendo anche io.
"Je ne suis pas mort, j'ai été tué".
Oh cacchio.
Quindi non era un normale ospedale psichiatrico.
E nella mia mente, si fa strada l'istituto di Teen Wolf, Eichen House.
«Andiamo a visitare anche quella porticina o vorresti andartene?» chiede Zeno.
Giacché ci siamo, ho voglia di sapere cosa si cela dietro, altrimenti rimmarrò con la curiosità per anni.
Scendiamo le scale arrivando nella sala del pianoforte, il ragazzo apre la porta e la varchiamo.
Qui sotto è più buio, dato che la luce del sole non arriva per via che non ci sono finestre.
Accendiamo le torce dei cellulari e una scala porta al piano di sotto.
Stando attenti a non inciampare, proseguiamo per il corridoio e quattro porte ci si presentano davanti, tutte e quattro mezze rotte.
Andiamo prima nella stanza di sinistra e delle boccette di farmaci sono rotte in mille pezzi per terra.
Nella seconda stanza una sedia tipo quelle dei dentisti è graffiata, ma al posto di braccioli, ci sono cinture. Sicuro che servivano per legare il paziente.
Nella terza, ci sono poltroncine rovinate e di esse solo la struttura interna rimane.
Nell'ultima stanza, sembra completamente un film del terrore.
Catene sui muri, altre pendenti dal soffitto, una gabbia nel fondo, graffi sulle pareti.
Stringo più forte la mano di Zeno e lui mi avvicina più a sé.

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Okay devo ammettere che a scrivere questo capitolo, mi sono terrorizzata da sola, ma al tempo stesso mi è piaciuto descrivere quel posto macabro pensando ad Eichen House e agli ospedali abbandonati di Cernobyl.

Contre les portes de la nuit // sightancDove le storie prendono vita. Scoprilo ora