capitolo quarantasette

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Harmony

Da @ lelegiaccari
scusami se rispondo solo ora, probabilmente starai già dormendo
nel caso contrario ti mando l'indirizzo di casa di Tanc e sinceramente, puoi andare anche adesso, perché mi sta tartassando di messaggi che non sa cosa fare e non vuole dormire
va da lui e prenditene cura ;)
chiamo Valerio per avvertirlo

Adesso?
Dovrei seriamente andare in questo preciso momento?
Beh sì.
Nemmeno io ho sonno, dato che mi sono svegliata nel tardo pomeriggio.
Tanto sono ancora solo le 22 e il luogo dista trenta minuti circa a piedi.
Non mi va di prendere i mezzi o la metropolitana, quindi camminerò.
Afferro cellulare, una giacca nel caso faccia freddo e il contenitore con i muffin.
Seguo le indicazioni del GPS.
È un giorno festivo e Milano è quasi del tutto deserta.
Mi godo la quiete.
Adoro quando passeggio per strada di notte e non c'è nessuno.
Okay, forse una parte di me ha paura di incontrare qualche malintenzionato, ma se tutte noi donne dovessimo avere paura di queste persone, allora dovremmo rimanere sempre chiuse in casa.
O a volte è proprio all'interno di quel luogo succedono molte cose.
Però io sono quel tipo di persona che ha paura di dichiararsi, ma cammina tranquilla, nel cuore della notte, in una grande città che nemmeno conosce bene.
C'è il rischio che potrei perdermi e ritrovarmi chissà dove, ma so che non accadrà.
Difatti nel tempo stabilito, mi ritrovo a suonare al condominio nel citofono con i due nomi dei ragazzi impressi.
Il portone d'ingresso si apre e salgo i gradini verso il piano e il numero che Valerio mi ha detto.
Arrivo davanti la porta e respiro affannosamente.
Busso due volte, finché il moro non viene ad aprirmi.
«Allora Tanc è nella sua stanza, ultima a sinistra. Io vado a casa di Lele e gli altri. Per qualunque cosa, non esitare a chiamare il numero che ti ho lasciato sul tavolo della cucina. Divertitevi e non sporcate casa» a fine discorso mi fa l'occhiolino.
E siamo a due persone.
Ma perché?
Cioè tra me e Tancredi non c'è nulla se non amicizia.
Entro nell'appartamento e chiudo la porta alle mie spalle.
Lascio la giacca sul divano e cammino verso la stanza.
«Vale, chi era alla porta?» urla.
Sentire la sua voce dopo tanto tempo, ho un sussulto.
Mi era mancata.
Raggiungo la sua porta, poggiandomi allo stipite.
È disteso sul letto e il suo volto è illuminato dalla luce, che emana la abat-jour vicino al letto.
Tra le mani stringe il cellulare.
Può essere che stia scrivendo a Lele, per quanto mi aveva detto il ragazzo.
Poi non ricevendo risposta, alza la testa.
Il suo sguardo si posa sulla mia figura.
I suoi occhi azzurri luccicano in quel leggero buio.
«Ciao» dico fleibilmente.
Lui ancora non prospera parola.
Apre la bocca per dire qualcosa, ma la richiude, come se stesse cercando le parole giuste da dire.
«Ciao» alla fine opta.
«Ho saputo quello che è successo e sono passata a trovarti. Forse non speravi di vedermi e forse vorresti che me ne vada. Quindi volevo vedere giusto come stavi e poi ritorno a casa» affermo.
«No!» lo guardo incuriosita.
«No cosa?» non capisco.
«Resta. Non andare, non ancora. Sei appena arrivata e credo che Vale non tornerà fino a domattina. Perché credo che lui sia andato, non è così?» annuisco.
«È andato da Emanuele. Si erano accordati così quando gli ho scritto a Lele se potessi passare a trovarti»
«Allora siamo solo io e te. E di certo non ti lascerò tornare sola a casa, a prendere la metro, anche se lo hai già fatto»
«In realtà no, ho fatto la strada dal mio appartamento a qui a piedi. Non avevo voglia di prendere la metro o qualsiasi altro mezzo»
«È notte e le strade sono deserte e sei arrivata fin qui senza prendere i mezzi? E se qualcuno ti avesse... No, non voglio pensarci. Stai bene?» si mette seduto sul letto.
«Questa domanda dovrei fartela io a te. Sei tu quello che non si è sentito bene l'altro giorno» avanzo lentamente verso di lui.
Si sposta e batte il palmo della mano sul materasso, facendo segno di sedermi.
Faccio come richiesto.
Mi sfilo le scarpe e mi metto comoda poggiando la schiena sul cuscino.
Lui passa un braccio sulle mie spalle e mi attira a sé.
Il mio stomaco si contorce.
Questa sensazione è bellissima e al tempo stesso non so come interpretarla.
Mi erano mancato il suo profumo.
La sua dolcezza.
Qualunque cosa di lui mi era mancata.
Ma soprattutto, lui mi era mancato.
Tanto.
Strano a dirsi, un amico non dovrebbe mancarti così, o forse sì. Cioè ho Gaston, mia cugina, le mie amiche e gli altri, eppure nessuno di loro mi è mai mancato come lui.
Forse la nostra amicizia è più speciale. Può essere così.
«Io sto meglio adesso che tu sei qui» dice ad un soffio dal mio orecchio.
Il suo fiato mi solletica quel punto.
Una scarica di brividi si fa strada nel mio corpo.
Sorrido in risposta.
Dopo qualche attimo di silenzio, decido di parlare.
«Ti ho portato dei mini muffin. Non so se siano davvero buoni» apro il contenitore rivelando l'interno.
Si sporge per vedere.
«Dall'aspetto direi che sono stupendi» su questo non ci avrei scommesso.
Poi ne prende uno, stando attento a non rovinare la decorazione degli altri.
Se lo porta alla bocca e rimango incantata.
Le sue labbra si socchiudono.
Addenta un piccolo pezzo e mastica.
Un pò di glassa gli sporca attorno alla bocca.
Vorrei toglierla io, ma non voglio fare danni.
Lascio che se ne accorga da solo e difatti lo fa.
Si passa la lingua e continua a fare lo stesso procedimento finché non finisce l'intero muffin.
Aspetto che mi dice come è, però non lo fa.
Non ancora e l'ansia mi sta divorando.
Sicuro che fanno schifo.
Non ne avevo mai fatti e quindi era la prima volta e a quanto pare, non sono ottimi.
Si volta e fissa i miei occhi.
Mi perdo a guardare i suoi così vicini a me.
«Vuoi la verità?» chiede.
Ma che domande. Certo.
«Sì. Fanno schifo, non è così?»
«No. Non fanno schifo come tu dici, anzi sono ottimi. Sono i muffin più buoni che io abbia mai assaggiato e sai, mi hanno tirato anche su di morale» dice questo per poi allungare la mano libera e prendere un altro.
Lo avvicina alla mia bocca e fisso il viso di Tancredi.
«Assaggia tu stessa» muovo le mie labbra verso quel piccolo muffin e addento un pezzetto.
Lo assaporo ed è vero.
È buono.
Il resto del mio muffin, se lo mangia lui.
«Ehy, era mio quello» protesto.
«Ops!»
Con il dito lrende un pò di glassa da un altro dentro il contenitore, per poi spalmarla sul mio naso.
Mannaggia a lui.
Dopo si avvicina pericolosamente a me, socchiude le labbra e lecca la glassa che giace sul mio naso.
«Antipatico!» e gli tiro un piccolo pugno sulla spalla.
In risposta mi fa la linguaccia.

Contre les portes de la nuit // sightancDove le storie prendono vita. Scoprilo ora